La sfida dell’Iran nel ‘Grande gioco’ mediorientale rimane lì sul tavolo, anche dopo la morte del presidente Raisi, ma, nel medio termine, qualcosa potrebbe cominciare a cambiare. La strategia di politica estera dei mullah negli ultimi anni è stata centrata su tre punti molto chiari: isolamento di Israele e aumento contenuto della tensione con lo Stato ebraico, alleanze strategiche con altre autocrazie, a cominciare della Russia, e cauto avvicinamento al mondo sunnita, cominciando con l’Arabia Saudita. La guerra in Ucraina e quella a Gaza, dove l’Iran ha svolto e svolge un ruolo importante, hanno da un lato reso evidenti e spinto i primi due punti, ma hanno anche fermato il percorso del terzo punto, quello che avrebbe potuto potenzialmente disegnare un nuovo Medio Oriente.
La guerra in Ucraina ha portato ad una stretta alleanza militare con la Russia, alla quale l’Iran ha fornito, tra l’altro, i droni che sono stati uno dei punti di forza della controffensiva in Ucraina. La guerra a Gaza ha portato la tensione con Israele a livelli altissimi culminati con il primo attacco iraniano in territorio israeliano e alla risposta di Tel Aviv. In entrambi i casi, per fortuna, i due contendenti hanno tenuto ben saldo il piede sul freno limitandosi ad attacchi più simbolici che altro, nella consapevolezza che si era arrivati sull’orlo del burrone di una devastante guerra regionale. Ma la guerra di Gaza ha avuto l’effetto di bloccare il dialogo avviato tra Arabia saudita e Israele per un accordo simile a quelli di Abramo che avevano già legato lo Stato ebraico a Bahrein, Emirati Arabi, Marocco e Sudan.
Questo è stato uno degli effetti collaterali più importanti nel nuovo disegno geopolitico del Medio Oriente allargato. L’Iran è lo sponsor di movimenti come Hezbollah, Houthi e Hamas che da Teheran vengono finanziati e appoggiati politicamente oltre a ricevere rifornimenti bellici, know how e addestramento. L’attacco del 7 ottobre ha avuto una valenza politica importante proprio nel bloccare il nuovo dialogo tra Tel Aviv e Riad. Ma, allo stesso tempo, ha fermato anche il disgelo tra Teheran e Riad che da poco avevano riallacciato le relazioni diplomatiche dopo anni di gelo e tensioni.
È interessante sottolineare che l’artefice di questo riavvicinamento è stata quella Cina cha da tempo sta aumentando la sua influenza in Medio Oriente, nel Mediterraneo e in Africa. In questa fase è invece ripartito, in maniera sotterranea, il dialogo fra Israele e Arabia saudita. La morte improvvisa di Raisi non cambierà la postura di Teheran in tempi brevi, ma le elezioni anticipate costringeranno probabilmente i vertici di Teheran ad affrontare in anticipo il tema della successione di Khamenei, 84enne e, secondo voci ricorrenti, gravemente malato. Non è un mistero che Raisi, uomo durissimo nel combattere gli oppositori e nel reprimere ferocemente le proteste di piazza, era in pole position per una naturale successione a Khamenei.
A questo va aggiunto che i Pasdaran stanno diventando progressivamente più potenti e che il ruolo dell’esercito sta crescendo molto. Gli equilibri interni del regime stanno insomma mutando, per quanto possano mutare all’interno di un sistema rigido ed autocratico. Da questa situazione potrebbero arrivare cambiamenti all’interno degli equilibri del regime, anche in direzione di un’ulteriore maggiore durezza nella proiezione internazionale di Teheran.