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Nino Di Matteo rimosso dal pool stragi della Direzione nazionale antimafia perchè ha spiegato in tv alcune sentenze sulla trattativa Stato-mafia

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Se qualcuno ha letto le sentenze degli omicidi di Falcone e Borsellino. Se qualcuno ha letto le sentenze dei processi di mafia più importanti recenti e passati. Se qualcuno ha letto le carte del processo in corso sulla trattativa Stato-mafia. Insomma se qualcuno ha a cuore la verità sulle stragi di mafia in questo Paese, sa che molte cose che nessuno ha mai letto sui giornali o ascoltato in tv, altro non sono che sentenze della Suprema Corte di Cassazione. L’intervista sui mandanti occulti della strage Falcone rilasciata a “La7″ da Nino Di Matteo, il pm palermitano che ha istruito il processo “Trattativa” ed  é sostituto della direzione nazionale antimafia, era semplicemente un ripasso di quanto accaduto. Dopo la puntata di “Atlantide” andata in onda sabato 18 maggio, “il procuratore capo Federico Cafiero de Raho ha rimosso – scrive su Repubblica Salvo Palazzolo, coautore assieme a Di Matteo del libro dal titolo “Collusi” –  il magistrato dal neonato pool stragi, che da due mesi indaga sulle entità esterne nei delitti eccellenti di mafia”.

Salvatore Borsellino. Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia in difesa del Pm Nino Di Matteo

Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Già da martedì passato Di Matteo è fuori dal pool. Tutto comunicato al Consiglio superiore della magistratura. Il fascicolo non è stato ancora incardinato nei lavori della commissione che si occupa di assegnazioni e revoche, ma il dibattito si è già aperto fra le varie componenti. E i toni si annunciano accesi. Un provvedimento che appare eccessivo, che poggia su quella intervista. Intervista dove non vengono rivelati segreti investigativi ma rinfrescata la memoria su vicende già indagate e sentenze già emesse sulla profonda compromissione di pezzi importanti dello Stato in una trattativa con la mafia. Processo ancora in corso, certamente, ma che già ha dato luogo a sentenze. E le sentenze sono pubbliche, non sono segreti di Stato anche quando trattano di “trattative” tra Stato e mafia.
Sul tavolo del Cdm c’è la questione che da sempre ha diviso la magistratura, le interviste dei pm. Cafiero de Raho contesta a Di Matteo di aver interrotto il “rapporto di fiducia all’interno del gruppo e con le direzioni distrettuali antimafia” impegnate nelle indagini sulle stragi. Ovvero, di avere risposto al conduttore della trasmissione, Andrea Purgatori, con delle analisi che ricalcano le piste di lavoro riaperte sulle stragi, su cui si sta discutendo in riunioni riservate.
Al Csm, qualcuno osserva però che Di Matteo ha fatto riferimento esclusivamente ad elementi noti: il ritrovamento, accanto al cratere di Capaci, di un biglietto scritto da un agente dei servizi segreti, e poi anche di un guanto con un Dna femminile. Il magistrato ha ricordato pure la scomparsa del diario di Falcone, da un computer al ministero della Giustizia, e ha ribadito l’ipotesi che alcuni appartenenti a Gladio abbiano avuto un ruolo nella fase esecutiva della strage del 23 maggio 1992. Tutti punti che per Di Matteo fanno sospettare presenze esterne sul teatro dell’attentato.
Ma questa ricostruzione in tv di elementi già noti è finita sotto accusa. Il procuratore nazionale aveva nominato Di Matteo nel nuovo pool assieme ad altri due magistrati palermitani, Franca Imbergamo e Francesco Del Bene. Sono state già fatte diverse riunioni di coordinamento con i procuratori di Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria e Firenze, che a vario titolo si occupano dei misteri di Cosa nostra. Adesso, per Di Matteo, il ritorno al vecchio incarico in Dna, il collegamento con le indagini antimafia di Catania. In attesa delle valutazioni del Csm. Per il procuratore nazionale antimafia Cafiero avrebbe anticipato i filoni di indagine in corso. Una bomba atomica che deflagrerà e che farà piacere sicuramente solo ad un soggetto in campo: la mafia. Perchè la mafia gode quando lo Stato arranca. E occupa ogni spazio che lo Stato lascia libero.

