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Cronache

Napoli, 39enne muore al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare: la famiglia denuncia e chiede verità

Una 39enne è morta per arresto cardiaco al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare di Napoli dopo essere stata sedata e legata al letto. La famiglia denuncia e chiede chiarezza alla Procura.

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È morta dopo essere stata sedata e legata al letto nel pronto soccorso dell’Ospedale del Mare di Napoli. La vittima, una donna di 39 anni che soffriva di crisi epilettiche, è deceduta lo scorso 12 settembre alle 7:45, stroncata da un arresto cardiaco.

Secondo la ricostruzione dei familiari, la donna – indicata con il nome di fantasia Cristina – era arrivata al pronto soccorso circa 24 ore prima a bordo di un’ambulanza del 118. Inizialmente sedata perché si alzava spesso dal letto disturbando gli altri degenti, era poi stata immobilizzata a causa del suo stato di agitazione.

L’unico parente ad averla vista legata al lettino è il cognato, che insieme al marito e al resto della famiglia ha chiesto che venga fatta piena luce sulla vicenda. I familiari, assistiti dall’avvocato Amedeo Di Pietro, hanno deciso di presentare una denuncia alla Procura di Napoli.

Secondo il legale, i primi risultati clinici non mostravano parametri critici. La donna, dopo un primo allontanamento per errore dal presidio, era stata registrata nuovamente il 10 settembre per un secondo ingresso.

L’avvocato Di Pietro, che in passato si è già occupato di un caso simile – la morte di Alfredo Fico, 25 anni, deceduto nel 2019 nello stesso ospedale durante un trattamento sanitario obbligatorio – sostiene che anche in questa occasione vi siano aspetti da chiarire sulle procedure adottate dal personale medico.

La famiglia ora attende che la magistratura apra un’inchiesta per ricostruire nel dettaglio le ultime ore di vita di Cristina e stabilire eventuali responsabilità.

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Cronache

Gratteri: “L’intelligenza artificiale sarà il trampolino per le indagini del futuro, ma serve un’Europa federale”

Il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri lancia l’allarme sull’uso dell’intelligenza artificiale nelle indagini e sulla fragilità digitale italiana: “Servono migliaia di esperti e un’Europa federale”.

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Tra sfide e opportunità, ma anche non pochi rischi, l’intelligenza artificiale rappresenta per Nicola Gratteri “il trampolino di lancio per le investigazioni del futuro”. Il procuratore capo di Napoli ha lanciato un appello durante la presentazione del libro Intelligence di Mario Caligiuri, professore dell’Università della Calabria e presidente della Società italiana di Intelligence, in un incontro moderato dal direttore de Il Mattino Roberto Napoletano.

“Serve un’Europa federale per essere competitivi”

Secondo Gratteri, la chiave per affrontare la sfida tecnologica è la coesione europea. «L’Europa deve ritrovare compattezza e comunione di intenti, ma serve un vero Stato federale. Da soli non ce la facciamo. Fino a pochi anni fa Francia e Germania venivano a scuola da noi per imparare le tecniche investigative più avanzate, oggi non è più così».

“Coinvolgere i nativi digitali per difendere lo Stato”

Il capo della Procura partenopea ha evidenziato il bisogno urgente di rafforzare la sicurezza informatica e di coinvolgere le nuove generazioni: «Dobbiamo rivolgerci ai nativi digitali, ai ragazzi appassionati di informatica. Le forze dell’ordine stanno iniziando a formare personale specializzato, ma sono ancora poche decine di persone: ne servono migliaia. Gli attacchi hacker continuano a colpire con troppa facilità — è stato violato perfino il dominio del Ministero della Giustizia — segno della nostra fragilità».

“L’intelligence deve uscire da Consip”

Gratteri ha poi criticato i limiti strutturali e burocratici che rallentano la modernizzazione della macchina investigativa: «L’intelligence deve uscire da Consip. Non possiamo lavorare con avanzi di magazzino per risparmiare. Servono tecnologie all’avanguardia e risorse adeguate. Dopo Olivetti abbiamo perso le nostre eccellenze, e oggi l’Europa è poco attrezzata: le banche dati sono negli Stati Uniti e l’AI è controllata da tre aziende nel mondo».

L’intelligence come strumento sociale

Nel dibattito, al quale hanno partecipato rappresentanti delle forze dell’ordine e studenti di scuole napoletane, si è sottolineato come l’intelligence non sia solo uno strumento militare o investigativo, ma anche una necessità sociale.
«Aiuta i cittadini a difendersi dalla disinformazione e le imprese a competere in un mondo globalizzato — ha ricordato Caligiuri —. Educazione e sicurezza nazionale sono collegate: nel tempo dell’intelligenza artificiale, la democrazia è in affanno. L’uomo deve restare al centro o non sapremo più distinguere il vero dal falso».

Il caso Sandokan e il tema della verità

Solo due giorni prima, nella sua trasmissione Lezioni di Mafie su La7, Gratteri aveva affrontato un altro tema cruciale: la mancata collaborazione di Francesco Schiavone, detto Sandokan, boss dei Casalesi. «Volevamo capire cosa è davvero accaduto in provincia di Caserta, chi sversava rifiuti tossici e avvelenava il territorio. Ma chi chiede protezione deve dire tutta la verità. Non si può tacere su nomi e responsabilità».

