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In Contropiede

Piantedosi: valutare il rinvio dei cortei pro Palestina

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Valutare lo spostamento ad altra data delle manifestazioni pro Palestina previste per il 27 gennaio, Giorno della memoria. Con una circolare del Dipartimento della Pubblica sicurezza si invitano infatti i questori a considerare di spostare ad un altro giorno le manifestazioni previste per sabato prossimo, in particolare a Roma e Milano, “così garantendo la libertà di manifestazione che, nel caso di specie, va contemperata con il valore attribuito alla Giornata della memoria”. Perchè quelle manifestazioni nel giorno in cui si ricordano le vittime dell’Olocausto potrebbero ledere “alcuni valori sanciti dalla legge, come la commemorazione della Shoah”. Il capo della polizia, Vittorio Pisani, ha comunque previsto che per le manifestazioni di sabato dovranno essere predisposte idonee misure di prevenzione e sicurezza, “in considerazione della perdurante minaccia terroristica”.

Soddisfatta la comunità ebraica di Roma che aveva chiesto di vietare il corteo a Roma promosso da studenti palestinesi che per lanciarlo avevano preso in prestito parole di Primo Levi. “Siamo contenti che siano state riconosciute le nostre ragioni. Ringraziamo le istituzioni, a cominciare dal ministro Piantedosi e tutte le articolazioni del ministero dell’Interno, per la sensibilità che hanno dimostrato. È stata una decisione giusta e di buon senso”, ha detto il presidente Victor Fadlun. Intanto stamane, alla chiusura dell’evento ‘Giornata della memoria 2024 per non dimenticare’ all’ateneo Roma Tre, due studentesse hanno preso polemicamente la parola. “Perché il corteo del 27 gennaio – hanno chiesto – dovrebbe essere un problema?

Quanto sta avvenendo a Gaza non è quanto avvenuto nel ghetto di Varsavia? Non possiamo fare a meno di chiedere per quale motivo non possiamo anche prendere le parti dei palestinesi che stanno vivendo un genocidio: sono stati sterminati 20 mila civili e questa non può essere considerata una difesa”. Sul palco, davanti a loro, aveva da poco preso la parola proprio il presidente della comunità ebraica di Roma, Fadlum, che aveva detto: “Il mondo capovolto è pensare di poter autorizzare un corteo antisemita che usa e abusa le parole di Primo Levi come arma contro di noi. Il tragico risveglio del 7 ottobre dimostra quanto sia facile capovolgere il mondo, essere negazionisti. Noi ebrei non abbiamo paura, non più dai tempi dei rastrellamenti, non ci nasconderemo più e non staremo in silenzio”. Per Nando Tagliacozzo, testimone della Shoah, la manifestazione organizzata a Roma il 5 dicembre scorso contro l’antisemitismo promossa dalla Comunità ebraica di Roma e dalle Comunità ebraiche italiane alla quale hanno aderito tutti gli esponenti politici, “non la dovevamo promuovere noi ma avrebbe dovuto essere il mondo civile, la politica, a rassicurare noi ebrei”.

E anche per Irene Shashar, sopravvissuta all’Olocausto, “dopo il 7 ottobre è tornato l’antisemitismo, gli ebrei oggi di nuovo hanno paura di vivere in Europa. Avevamo detto che ‘mai più’ avrebbe significato ‘mai più’ e invece siamo ancora qui a dovere difendere le nostre vite”.

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Esteri

SignalGate: nuove falle nella sicurezza Usa, l’ombra degli 007 stranieri

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Non è più solo una gaffe sull’uso dell’app Signal per comunicazioni top secret. Il caso ribattezzato SignalGate, esploso dopo la scoperta che vertici della sicurezza americana — tra cui il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz, la responsabile dell’Intelligence Tulsi Gabbard e il capo del Pentagono Pete Hegseth — abbiano condiviso su una piattaforma vulnerabile informazioni delicate sull’attacco agli Houthi in Yemen, si è trasformato in una potenziale crisi di sicurezza nazionale.

Una questione sistemica, non un incidente

L’inchiesta partita da Der Spiegel e proseguita da Wired mostra che non si tratta di un episodio isolato, ma di un comportamento sistemico. I giornalisti hanno scoperto in rete email private, password, numeri di telefono e profili Venmo pubblici associati a funzionari dell’amministrazione Trump. Dati potenzialmente sfruttabili da intelligence ostili per infiltrare dispositivi e accedere a informazioni riservate.