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Fassino denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino, informativa in Procura

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Arriverà nelle prossime ore in Procura una prima informativa su Piero Fassino, denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino. Gli investigatori della Polaria hanno raccolto tutti gli elementi – comprese le immagini registrate dalle telecamere del sistema di videosorveglianza – e le trasmetteranno all’autorità giudiziaria competente, quella di Civitavecchia, che valuterà come procedere. Fassino, in quanto parlamentare, non è stato ascoltato ma – spiegano fonti investigative – se vorrà potrà rilasciare dichiarazioni spontanee.

Già ieri il deputato del Pd – parlamentare per 7 legislature, ex ministro della Giustizia dal 2000 al 2001, poi segretario dem fino al 2007 e sindaco di Torino per cinque anni dal 2011 al 2016 – ha fornito la sua versione sostenendo di aver già chiarito con i responsabili del duty free la questione: “volevo comprare il profumo per mia moglie, ma avendo il trolley in mano e il cellulare nell’altra, non avendo ancora tre mani, ho semplicemente appoggiato la confezione di profumo nella tasca del giaccone, in attesa di andare alle casse”. In quel momento, ha aggiunto, “si è avvicinato un funzionario della vigilanza che mi ha contestato quell’atto segnalandolo ad un agente di polizia.

Certo non intendevo appropriarmi indebitamente di una boccettina di profumo”. Fassino ha anche sostenuto che si era offerto subito di pagarla e di comprarne non una ma due, proprio per dimostrare la sua buona fede, ma i responsabili hanno comunque deciso di sporgere denuncia. Al parlamentare del Pd, dopo quella espressa ieri dal deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci, è arrivata la solidarietà del coordinatore di Fratelli d’Italia in Piemonte Fabrizio Comba. “Conosco l’uomo e il politico integerrimo, il tritacarne mediatico in cui è stato infilato è indecoroso per la sua storia personale e, quindi, anche per la storia del nostro paese. E’ un avversario politico – ha concluso Comba – ma non per questo mi permetto di dubitare della sua integrità, convinto delle sue straordinarie qualità morali”.

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Nozze d’argento boss in chiesa con le spoglie di Falcone

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Lui abito scuro, con gilet, pochette e cravatta color madreperla, lei abito bianco scollato lavorato con tessuto di pizzo e bouquet di rose rosse. La coppia d’oro delle famiglie mafiose palermitane, Tommaso Lo Presti, detto “il grosso”, per distinguerlo dall’omonimo detto “il lungo”, e la moglie Teresa Marino, ha festeggiato in grande stile, con amici e familiari l’anniversario dei 25 anni di matrimonio il 15 aprile scorso.

La coppia, lui è stato scarcerato da poco dopo anni di detenzione per mafia ed estorsioni, lei pure condannata per mafia, ha scelto per la cerimonia religiosa in cui rinnovare la promessa d’amore un luogo simbolico, la chiesa di San Domenico, che si trova in una delle piazze più belle di Palermo e che è nel cuore del mandamento mafioso di cui Lo Presti era al vertice. Nel complesso in cui è inserita la chiesa c’è anche il pantheon dei siciliani illustri, da Giuseppe Pitrè a Giacomo Serpotta, in cui sorge anche la tomba monumentale che ha accolto, dal 2015, le spoglie di Giovanni Falcone. I mafiosi quindi sono stati accolti dai frati, che gestiscono il complesso, per celebrare la benedizione delle nozze d’argento.

