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Minniti si candida da Fazio e si ritira su Repubblica, Renzi costruisce il suo partito. Il Pd è nel caos

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Marco Minniti si era candidato con una intervista da Fabio Fazio e si è ritirato da candido alla guida del Pd con un’intervista a Repubblica. In un’intervista al quotidiano diretto da Mario Calabresi, Marco Minniti spiega il perchè dell’annuncio del ritiro della sua candidatura a segretario del Pd. Lui dice che l’ha fatto “per salvare il partito”. L’ex ministro si augura quindi che dalle primarie esca “una leadership forte”. “Quando ho dato la mia disponibilità alla candidatura – afferma Minniti al quotidiano – sulla base dell’appello di tanti sindaci e di molti militanti che mi hanno incoraggiato e che io ringrazio moltissimo, quella scelta poggiava su due obiettivi: unire il più possibile il nostro partito e rafforzarlo per costruire un’alternativa al governo nazionalpopulista”.

Colpa di Matteo Renzi, che oramai  lavora quasi alla luce del sole per il suo nuovo partito. Dell’appoggio all’ ex ministro dell’ Interno oramai se ne frega. Peraltro, l’ex segretario ieri a Bruxelles ha incontrato Frans Timmermans e ha pranzato con liberale MargretheVestager, intercettando anche Juncker e Moscovici. E ha visto gli europarlamentari dem. Obiettivo? Convincerli della necessità di un nuovo “contenitore” che agisca da cerniera tra sinistra e centro, persuaderli che la cosa da fare in vista delle Europee è un’alleanza di tutte le forze anti populiste. E convincerli che lui è il leader migliore possibile per unire tutti. Con lui, c’era Sandro Gozi, che da mesi lavora all’ipotesi di una lista con Emmanuel Macron. “Minniti irritato? Non mi occupo del congresso” ha risposto. Con Minniti fuori dai giochi un candidato per l’ala renziana ci sarebbe già, ed è Maurizio Martina, che, correndo in ticket con Matteo Richetti, può veder convergere su di lui quei voti. Abbastanza per insidiare Nicola Zingaretti? Pare difficile. Sempre poi che lo schema resti questo: sullo sfondo, continua ad aleggiare la figura di Paolo Gentiloni, come salvatore di un partito allo sbando. Per dare un  senso di quel che accade nel Pd prendiamo a prestito una espressione usata da Carlo Calenda, ex ministro, big del Pd che doveva rinascere dalle ceneri della sconfitta elettorale del 4 marzo passato. “Emiliano non è più iscritto al Pd ma è il candidato del Pd. Renzi è un senatore del Pd ma si candiderà con un suo partito. Minniti è candidato alla segreteria indipendente da Renzi ma si ritira perché non ha l’appoggio di Renzi. Bello. Altre idee?” è un tweet di Calenda che riassume il clima da manicomio nel Pd. Una torre di Babele con un gruppo dirigente litigioso ed elettori in fuga.

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Mattarella,Servizio sanitario da difendere e da adeguare

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“Il servizio sanitario nazionale è un patrimonio prezioso, da difendere e adeguare. E in questo la riflessione delle Regioni, in dialogo con il Paese e con la società, è particolarmente importante”. Mentre la legge di Bilancio entra nel vivo, palesando tutti i limiti di spesa e le difficoltà nel reperire le risorse, Sergio Mattarella tocca un nervo scoperto, quello della Sanità pubblica. Lo fa con poche parole che sono miele per la maggior parte dei governatori riuniti a Torino per una grande kermesse chiamata il “Festival delle regioni”.