Il ruolo di Waltz e l’uso improprio dei social

Particolarmente grave il caso di Mike Waltz, ex “berretto verde” ed esperto in sicurezza, che avrebbe mantenuto un profilo Venmo visibile con centinaia di contatti, tra cui politici, militari, giornalisti e persino sarti e medici. La superficialità digitale di alcuni dei più alti funzionari della sicurezza statunitense solleva interrogativi pesanti sulla cultura della protezione delle informazioni sensibili.

Le rivelazioni di Spiegel e Wired

Gli investigatori tedeschi, incrociando leak pubblici e database del dark web, sono riusciti a ricostruire la rete di contatti dei funzionari coinvolti, accedendo persino a profili Whatsapp attivi fino a pochi giorni fa. Secondo Der Spiegel, non si può escludere che agenti stranieri abbiano intercettato le discussioni su Signal relative all’attacco in Yemen.

Conseguenze internazionali e interne

Le implicazioni sono profonde. Israele ha protestato per la fuga di dettagli top secret condivisi nella chat, riguardanti una fonte sul campo. Ex ufficiali come Yossi Melman ricordano precedenti allarmanti, come quando Donald Trump avrebbe rivelato a Lavrov dettagli di operazioni del Mossad nel suo primo mandato.

Fallimenti di sicurezza e rischi futuri

Il SignalGate evidenzia almeno cinque criticità:

  1. I dati personali esposti favoriscono operazioni di spionaggio o ricatto.
  2. La superficialità nella gestione di strumenti di comunicazione.
  3. Il rischio di ritorsioni interne dopo i licenziamenti di massa ordinati dalla Casa Bianca.
  4. L’accesso eccessivo a informazioni riservate da parte di figure non di alto livello.
  5. La vendetta degli apparati statali ostili a Trump, che nel suo primo mandato si scontrò duramente con la Cia e l’establishment della Difesa.

La Casa Bianca in difficoltà

La portavoce Karoline Leavitt ha parlato di “errore” e promesso che non si ripeterà, ma ha accusato i media di esagerare. Intanto, alcuni repubblicani chiedono chiarezza, mentre il giudice James Boasberg ha convocato d’urgenza l’amministrazione per un’udienza sul mancato rispetto della legge sulla conservazione degli archivi. L’impressione è che il SignalGate sia solo l’inizio di una bufera ben più vasta sulla sicurezza americana.

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Economia

Sbarra lascia la Cisl, ‘partecipazione è passo storico’

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L’ultima assemblea di Luigi Sbarra alla guida della Cisl. Che lascia, vedendo ad un passo il “risultato storico” sulla legge sulla partecipazione al lavoro, cavallo di battaglia del sindacato. Un traguardo che rilancia alla vigilia del passaggio di testimone all’attuale segretaria generale aggiunta, Daniela Fumarola, e tema su cui si rinsalda il sostegno del governo. Così come sulla linea del dialogo. Lo conferma la stessa premier Giorgia Meloni, che interviene all’assise insieme alla ministra del Lavoro, Marina Calderone. La sintonia è chiara, il riconoscimento reciproco.

“Siamo un sindacato riformista e responsabile, dall’altra c’è un sindacato antagonista”, con i suoi “no ideologici”, dice Sbarra dal palco. Nel mirino, in primis, la Cgil di Maurizio Landini, anche se non viene mai nominato. La premier richiama proprio lo slogan dell’assemblea, “Il coraggio della partecipazione”, un titolo che riguarda “un’altra grande sfida”, che è innovare il modello economico produttivo “coniugando sussidiarietà e crescita. Il che significa rifondare la dinamica fra impresa e lavoro, superando una volta per tutte – scandisce – questa tossica visione conflittuale che anche nel mondo del sindacato qualcuno si ostina ancora a sostenere”. Il percorso sulla proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese, su cui la Cisl ha raccolto 400mila firme e che poi è diventata il testo base in discussione al parlamento, è ormai a buon punto. “Siamo ad un appuntamento con la storia”, rimarca il leader uscente.

