Onorevole Presidente del Consiglio,
sconvolto dai fatti di Caivano, da ciò che è accaduto alle due cuginette bambine, ho molto apprezzato la sua risposta positiva all’invito di Don Patriciello, per una visita personale e politica al prete, al parroco, al missionario che da quelle parti sta sulla trincea della pietà e della legalità: affinché non si abbia un’ennesima declinazione della “banalità del male”, una messa in scena quotidiana della normalità dell’orrore.
Mi permetto perciò di scriverle, incoraggiato da questa sua sensibilità, a proposito degli sbarchi di migranti in Italia. Non devo ricordare io a lei i numeri in gioco, insostenibili sotto ogni profilo, data la situazione economica, organizzativa, giuridica che affligge il nostro Paese al riguardo. E proprio per questo, confesso, mi sarei aspettato altro dal Consiglio dei Ministri di ieri, dopo lo stillicidio di notizie durante la pausa estiva dell’azione collettiva di Governo. L’agenda è fitta, e forse ieri si sono gettate le basi per la sua riorganizzazione e la sua gestione.
Penso, tra le questioni strutturali, all’emergenza climatica che si fa sempre più inquietante: basta una pioggia, ormai, per mettere in ginocchio Genova e la Liguria. Penso al teatro di guerra russo-ucraino, in piena mutazione non tanto militare ma politica, tanto a Mosca quanto a Kiev.
Ma penso anche, e per l’appunto, ai migranti. Sui quali, io credo, bisogna dare non solo più efficaci risposte emergenziali -come si svuota l’hotspot di Lampedusa!- ma i.m.m.e.d.i.a.t.e. risposte politiche le quali:
i. illustrino in tre o quattro punti di poche frasi ognuno, la s.t.r.a.t.e.g.i.a. del Governo in ordine ai flussi, chiarendo cosa si vuol fare a Tunisi che, portale di ingresso sulla rotta del Mediterraneo centrale, va ripensata come piattaforma di equilibrio tra accordi (oggi insufficienti) e risorse (oggi insufficienti); e chiarendo cosa si vuol fare a Bruxelles, cioè nell’Europa assente, anche al fine di mettere in mora una volta per tutte le inadeguate personalità che la guidano, e cioè Ursula von der Leyen e Charles Michel, cominciando a prepararne l’indispensabile successione. Avendo cura, si capisce, di non produrre ulteriori messaggi in bottiglia affidati alla benevolenza divina, ma c.a.l.e.d.a.r.i.z.z.a.n.d.o. ciascun percorso individuato.
ii. impegnino le opposizioni ad uscire dal loro fin troppo comodo guscio di critica all’inanità governativa, senza prendersi la briga di offrire alla discussione pubblica qualche proposta che sappia andare oltre “l’accogliamoli tutti” che è poi la non più tenibile contropartita massimalista dell’altrettanto sterile “fermiamoli sul bagnasciuga”.
Il problema dei migranti, lei sa bene Onorevole Presidente del Consiglio, coinvolge una molteplicità di aspetti, che si dispongono su tutta la scala dello scibile e della sensibilità umana, se posso dire: dall’etica, quando parliamo dei morti in mare o ricordiamo le “opere di misericordia”, fino alle cosmìe che tentano di dirci che sul nostro Pianeta il movimento è una forma di vita, è uno dei modi attraverso i quali la vita, non solo umana, si è sviluppata, ha prosperato ed ha qualche speranza di sopravvivenza.
Ma ora, qui, quel che mi preme portare alla sua attenzione, è l’urgenza di un segnale forte che vada contro la sensazione che “non si faccia nulla” e che “l’accoglienza diffusa” sia un modo di gettare per strada una moltitudine di persone, nei rigori dell’inverno imminente, nelle spirali sfruttamentiste del lavoro nero e sottopagato, negli angoli bui della prostituzione e della delinquenza. Una moltitudine di persone, dico, spesso percepite come moleste e pericolose, contro cui, come abbiamo visto nelle scorse settimane in Grecia, si possono sviluppare dei sentimenti xenofobi; e contro cui, come abbiamo visto da ultimo in Tunisia, si possono scagliare strumentalmente grottesche teorie del complotto, primo fra tutti quello della “sostituzione etnica”.
Ci aiuti, Signora Presidente del Consiglio, per la sua alta funzione, a mantenere “bella” la nostra cara ed amatissima Patria. Che si dice “Belpaese” non solo per i suoi panorami e le sue piazze e i suoi musei, e i suoi cibi, ma perché i suoi abitanti sono “belli”, disponibili e aperti, generosi, poco inclini al risentimento, tanto meno all’odio: e che non meritano di assuefarsi al degrado sociale, di diventare indifferenti, e poi violenti e infine razzisti, senza più vergogna.