Per le regioni infatti la spesa sanitaria costituisce il maggior onere gestionale sia in termini finanziari che organizzativi. Un onere che si abbatte violentemente sugli enti locali: basti pensare che la spesa in Sanità ha recentemente sforato il 13 per cento del totale della spesa pubblica complessiva. Non aggiunge altro il presidente della Repubblica ma l’assist è stato fornito. Il primo ad approfittarne è proprio il presidente della Conferenza delle regioni, Massimiliano Fedriga, che da tempo chiede “l’integrazione del fondo sanitario”. Le regioni, spiega, chiedono al governo “di incrementare il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale con la prossima Legge di Bilancio, al fine di realizzare un’efficace, innovativa e sostenibile programmazione sanitaria”. In questa giornata torinese – il Festival sarà chiuso dalla premier Giorgia Meloni – il presidente sfiora, volutamente solo lo sfiora, un altro tema caldissimo nel dibattito politico – divisivo anche tra le regioni -, quello delle Autonomie. Mattarella non si sbilancia e tanto meno entra nelle pieghe del progetto di Calderoli ma non esita a sottolineare due concetti.

Il primo è che la ” Costituzione si ispira al principio e al valore dell’Autonomia” non mancando di ribadire che “la repubblica è una e indivisibile”. Il secondo è quasi un richiamo a non confondere l’unità del Paese con superate rappresentazioni di nazionalismo: bisogna sempre, spiega Mattarella, “bilanciare questo messaggio di unità con l’Unione europea, ambito sempre più fondamentale per il futuro del nostro Paese” Ma il concetto che il presidente vuole promuovere è quello della “collaborazione”: il capo dello Stato esorta infatti la platea riunita a palazzo reale di Torino a muoversi con “il senso di servizio alle Istituzioni”, invita i governatori a “fare squadra, a collaborare secondo quello spirito che è poi un canone costituzionale della leale collaborazione”. Ricordando sempre che “le regioni sono la colonna vertebrale del nostro Paese”.

A Torino sono tutti d’accordo sull’idea generale della forza dell’autonomia differenziata ma le divergenze non mancano. Se Zaia si spinge a parlare di “un nuovo Rinascimento” spiegando che “l’autonomia non è la secessione dei ricchi o un atto sovversivo, ma è la volontà di dare compimento a quanto previsto nel dettato costituzionale”, Emiliano parla di “vedute differenti sulle modalità attraverso le quali raggiungerla”. “Non bisogna aver paura”, sintetizza il governatore della Liguria Giovanni Toti, perchè “una maggiore Autonomia non è in contrasto con l’unità del Paese”. Infine non manca la preoccupazione delle regioni sul Pnrr e a Torino il tema è stato centrale nel dibattito. Anche in questo campo è stato Emiliano a manifestare perplessità sull’eccessivo accentramento della spesa a palazzo Chigi. A rassicurare è intervenuto il ministro per gli Affari europei, il Sud e le politiche di coesione, Raffaele Fitto, che ha spiegato di essere ottimista sulla quinta rata del Piano. Parole che sono state apprezzate dal presidente Mattarella che lo ha pubblicamente ringraziato per il suo “impegno inesausto”.

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‘Abbiamo ragione, impugneremo’. Le mosse di Piantedosi

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“Impugneremo e siamo convinti che abbiamo ragioni da sostenere nel grado di giudizio successivo”. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non è turbato dalle decisioni di Iolanda Apostolico, la giudice del tribunale di Catania, sezione Immigrazione, che hanno disposto l’immediato rilascio di quattro richiedenti asilo tunisini trattenuti nell’apposito centro di Pozzallo.

“E’ la democrazia”, osserva. E l’Ufficio legislativo del ministero è al lavoro – in contatto con l’Avvocatura dello Stato – per definire la procedura di impugnazione, che potrebbe avvenire con un ricorso in Cassazione. Al Governo, più in generale, filtra fiducia sull’esito ed il titolare del Viminale assicura che, comunque, gli atti del magistrato siciliano “non frenano la nostra iniziativa, neanche nel caso di specie: si tratta di persone che cercheremo di rimpatriare attraverso le procedure accelerate che sono previste dalle leggi nazionali ed europee. Il trattenimento è solo uno strumento in più per gestire questo tipo di procedure, quindi andremo avanti sicuramente”.