“Grazie alla tenacia di Gigi, sarà la legge Sbarra”, anticipa Fumarola. E tutti rimarcano che “finalmente dopo settantasette anni” si darà attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Ma sulla proposta non sono mancate le critiche di Landini – per Sbarra “grottesche” – che invece da tempo, con la Uil, chiede una legge sulla rappresentanza. Per Sbarra “ad essere assurdo e fuori luogo, è che a scagliarsi contro l’applicazione di un principio costituzionale sia chi un giorno sì e l’altro pure lancia allarmi per le minacce che incombono sulla democrazia”, la stoccata. Anche Calderone rimarca la via del dialogo “e non dell’urlo con le coronarie che saltano”. E la posizione del governo: nel corso delle interlocuzioni “non sempre siamo stati d’accordo, ma assolutamente concordi” con la Cisl “nel valorizzare i contratti collettivi, dire no ad una legge sul salario minimo e ad una legge sulla rappresentanza”. Domani, dunque, il cambio al vertice e l’elezione della nuova segretaria generale, Daniela Fumarola, la seconda donna alla guida della Cisl. Per Sbarra, invece, in vista l’idea di realizzare una Fondazione Cisl da dedicare a Franco Marini.

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Esteri

Ue a Meta: la moderazione dei contenuti non è censura

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Prima Elon Musk, poi Mark Zuckerberg. Quasi una manovra a tenaglia. Il primo destabilizza l’Europa prendendo di mira capi di Stato e di governo nei suoi post e spinge i movimenti di estrema destra, il secondo – sull’onda di una conversione tardiva al trumpismo – si scaglia contro l’eccessiva regolamentazione dell’Unione Europea ed evoca persino la censura. L’Ue non vuole alzare i toni, pur vedendo le nubi addensarsi all’orizzonte. Non è il suo stile, diciamo. Eppure tocca marcare il territorio: “La moderazione dei contenuti – nota Bruxelles – non significa censura”.

“La libertà di espressione è al centro del Digital Services Act (Dsa), che stabilisce le regole per gli intermediari online per contrastare i contenuti illegali, salvaguardando la libertà di espressione e d’informazione online: nessuna disposizione del Dsa obbliga le piattaforme a rimuovere i contenuti leciti”, dichiara un portavoce della Commissione Europea in risposta alle accuse del patron di Facebook. Il Digital Services Act insomma non è il diavolo né, tantomeno, un bavaglio orwelliano, semmai un giusto compromesso per dar vita ad un’esperienza online “più equa e rappresentativa”, rispettando la diversità e l’individualità di tutti gli utenti, anche (e soprattutto) affrontando “i pregiudizi negli algoritmi di raccomandazione”.

In pratica la condanna della bolla, che però genera traffico e interazioni. Sul fronte Musk Parigi sta alzando i toni. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, ha esortato la Commissione Europea – che per ora ha appunto scelto un profilo basso per “non alimentare le polemiche” – ad agire “con la più grande fermezza”, immaginando persino la “sospensione del servizio”, già prevista dalle leggi comunitarie.

“O la Commissione applica le norme che ci siamo dati per proteggere il nostro spazio pubblico, o non lo fa, ma allora dovrà restituire agli Stati membri dell’Ue, e dunque alla Francia, la capacità di farlo: dobbiamo svegliarci”, ha tuonato. Ad affiancarsi è pure il premier spagnolo Pedro Sanchez. Con affermazioni durissime. “Il fascismo – ha dichiarato – è già la terza forza politica in Europa e l’internazionale dell’ultradestra, guidata dall’uomo più ricco del pianeta, attacca apertamente le nostre istituzioni, attizza l’odio, fa appello ad appoggiare gli eredi del nazismo in Germania alle prossime elezioni”.

Resta da vedere cosa decideranno di fare i 27. Al momento, a quanto si apprende, il tema non sarà affrontato al Comitato dei rappresentanti permanenti di domani, il primo del 2025. L’attività più frenetica si riscontra nelle capitali. Domani, ad esempio, ci sarà una visita lampo a sorpresa nel Regno Unito del presidente francese Emmanuel Macron, che sarà ricevuto dal premier britannico Keir Starmer, colpito da una violenta campagna di denigrazione su X – istigata da Musk – per il presunto insabbiamento dello scandalo degli stupri collettivi ai danni di bambine e ragazze avvenuti in alcune comunità pachistane dell’Inghilterra del nord, roccaforti elettorali del Labour.

L’agenda ufficiale dell’incontro si concentra su altro ma ormai non può che saltare all’occhio come (quasi) tutte le principali capitali d’Europa – Londra, Parigi, Berlino e Madrid – si siano schierate contro il neo-oligarca sudafricano, a breve membro a tutti gli effetti dell’amministrazione americana. Musk, ha detto invece il segretario di Stato Usa Antony Blinken, “si esprime da privato cittadino e ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, come ogni americano”.

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