Padre Sergio Catalano, frate priore della chiesa, afferma di aver saputo chi fosse l’elegante coppia solo leggendo le notizie del sito d’informazione Palermotoday che ha pubblicato la notizia alcuni giorni dopo la cerimonia. “Le verifiche non spettano a noi – aggiunge – ci sono organi istituzionali che devono farlo”. Ma la coppia della cosca di Portanuova, lui è sorvegliato speciale e deve rientrare in casa entro una certa ora, poteva tranquillamente far celebrare la cerimonia in qualsiasi posto. La valutazione dell’opportunità di ospitare due mafiosi di questo calibro nel complesso dove ci sono le spoglie del magistrato ucciso dalla mafia spetterebbe a chi ha la responsabilità di quei luoghi.

Alla chiesa Lo Presti ha lasciato anche un’offerta che padre Catalano dice “servirà a fare del bene a chi ne ha bisogno”. Dopo la cerimonia a san Domenico la coppia ha festeggiato, nei limiti temporali concessi al sorvegliato speciale, in una villetta allietata anche dalle canzoni di due noti neomelodici. Dopo l’arresto di Lo Presti, 48 anni, nell’operazione Iago nel 2014, gli investigatori scoprirono il ruolo della moglie che il giudice che l’ha condannata descrive così: “Teresa Marino durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio”.

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Sindaci Ue rivendicano diritto a imporre limiti velocità

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Imporre i limiti di velocità sia una prerogativa di città e regioni. A chiederlo sono i 13 firmatari tra sindaci e vicesindaci di città europee che dalle colonne del Financial Times criticano alcune iniziative promosse in Italia, con la riforma del codice della strada, e nel Regno Unito che potrebbero impedire a città e comuni di attuare misure per la sicurezza stradale, come l’introduzione di limiti di velocità più bassi e telecamere per il controllo del traffico. Da Bologna a Firenze e Milano, passando anche da Amsterdam, Bruxelles e Helsinki. Tra i firmatari italiani Matteo Lepore e Dario Nardella, sindaci di Bologna e Firenze e la vice sindaca e assessora alla mobilità di Milano, Arianna Censi.

La lettera fa esplicito riferimento al disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso settembre per riformare il codice della strada, criticato anche in Italia da varie associazioni perché ritenuto svantaggioso per i pedoni. Per sindaci e vice le nuove norme ostacolerebbero “gravemente” la capacità delle autorità locali di creare zone a traffico limitato, installare autovelox e fissare limiti di velocità inferiori che invece sono fondamentali per abbattere le emissioni e rendere anche le strade più sicure. Nella missiva non si fa riferimento solo all’Italia. I firmatari prendono di mira anche il “piano per i conducenti” nel Regno Unito che punta a introdurre misure altrettanto restrittive e alle resistenze in Germania, dove il governo ha finora resistito agli sforzi di oltre 1.000 comuni che vogliono un maggiore controllo sui limiti di velocità locali.

“Politiche nazionali come queste, basate non sulla scienza ma sull’opportunità politica, danneggiano la capacità delle autorità locali di prendere decisioni sul miglioramento della sicurezza e della salute dei propri cittadini”, accusano i rappresentanti locali. Sottolineando l’importanza di limiti di velocità più bassi nelle aree urbane – si legge ancora nel testo – che “stanno prevenendo le morti e migliorando la vita oggi nelle città di tutta Europa”. Non “si tratta di limitare la libertà degli automobilisti, ma di rendere le strade più sicure per tutti, ridurre il rumore e l’inquinamento e rendere la città più invitante per coloro che scelgono forme di trasporto più salutari come camminare e andare in bicicletta”. Insieme ai tre rappresentanti italiani la lettera è siglata anche da Alison Lowe, vicesindaco di West Yorkshire; Thomas Dienberg, vicesindaco di Lipsia; Frauke Burgdorff responsabile della pianificazione di Aquisgrana; Philippe Close, sindaco di Bruxelles; Mathias De Clerq, sindaco di Gand; Melanie Van der Horst, vicesindaco, di Amsterdam; Vincent Karremans, vicesindaco di Rotterdam; Karin Pleijel vicesindaco di Göteborg; Andréas Schönström vicesindaco di Malmö; Juhana Vartiainen, sindaco di Helsinki.

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