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Salute

Mario potrà decidere quando morire, scelto il farmaco

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“Il Tiopentone sodico appare idoneo a garantire una morte rapida (minuti) e indolore ad un dosaggio non inferiore a 3-5 grammi per una persona adulta del peso di 70 kg, La modalita’ di somministrazione e’ quella dell’autosomministrazione mediante infusione endovenosa”. E’ il responso del Gruppo Tecnico Multidisciplinare istituito dall’Asur (Azienda Sanitaria Unica Regionale) Marche per esaminare il caso di Mario, nome di fantasia del 44enne marchigiano, tetraplegico da oltre 10 anni a causa di un incidente stradale: avrebbe potuto scegliere di andare a morire in Svizzera, invece 15 mesi fa si e’ rivolto ai giudici per vedere riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito, in base alla sentenza della Corte Costituzionale ‘Cappato/Dj Fabo’. Il Tribunale di Ancona aveva ordinato all’Asur di verificare se Mario avesse i requisiti previsti dalla sentenza della Consulta per escludere che l’aiuto al suicidio costituisca reato. Requisiti individuati dal Comitato Etico Regione Marche, che pero’ aveva lasciato in sospeso la questione del farmaco da usare e delle modalita’ di somministrazione. Nodi sciolti dal Gruppo Tecnico Multidisciplinare in una relazione di 15 pagine. Un testo in cui, prendendo atto del fatto che non puo’ essere l’Asur a provvedere alla prescrizione/somministrazione del farmaco letale, gli esperti – due direttori di Unita’ operativa complessa (Anestesia-Rianimazione e Medicina legale), due direttori di Unita’ operative semplici dipartimentali (Cure palliative e Farmacia), un ordinario di Farmacologia e un dirigente Asur) – escludono l’utilizzo di altri farmaci e anche l’applicazione della sedazione profonda palliativa, che e’ “un trattamento sanitario efficace della sofferenza soprattutto nella fase finale della vita”. Mario, assistito dall’Associazione Luca Coscioni, era arrivato anche denunciare il Comitato e l’Asur Marche per i reati di tortura e omissione di atti di ufficio. Oggi L’avv. Filomena Gallo, segretario dell’associazione e componente del collegio legale di Mario, e Marco Cappato, tesoriere dell’associazione, parlano di “una svolta storica. Sul cosiddetto ‘aiuto al suicidio’, da oggi in Italia abbiamo non solo delle regole precise, stabilite dalla Corte costituzionale, ma anche delle procedure e delle pratiche mediche definite”. La stessa associazione sta seguendo anche il caso di Antonio, un altro tetraplegico marchigiano, che anche lui si e’ rivolto ai tribunali per avere il parere del Comitato Etico. Gallo e Cappato continuano anche la battaglia sul fronte referendario, perche’ “le norme in discussione in Parlamento restringono, invece che ampliare, le regole gia’ definite dalla Corte costituzionale”. Intanto sulla vicenda di Mario scendono in campo esponenti politici e associazioni come Pro Vita, Family Day e Partito della famiglia, per esprimere la loro contrarieta’ a quella che definiscono una “uccisione”, senza “una legge” o un pronunciamento del “popolo sovrano”. Il Gruppo di esperti ha risposto ai quesiti relativi alla morte “rapida” e “indolore”, non a quello sulla morte “piu’ dignitosa possibile”. “Non esiste una definizione oggettivamente valida circa ‘la ‘morte piu’ dignitosa possibile’ tra le procedure prese in esame”, dicono citando “la soggettivita’ del concetto di autodeterminazione, l’assenza di una normativa nazionale sul fine vita, la scarsa casistica sul piano della letteratura scientifica internazionale consultata e la mancanza di una consolidata esperienza clinica”. “Sara’ Mario a decidere come e quando procedere. La relazione del Comitato Tecnico Multidisciplinare dell’Asur (Azienda Sanitaria Unica regionale) Marche non prevede tempi – dice l’avv. Gallo -, Il ruolo del Servizio sanitario nazionale regionale e’ finito”. La scelta ora spetta a Mario e al medico o ai medici ai quali si affidera’. (

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Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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Salute

Una vita più lunga di 5 anni con le giuste abitudini

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Quando si tratta di longevità, il patrimonio genetico è importante. Lo stile di vita, però, lo è altrettanto, ed è in grado di compensare gli svantaggi derivanti da una cattiva predisposizione genetica. Anche le persone che hanno un profilo genetico che le espone a un maggior rischio di morte prematura, infatti, possono ribaltare la sorte e guadagnare oltre 5 anni di vita aderendo a stili di vita sani: non fumare, evitare l’alcol, avere una corretta alimentazione, svolgere attività fisica. A questo risultato è giunto uno studio internazionale pubblicato sulla rivista BMJ Evidence- Based Medicine. La ricerca ha coinvolto oltre 350 mila persone, classificandole sulla base del loro profilo genetico e dello stile di vita.