Un richiamo che unisce due fronti per il procuratore: verità e innovazione, come uniche strade per difendere la democrazia dalle mafie e dalle nuove minacce digitali.

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Cronache

Camorra e festa dei Gigli di Barra: il pentito Amaral svela presunti affari e pressioni per “fare cassa”

Un collaboratore di giustizia racconta i presunti retroscena camorristici dietro la festa dei Gigli di Barra. Pressioni sulle paranze per “fare cassa” e ottenere consenso nel quartiere.

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Un sistema per fare cassa e controllare il territorio, anche attraverso uno degli eventi popolari più sentiti della periferia orientale di Napoli: la festa dei Gigli di Barra. È quanto emerge dalle dichiarazioni di Antonio Amaral Pacheco De Oliveira, classe 2001, oggi collaboratore di giustizia, che ha iniziato a raccontare ai magistrati retroscena e dinamiche legate alla camorra locale.

Le rivelazioni del collaboratore

Amaral, arrestato lo scorso aprile per il sequestro lampo di un ragazzo di 17 anni, sta collaborando con la giustizia e avrebbe svelato presunte connessioni tra il mondo criminale e la gestione di alcune “paranze” attive durante la festa.
«La camorra usa i gigli per fare cassa, con i soldi che danno commercianti e imprenditori», ha dichiarato ai magistrati.

Secondo quanto raccontato, dietro alcuni dei gigli storici si celerebbero interessi di famiglie legate ai clan locali, come i Cuccaro e gli Aprea. Obiettivo: raccogliere denaro attraverso pressioni estorsive e al tempo stesso ottenere consenso popolare, presentandosi come “benefattori” nei quartieri più popolari.

Il contesto dell’inchiesta

Le dichiarazioni di Amaral si inseriscono nell’inchiesta coordinata dai pm Stefano Capuano e Henry John Woodcock, sotto la supervisione del procuratore aggiunto Sergio Amato.
L’indagine, partita dal sequestro del 17enne, avrebbe svelato un intreccio di affari illeciti, estorsioni e riciclaggio, con un presunto sistema di false fatturazioni e un giro di denaro da oltre cinque milioni di euro.

Amaral, nel suo racconto, ha descritto anche le ore del rapimento: «Il sequestro è durato circa otto ore. L’ho trattato bene, gli ho offerto da bere, ho cercato di rassicurarlo». Il movente, secondo i pm, sarebbe stato economico: una forma di pressione per spingere il padre del ragazzo – un imprenditore in difficoltà – a restituire denaro a persone legate alla criminalità.

La festa dei Gigli tra devozione e ombre

La festa dei Gigli di Barra è una delle tradizioni più antiche e sentite dell’area metropolitana di Napoli. Migliaia di persone partecipano ogni anno, e l’evento viene seguito anche all’estero grazie ai canali social. Dietro la passione popolare e l’impegno di tanti cittadini e artigiani, tuttavia, secondo l’inchiesta emergono zone d’ombra che la magistratura ora vuole chiarire.

Gli investigatori stanno verificando la veridicità delle affermazioni del collaboratore di giustizia, che ha aperto uno squarcio su un sistema di controllo del consenso e gestione dei fondi che ruoterebbe intorno alle manifestazioni popolari del quartiere.

L’obiettivo ora è accertare eventuali infiltrazioni camorristiche e restituire piena trasparenza a una festa che da secoli rappresenta un simbolo di identità, lavoro e orgoglio per tutta la comunità di Barra.

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Cronache

Addio a Michele Morello, il giudice che assolse Enzo Tortora: “Un uomo giusto e libero”

È morto a 93 anni Michele Morello, il giudice della Corte d’Appello di Napoli che assolse Enzo Tortora nel 1986. Le Camere Penali lo ricordano come “un uomo giusto che restituì la verità a un innocente”.

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Si è spento a 93 anni Michele Morello, il giudice della Corte d’Appello di Napoli che il 15 settembre 1986 firmò la sentenza di assoluzione di Enzo Tortora, chiudendo uno dei capitoli più dolorosi della storia giudiziaria italiana.

Fu lui, relatore della decisione che — a tre anni dall’arresto del celebre conduttore televisivo — smontò l’impianto accusatorio costruito sulle dichiarazioni di falsi pentiti e restituì dignità e libertà a un uomo innocente.

Un giudice giusto ed equo — ha ricordato l’Unione Camere Penali Italiane — che lesse, con l’attenzione che nessuno prima vi aveva dedicato, gli atti del processo a carico di Tortora e riuscì a sciogliere la matassa infame dei falsi pentiti che avevano accusato un uomo perbene”.

Nel novembre 2023 Morello aveva ricevuto il Premio internazionale Nassiriya per la Pace, un riconoscimento conferito “a persone che si sono distinte nella promozione della legalità e dell’impegno civile”. In quell’occasione, l’Unione Camere Penali sottolineò come “senza enfasi mediatiche, con la forza della sua cultura giuridica e la pace della sua coscienza, studiò le carte processuali, riportando la vicenda giudiziaria sui binari della verità e mettendo fine a uno dei più clamorosi casi di malagiustizia del Paese”.

Con la scomparsa di Michele Morello, la magistratura italiana perde una figura simbolo della giustizia autentica, capace di anteporre la verità alle pressioni e alle mode del tempo.

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