Già, perché nelle intenzioni del ministro, quello di Pozzallo (84 posti), è solo il primo di una serie di strutture analoghe da realizzare sul territorio nazionale e destinate ad accogliere richiedenti per un periodo massimo di 4 settimane, il tempo di valutare la richiesta ed avere il via libera del giudice. In caso di diniego scatterebbe l’espulsione. Che non potrebbe avvenire se il richiedente si trovasse in libertà e non ristretto a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza.

L’aumento dei rimpatri è infatti tra gli obiettivi chiave della strategia dell’esecutivo. E uno dei passi decisivi per conseguirlo è rappresentato proprio dalle procedure accelerate di frontiera per chi arriva da Paesi inseriti nella lista di quelli cosiddetti “sicuri” – come la Tunisia, appunto – messe in campo con il decreto Cutro ed ulteriormente rafforzate dai successivi provvedimenti del Governo: da ultimo la contestata garanzia finanziaria di quasi 5mila euro richiesta al migrante per evitare di essere trattenuto in un centri in attesa dell’esito dell’iter della domanda di asilo. Già il decreto legislativo 142 del 2015 prevedeva che durante lo svolgimento della procedura alla frontiera può essere disposto il trattenimento “qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria”. Ed è tutto regolare, è la posizione del Viminale: sono rispettate le leggi nazionali, le direttive europee ed anche la Costituzione. E’ in discussione, in particolare, la direttiva europea 33 del 2013 che reca “norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”.

Secondo il giudice Apostolico essa prevede che “il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda”. La direttiva dettaglia i casi in cui il migrante può essere trattenuto: per verificarne l’identità e quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, tra gli altri. Viene precisato comunque che il richiedente può essere trattenuto “ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso”, salvo “se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”.

La direttiva, poi – altro punto contestato dalla magistrata catanese – indica che la procedura di frontiera non può essere svolta in una zona diversa da quella di ingresso: a Lampedusa, dove sono sbarcati i tunisini, e non a Pozzallo. E qui potrebbe esserci stato un vizio procedurale da parte del questore che ha emesso il provvedimento di trattenimento. Gli uffici legislativi stanno intanto limando l’ultimo decreto approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì scorso, prima dell’invio al Quirinale: contiene, tra le altre, misure per l’allontanamento degli stranieri pericolosi ed una stretta sull’accertamento dell’età dei minorenni soli. Anche questo si annuncia controverso.

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De Luca alla chiusura della festa dell’Unità di Napoli: problema non è terzo mandato, ma sono io senza padroni

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“Il problema non è il terzo o il quarto o il quinto mandato. Il problema è Vincenzo De Luca, un uomo libero che non ha padroni e non ha correnti. Questo perché tra la bandiera di partito e la verità scelgo la verita e perciò credo di avere il rispetto anche degli altri partiti”. Lo ha detto il governatore campano Vincenzo De Luca a chiusura della festa dell’Unità di Napoli. “Chi vi sta parlando – ha detto De Luca intervistato da Luigi Vicinanza – è il più votato d’Italia del Pd. Io ebbi il 70% dei voti. Il Pd alle Comunali di Napoli ha il 12%. Chi vi sta parlando ha preso il triplo dei voti di quello che ha preso la Schlein. Non che mi aspetti che mi si dica grazie, ma perlomeno non mi rompete le scatole, fate perlomeno le persone educate. L’educazione – ha ribadito De Luca – non è un optional vorrei ricordarlo a qualche giovanotto del Pd, ma una precondizione. Se fossimo partito serio – conclude De Luca – avremmo parlato di quanto fatto alla Regione Campania per sputare sangue e rivendicare con orgoglio le cose fatte. Ma invece siamo dei maleducati, geneticamente scostumati, almeno alcuni di noi”.

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