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Parla Antoci, l’uomo che ha smascherato il business della mafia dei pascoli e per questo vogliono ucciderlo

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Da tempo avevo voglia di fare 4 chiacchere in libertà con Beppe Antoci, uomo che stimo, che basta guardarlo negli occhi per capire di quale pasta sia fatto, e che ha innovato la lotta alla mafia partendo dal suo lavoro quando era Presidente del Parco dei Nebrodi.

Beppe che metodo avevi inventato per contrastare la mafia dei pascoli?

A pochi mesi dal mio insediamento da Presidente del Parco dei Nebrodi ci accorgemmo che gli agricoltori di quel territorio subivano vessazioni attraverso un metodo di minacce e ritorsioni, legate ai bandi sugli affitti dei terreni pubblici. Mi vollli impegnare per dare il mio contributo. I terreni in questione infatti, pur non essendo di proprietà dell’Ente Parco, si trovavano comunque all’interno dell’Area protetta, per cui iniziai ad approfondire il problema cercando di capire come interrompere questo andazzo.

Quando mi resi conto dei rendimenti che questo affare riservava, quando mi spiegarono e cominciai a capire quali erano le famiglie che detenevano questo business, ma soprattutto quando mi resi conto che questo non poteva essere solamente un metodo utilizzato sui Nebrodi, visti i rendimenti che esso forniva, ho ipotizzato potesse trattarsi di un affare che riguardava tutta la Regione. Avevo ragione! 

E a quel punto che cosa facesti?

A quel punto cercai di capire intanto come interrompere questo sistema. Il metodo era sempre lo stesso: le Amministrazioni locali, gli Enti regionali, e i vari Enti pubblici erano proprietari dei terreni che venivano messi a bando per l’affitto. I sindaci, gli amministratori, spesso venivano anche un po’, come dire, spinti a fare i bandi, anche se non volevano farli. Il metodo adoperato dai mafiosi era quello di partecipare ai bandi o con una società esistente o creandone una nuova, mettendovi all’interno quattro-cinque soci con nomi di calibro mafioso importante.

E quale era o qual è l’effetto di questo sistema, di questo metodo mafioso?

Il primo effetto ottenuto era che gli allevatori onesti, coloro che volevano affittare i terreni per poi comunque fare o coltivazioni o allevamento biologico, non partecipavano ai bandi perché avevano paura. Quindi il bando veniva partecipato solo da un’azienda, con incrementi a base d’asta praticamente ridicoli, di un euro addirittura, e a quel punto la gara veniva aggiudicata.

Puoi  farci qualche esempio per chiarire a chi ci legge il business mafioso? 

Facendo l’esempio di mille ettari, ce ne sono migliaia in Sicilia, venivano pagati dagli affittuari 36,40 euro a ettaro compresa l’Iva, e su quello stesso ettaro, facendo più misure sui fondi europei, cioè chiedendo più volte i contributi per lo stesso terreno, si riuscivano a ottenere anche mille-mille e trecento euro a ettaro. Insomma, per fare dei conti, su mille ettari di terreno, un contratto d’affitto veniva pagato 36.400 euro l’anno e si riuscivano a incassare su quei mille ettari anche 700-800 mila euro l’anno o addirittura un milione-un milione e trecentomila euro, a seconda della tipologia di truffa che riuscivano a mettere in atto. Appare chiaro che contratti che avevano durate medie da 6 a 9 anni, per i suddetti mille ettari, potevano valere per il contraente anche sette-otto milioni di euro.

È l’unico metodo mafioso per fare business in quel settore?

No, affatto. C’erano anche altri metodi come, per esempio quello della falsificazione degli atti legati ai contratti di affitto, che spesso avevano come controparte o persone ignare o addirittura decedute da anni. Senza considerare le persone che venivano minacciate e intimidite per costringerle a stipulare contratti di affitto pluriennali a favore di elementi, anche di spicco, della criminalità organizzata e mafiosa.

Ma sia questi terreni che cosa facevano? Venivano utilizzati?

Sui terreni in concreto i mafiosi non facevano nulla. Non ci andavano neanche, non vi portavano gli animali, non praticavano alcuna coltivazione biologica e non creavano nessun posto di lavoro. Era solo un business. All’interno di questo business, che non aveva componenti di rischio, ovviamente si infilarono le famiglie mafiose non solo dei Nebrodi ma, come ormai dimostrato, di tutta la Sicilia. La domanda che spesso mi viene posta è: “Ma com’è possibile che una persona che ha problematiche di mafia possa partecipare a un bando e vincerlo, e soprattutto come può ottenere fondi pubblici?” E lì si innesca quella che io definisco la zona grigia, attraverso l’utilizzo della normativa sugli appalti.

Antoci, la faccio anche io la domanda: com’è possibile?