La prima scoperta a cui sono giunti i ricercatori è che le abitudini hanno un peso maggiore della genetica sull’aspettativa di vita: le persone con stili di vita dannosi avevano un rischio di morte prematura (prima dei 75 anni) del 78% più alto rispetto a quelli con stili di vita sani. La genetica, invece, aumenta solo del 21% le probabilità di morte precoce. Le cose si complicano notevolmente quando una persona con profilo genetico negativo ha stili di vita non sani: il tal caso il rischio di morire prima di compiere i 75 è più che doppio. Ciò che è più importante, però, è che quando una persona con una cattiva genetica aderisce a stili di vita sani il suo rischio si riduce del 54%.

Tradotto in anni, ciò equivale a 5,2 anni di vita guadagnati. “Le politiche di sanità pubblica per favorire stili di vita sani potrebbero costituire un potente complemento all’assistenza sanitaria e diminuire l’impatto dei fattori genetici sulla durata della vita umana”, scrivono i ricercatori. Nelle stesse ore in cui veniva pubblicato lo studio, un’altra ricerca – in tal caso condotta dall’Ufficio europeo dell’Oms – ha confermato che, per quel che riguarda gli stili di vita, la pandemia ha avuto un effetto distruttivo, soprattutto nei bambini.

La ricerca ha mostrato che, durante la pandemia, per il 35% dei piccoli tra 7-9 anni è aumentato il tempo trascorso a guardare la Tv, a usare videogiochi o social media; per il 28% si è ridotto il tempo trascorso nelle attività all’aperto. È inoltre raddoppiata, passando dall’8 al 16%, la percentuale di bambini percepiti in sovrappeso dai genitori. Per alcuni aspetti, le cose sono andate anche peggio in Italia, che è stato uno dei Paesi in cui si è più ridotto il tempo trascorso fuori (-40%) e si è registrato un più ampio aumento del sovrappeso percepito dai genitori, passato dal 10 al 25%. È anche calato il consumo di frutta e verdura e aumentato quello di snack dolci e salati. “Non possiamo permetterci di ignorare queste tendenze: nella nostra Regione, 1 bambino su 3 è in sovrappeso o obeso e già il consumo di frutta e verdura è basso”, ha detto Kremlin Wickramasinghe, esperto dell’Oms Europa. “Spero che questo rapporto faccia scattare l’allarme”.

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Salute

Borotalco al cancro, J&J propone 6,5 mld di dollari per chiudere le cause sul cancro

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Il colosso farmaceutico americano Johnson & Johnson ha presentato un piano per porre fine alle cause civili sul talco accusato di provocare il cancro in base al quale è disposto a pagare circa 6,5 ;;miliardi di dollari. “Questo piano è il culmine della nostra strategia di risoluzione consensuale annunciata in ottobre”, ha spiegato Erik Haas, vicepresidente degli affari legali di J&J, citato in un comunicato stampa. “Da quella data, il gruppo ha lavorato con gli avvocati che rappresentano la stragrande maggioranza dei ricorrenti per trovare una soluzione a questa controversia, che anticipiamo con questo piano”, ha detto. Secondo il piano, J&J ha accettato di pagare circa 6,475 miliardi di dollari in venticinque anni per reclami relativi a problemi ovarici (99,75% dei reclami attuali).

Gli altri disturbi riguardano il mesotelioma, soprannominato ‘cancro da amianto’, e vengono trattati separatamente. Il piano proposto prevede un periodo di tre mesi durante il quale i ricorrenti saranno informati della sua esistenza. Sarà convalidato se il 75% lo accetterà. Il gruppo precisa che gli avvocati dei ricorrenti che hanno collaborato al suo sviluppo “lo appoggiano”. Il talco è accusato di contenere amianto e di provocare il cancro alle ovaie. Cosa che l’azienda continua a smentire, anche se l’ha ritirato dal mercato nordamericano. Haas ha denunciato in questo senso la “distorsione degli studi scientifici”. Una sintesi degli studi pubblicati nel gennaio 2020 e riguardanti 250.000 donne negli Stati Uniti non ha trovato un legame statistico tra l’uso del talco sui genitali e il rischio di cancro alle ovaie.

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