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La Juventus è tornata e a Udine cala il tris

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La Juventus è tornata. Dopo l’anno orribile dei continui rovesciamenti di fronte in classifica, causa penalizzazioni, in questa stagione i bianconeri vogliono fortissimamente riportare il tricolore a Torino, approfittando anche dell’assenza forzata dalle coppe europee. Chiesa, Vlahovic e Rabiot firmano il 3-0 in casa Udinese: bastano 45′, ed e’ buona la prima. Gli uomini di Allegri hanno fatto un sol boccone degli avversari. A stupire la voglia di rivalsa degli ospiti, dopo un anno sull’altalena e senza trofei, che hanno azzannato la preda, con un’applicazione davvero rara alla prima di campionato e con 30 gradi e umidità alle stelle. L’Udinese? Semplicemente non pervenuta.

Un peccato per uno stadio soldout con tanto entusiasmo e curiosità per i nuovi. Tutti bocciati senza appello. In partenza, Sottil propone in difesa Kabasele, all’esordio, e sposta Perez a sinistra per sostituire l’acciaccato Masina. Davanti Thauvin a supporto di Beto, con Samardzic, tornato disponibile dopo il rocambolesco mancato approdo all’Inter, che parte dalla panchina. Allegri, per arrivare alla sua vittoria numero 250 sulla panchina bianconera, si affida alla difesa interamente brasiliana composta da Danilo, Bremer e Alex Sandro, con Cambiaso che vince il ballottaggio in fascia su Kostic. Che la Juventus avesse fretta di iniziare la stagione lo testimonia anche il tamponamento del pullman della squadra, in autostrada, arrivando allo stadio, ai danni di una Volante della Polizia. Smania confermata dai primi assalti in campo: passa un minuto e 50 secondi e Zarraga perde un pallone sanguinoso sulla trequarti.

Vlahovic serve Chiesa al limite: la sua staffilata rasoterra passa in mezzo alle gambe di Biol e si insacca a fil di palo. L’Udinese è completamente frastornata e non riesce a reagire: ogni tentativo si risolve con un contropiede subito e brividi per la difesa che recupera sempre affannosamente. E così arriva, naturale, al 20′ il raddoppio della Juventus con un rigore, assegnato da Rapuano, per tocco di gomito di Festy, su cross molto ravvicinato di un indemoniato Weah. Vlahovic, glaciale, spiazza Silvestri. La partita è senza storia e per poco non arriva anche la terza marcatura in contropiede con Miretti e Weah sempre sguscianti. L’Udinese tenta solo dalla distanza con conclusioni, affatto insidiose, di Walace e Zarraga. Al 46′ ecco il primo vero pericolo per gli ospiti: Thauvin si invola e dal limite lascia partire una bordata che costringe Szczesny a una non agevole respinta in corner. E’ un fuoco di paglia: al terzo dei cinque minuti di recupero Rabiot mette in ghiaccio il match con un’incornata su cross dalla sinistra di Cambiaso e incredibile uscita a farfalle di Silvestri.

Nell’intervallo Sottil lascia negli spogliatoi Zarraga e Kamara – inguardabili – e butta nella mischia Samardzic e Zemura. Anche Allegri, con la gara ormai a senso unico, ricorre al turnover con Mckennie che rileva Weah e con la staffetta tra giovanissimi che riguarda Fagioli e Miretti. L’Udinese ci prova al 5′ con una conclusione dal limite di Thauvin che con una deviazione prende una traiettoria malefica e quasi finisce in rete. Al 18′ ci prova anche il figliol prodigo Samardzic, ma Szczesny smanaccia. Gli ospiti vanno al piccolo trotto e Lovric al 22′, di testa, sfiora il gol della bandiera.

Al 25′ anche Beto cerca gloria personale, salta Danilo ma conclude alle stelle da ottima posizione. La girandola di sostituzioni non cambia la sostanza – anche se Samardzic e Lucca mettono a dura prova il clean sheet di Szczesny – con la Juventus che controlla e porta a casa agevolmente i primi tre punti della stagione. Ci sarebbe anche la doppietta personale di Vlahovic, con la rete di testa che viene annullata per fuorigioco. Ma il segnale a Lukaku è arrivato ugualmente. Fortissimo. Come testimonia la standing ovation all’uscita dal campo del serbo, per la passerella a pochi minuti dal triplice fischio che gli concede Allegri.