La norma sugli appalti prevede il certificato antimafia (quello rilasciato dalle Prefetture con apposita istruttoria delle Forze dell’Ordine) per importi a base d’asta superiori a 150 mila euro, mentre sotto tale soglia basta l’autocertificazione. Con i numeri che abbiamo citato prima, quindi, con soli mille ettari, si pagavano appena 36.400 euro l’anno di affitto e quindi, per arrivare a 150 mila euro, ovviamente gli ettari dovevano essere almeno più di 4 mila. Per assicurarsi questi ettari di terreno, bastava dunque mantenere i contratti sotto i 4 mila ettari, per poter così produrre, al posto del caso loro autocertificavano di essere in regola con la normativa antimafia. Stiamo parlando di nomi che in Sicilia significano per esempio i Riina, o le famiglie legate ai Batanesi, quelle dei tortoriciani, cioè stiamo parlando di nomi che, e le interdittive antimafia lo hanno messo in evidenza successivamente, rappresentano tutte le più importanti famiglie mafiose siciliane. Insomma, le famiglie mafiose della Sicilia si erano prese questa torta, se l’erano divisa, e paradossalmente avevano trovato la pace tra i clan perché c’era così tanto flusso di denaro che bastava per tutti.

Dunque riusciti a capire come la mafia si faceva beffe della normativa antimafia. 

Capii che il metodo doveva essere interrotto proprio sull’aspetto della “soglia” dei 150 mila euro, perché era lì che si giocava la partita, per connivenze e per paure. Insomma, bisognava assolutamente interrompere questo “rito” dell’autocertificazione, per cui decisi di parlare con il prefetto di Messina, Stefano Trotta, e insieme pensammo di creare un “Protocollo di Legalità” per abbassare questa “soglia a zero”, con due effetti che poi abbiamo in realtà ottenuto: il primo, bloccare queste attività fraudolente frutto dei bandi, rendendo quindi assolutamente necessaria, da quel momento in poi, per chi partecipava alle gare, la presentazione di un “vero” certificato antimafia; il secondo, capire chi deteneva in affitto questi terreni con questo metodo ormai oleato che durava da anni. Quando cominciammo a capire che quello del Protocollo era un metodo che poteva funzionare, programmai un bando al Parco dei Nebrodi, per un fondo di 400 ettari (gli unici di proprietà dell’Ente). E lo feci appositamente per capire cosa sarebbe successo se lo avessi fatto scadere qualche giorno prima della firma del Protocollo. Insomma, un bando civetta. 

Geniale il bando civetta. E che cosa accadde?

Decisi di pubblicare quel bando e lo feci scadere 10 giorni prima della firma del Protocollo in Prefettura e, come da copione, crearono una società nuova, mettendo dentro quattro nomi, vinsero la gara, perché non partecipò nessuno, ma io la feci aggiudicare in maniera provvisoria. Firmato il Protocollo, scrissi al Prefetto pregandolo di controllare i quattro nomi “ai sensi e per gli effetti” del Protocollo stesso. Ebbene, interdittive antimafia per tutti. A quel punto revocai subito il bando e denunciai tutti in Procura per false attestazioni. Da lì la guerra… 

Bene vedo che hai creato un vero e proprio metodo operativo. Prima di passare ad altro, ti faccio una domanda intima… Che rapporto hai con la paura?

La paura è una mia compagna, mi sta vicina ogni giorno. A volte mi accarezza e a volte mi attanaglia. Ci convivo e tento di gestirla provando a trasformarla in coraggio. L’affetto e la stima della gente in questo mi aiuta molto così come mi aiutano i ragazzi della mia scorta sempre al mio fianco come quella notte dell’attentato.

Combatti contro la mafia, ma oggi la mafia per te cosa è di preciso?

La mafia è un sistema complesso all’interno del quale si annidano tanti che con essa non solo fanno affari ma ne costruiscono anche le loro carriere, anche politiche. La mafia è utilizzare le connivenze dei cosiddetti colletti bianchi per fare affari sottotraccia e per insinuarsi nelle istituzioni. 

Cosa bisogna fare per affrontarla in modo efficace?

La mafia è un fenomeno sociale e culturale che si combatte in un solo modo: facendo ognuno il proprio dovere… Fino in fondo.. ovunque ci si trovi ad operare. Bisogna ripartire da lì, perché fare il proprio dovere in questo Paese deve essere normale. Di simboli ed eroi ne abbiamo avuti abbastanza e il miglior modo per onorare le loro morti è quello proprio di impegnarsi facendo il proprio dovere.

La classe dirigente, politica e non, del nostro Paese è consapevole che la mafia è il primo problema secondo te?

Che ci sia una sottovalutazione nella priorità da dare alla lotta alla mafia è innegabile. Sono stati fatti tanti passi avanti anche dal punto di vista legislativo come, per esempio, l’approvazione del Nuovo Codice Antimafia, ma abbassare la guardia e pensare che questo tema non sia prioritario per questo Paese è un errore che non possiamo permetterci.

Una cosa che non sopporto è il cosiddetto “mascariamento” termine siciliano che ti prego se possibile di spiegare, in quanto rientra nella strategia di cosa nostra per deliggittimare chi combatte, come fece con Falcone a suo tempo…

È il tema dei temi quello che utilizzano coloro che vogliono fare i professori dell’antimafia, quelli che sanno tutto e che poi se gli chiedi di concreto cosa hanno fatto nella lotta alla mafia ti parlano di grandi sistemi e non prendono mai posizioni. E’ un tema violento che colpisce il cuore e l’anima, che ti fa provare tanta solitudine e, soprattutto, quando è fatto da chi invece dovrebbe starti al fianco, per scelta e per posizione, ti fa apparire il mondo al contrario. Hanno provato con Falcone e oggi tanti di loro li trovi a battere le mani alle commemorazioni in suo onore. Hanno tentato e tentano di farlo nei confronti di Paolo Borrometi tentando di zittirlo senza mai riuscirci. Hanno tentato e tentano di farlo anche contro di me, ma io vado avanti e per “loro” la giustizia sta facendo il suo corso con condanne per diffamazione aggravata passate già in giudicato e rinvii a giudizio in corso. Se pensano di fermarmi così hanno scelto una strada sbagliata. Io non mi fermo…

Una tua caratteristica che aveva pure Caponnetto è quella che sei un uomo con la schiena dritta… Cosa ti da la forza di andare avanti nella tua battaglia?

La forza me la danno le persone, tutti coloro che incontro per strada e mi dicono “vada avanti Presidente”, tutte le migliaia di studenti che incontro nelle scuole e nelle Università di tutta Italia che appassionati seguono e cercano di ritagliarsi un pezzetto di responsabilità in questo progetto di Legalità che li deve vedere sempre più protagonisti. La mia famiglia che non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio sempre in prima linea con la solita frase “ci siamo noi”… “andiamo avanti”.

Cambiamo tema, una delle tue passioni è pure l’Europa, come vedi l’idea del gruppo di Ventotene e di Churchill degli Stati Uniti d’Europa, ossia di un unico Stato Federale che coniughi il modello Usa, Svizzero e Canadese?

Gli Stati uniti d’Europa sono l’obbiettivo che a mio parere dobbiamo avere nella testa e nel cuore. Pensiamo come lavorerebbe un Parlamento Europeo con reali poteri legislativi, una politica fiscale ed estera unica, una Procura Antimafia ed Antiterrorismo europea, la lotta alla povertà gestita a livello più ampio investendo sul lavoro, sulla cultura, sui diritti civili, sull’Ambiente.  Le nuove generazioni ci sono su questo tema, manca una forte consapevolezza di chi ha il timone in mano. In quell’isola di Ventotene, si comprese che l’unità europea era l’unico modo per dare una prospettiva lungimirante e comune. Quella prospettiva è ancora attuale e urgente e occorre su questo tema fare squadra senza indugio.

Ed ora una domanda conclusiva più economica. Vedi un futuro per l’Italia, per la sua economia e come usciresti dalla crisi?

Il tema sono i redditi e il cuneo fiscale collegati tra loro da un sempre più vorticoso problema che si autoalimenta e si blocca soffocato dal debito pubblico. Dobbiamo avere la capacità di intervenire sulla povertà e, nel contempo, far ripartire gli investimenti ed aiutare le piccole e medie imprese, motore e volano storico di questo Paese. Non dobbiamo scherzare con l’emarginazione che crea il disagio economico e che ha portato la classe media del Paese ai limiti della soglia di povertà. Far ripartire i redditi significa far ripartire i consumi e ciò deve essere fatto con prudenza ma anche con urgenza.

Caro Beppe Antoci ti ringrazio della bellissima chiacchierata. Un abbraccio… Ovviamente se continueranno ad attaccarti ci avrai al tuo fianco.

*L’autore dell’intervista, Salvatore Calleri, nostro editorialista, è presidente della Fondazione Caponnetto. La lotta alla mafia attraverso la conoscenza e il disvelamento dei suoi affari, delle sue collusioni, delle sue infiltrazioni nelle istituzioni sono i tratti distintivi della attività della Fondazione che porta il nome del magistrato che ha dedicato la sua vita alla giustizia e alla lotta senza quartiere alle organizzazioni mafiose ad ogni latitudine.  

Con questa intervista inauguriamo un ciclo di interviste a persone che ogni giorno, con ogni mezzo, in ogni dove, dedicano la loro vita alla lotta alle organizzazioni mafiose. 

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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Comune revoca cittadinanza al duce, la dà a Matteotti

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Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.

“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.

A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.

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Becciu: Papa Francesco aveva la soluzione, non possono escludermi

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Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.

Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.

La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.

Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.

Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.

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