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L’Inter non fa sconti, Torino ko nel segno di Calhanoglu

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Il 20 segna due gol nel 2-0 per festeggiare lo scudetto numero 20. L’Inter non si rovina la festa e batte anche il Torino nel segno di Calhanoglu, che realizza una doppietta a inizio ripresa che manda ko i granata nella giornata delle celebrazioni per la seconda stella. Un uno-due nel giro di tre minuti che permette agli uomini di Simone Inzaghi di festeggiare al meglio il tricolore conquistato una settimana fa dopo la vittoria nel derby contro il Milan, ora sprofondato a -19 in classifica con la Juventus addirittura a -24 dopo il pareggio di ieri nello scontro diretto. Il clima d’altronde è quello da grande festa, tra il ‘pasillo de honor’ dei granata prima della gara per i nerazzurri e la Curva Nord che per tutta la sfida omaggia i suoi eroi.

Nella giornata della prima storica di un trio arbitrale al femminile, anche Inzaghi diventa protagonista, perché all’ennesimo coro dei tifosi risponde saltellando con un sorriso che si allarga sempre di più, perché il tricolore porta la sua firma indelebile. In campo, nonostante tutto, la giornata di festa si è notata un po’ meno.

Un po’ perché il Torino puntava ancora all’obiettivo Europa e non aveva molta voglia di fare solo lo sparring partner, mentre l’Inter comunque ha messo nel mirino altri record (a partire dai 100 punti in classifica, obiettivo per cui però serviranno quattro vittorie nelle ultime quattro giornate) ma soprattutto voleva festeggiare al meglio. I ritmi, però, non sono granché, anche se i granata provano più volte a fare male ai nerazzurri. A scaldare le mani a Sommer ci pensa per primo Rodriguez con un destro dalla distanza centrale, mentre dall’altra parte Thuram spreca la palla per il vantaggio calciando alto dopo aver messo a sedere Bellanova.

Il più pericoloso però è Zapata, prima con un destro centrale a chiudere un contropiede e poi con un colpo di testa a lato. La partita però cambia a inizio ripresa, quando dopo poco più di un minuto Tameze stende Mkhitaryan lanciato verso la porta: dopo una revisione al Var, arriva il rosso per il centrocampista granata, con la squadra di Juric che si ritrova così in inferiorità numerica. L’Inter alza i giri del motore e non a caso sblocca il risultato: Mkhitaryan trova il varco giusto per servire Calhanoglu, mancino di prima intenzione e nerazzurri in vantaggio.

La squadra di Inzaghi non si ferma, una combinazione con De Vrij manda in porta Thuram, che in area viene steso da Lovato in scivolata: dal dischetto Calhanoglu firma la sua personale doppietta spiazzando Milinkovic Savic con il decimo gol su dieci rigori calciati quest’anno in campionato (in una striscia di 16 reti rigori realizzati consecutivamente). L’ultima mezzora si trasforma definitivamente in una festa, con Inzaghi che regala la standing ovation ai suoi big (tranne Lautaro che va a caccia vanamente del gol) prima di ricevere l’abbraccio dell’intera tifoseria arrivata da tutta Italia nella sfilata scudetto con l’autobus scoperto per le vie di Milano.

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30 anni senza Ayrton Senna, nel mondo saudade senza fine per un mito dell’automobilismo

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“Un giorno che non sarà mai dimenticato dai brasiliani” titolava ‘O Globo’. E non era per celebrare la vittoria in uno dei cinque mondiali conquistati dalla nazionale del paese dove il futebol’ è un’autentica religione. No, era riferito al prossimo 1 maggio, quando saranno 30 anni dalla scomparsa, quel tragico giorno del 1994 a Imola, di Ayrton Senna. Un idolo nel suo paese, ma una icona mondiale il cui mito vive anche nelle generazioni che i prodigi del pilota non hanno potuto ammirare. Per capire cosa significhi tuttora per i suoi connazionali il ‘tricampeao’ del mondo della formula uno, morto a soli 34 anni, basta andare al cimitero di Morumbi (il quartiere dell’alta borghesia di San Paolo, di cui Senna faceva parte) dove è sepolto.

Caro Ayrton, un libro di Anna Maria Chiariello a 25 anni dalla scomparsa del grande Senna

Lì, vicino alla lapide coperta dai fiori, c’è un albero che ‘custodisce’ le testimonianze lasciate dai visitatori in onore del loro idolo scomparso tragicamente e troppo presto, ci sono anche pezzi di carta con preghiere e invocazioni, quasi degli ex voto con scritto “proteggimi” o “fammi trovare un lavoro”. Proprio così, perché Senna per tanti è una divinità, e non è certo un’esagerazione il detto secondo cui non esiste brasiliano dai 40 anni in poi che non si ricordi cosa stesse facendo in quel momento, quando da Imola arrivò la terribile notizia. Ayrton Senna è un sentimento, non solo saudade ma fede, amore, qualcosa, anzi qualcuno, che non potrà mai essere dimenticato, e in Brasile ancora oggi le sue 161 gare disputate vengono analizzate una per una, per capire quale fosse il suo segreto, oltre al talento che Dio, nel quale Ayrton credeva fortemente, gli aveva donato.

Sono giorni che a Rio, San Paolo, Porto Alegre e in ogni altro angolo del Brasile si parla e si scrive di Senna, non solo dei 30 anni dalla sua morte, ma anche, è successo a marzo, dei 40 anni dal suo esordio in F1 con la Toleman, e subito “fu l’inizio di un amore – hanno scritto i giornali locali – e della sua consacrazione”. I grandi network nazionali hanno ricordato che Senna è stato il modello di Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo, che non ha mai nascosto l’amore per il Brasile e per quel fenomenale campione di cui possiede un casco, mentre il fenomeno di oggi, Max Verstappen ha ricordato che “le vetture di allora erano molto differenti, e sono certo che se Senna corresse oggi guiderebbe in modo diverso. Ma vincerebbe ugualmente”.

Al Corinthians, squadra del cuore del pilota è stato chiesto, in vista del trentennale di Imola, per onorare le memoria del suo tifoso così speciale di riutilizzare la maglia di qualche stagione fa, quando al posto della scritta dello sponsor sul petto dei giocatori del ‘Timao’ era stato stampato l’autografo di Senna. Intanto alcuni facoltosi appassionati stanno partecipando all’asta per acquistare la Honda NSX che Ayrton utilizzava per spostarsi nei periodi che trascorreva in Portogallo.

Apparteneva ad una persona di nazionalità britannica, di cui non si è fatto il nome, che ora l’ha messa in vendita, al prezzo base di 500mila sterline, circa 580mila euro. In Brasile non se la vogliono far sfuggire, e sarà una sfida all’ultimo real. Intanto, e soprattutto, rimane quel volto che è anche su tanti murales, amato da tutti e sinonimo di 41 gran premi vinti e tre titoli mondiali. Una striscia che avrebbe potuto continuare chissà fino a quando, ma il destino ha deciso diversamente. Di sicuro Ayrton Senna continua a vincere nei cuori della gente.

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Pioli più lontano, forse è Conte il nuovo allenatore del Napoli

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La panchina del Napoli potrebbe presto vedere un cambio significativo con due grandi nomi del calcio italiano in lizza per il ruolo di allenatore capo: Antonio Conte e Stefano Pioli. Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha un chiaro favorito tra i due: l’ex allenatore di Inter e Juventus, Antonio Conte, considerato l’uomo ideale per avviare un nuovo ciclo vincente al club.

Secondo quanto riportato da “La Repubblica”, De Laurentiis è disposto a offrire a Conte un contratto triennale con un compenso sostanzioso e piena libertà di manovra sul mercato, nella speranza di sedurre il tecnico toscano, che sembra attendere offerte da club di maggior prestigio europeo.

Nonostante l’interesse per Conte, il Napoli non ha escluso altre opzioni. Stefano Pioli, che recentemente sembrava perdere terreno, rimane una valida alternativa. Anche Gian Piero Gasperini è stato menzionato come possibile candidato, sebbene per ora rimanga solo un’ipotesi.

Il Napoli, dopo una stagione al di sotto delle aspettative, è alla ricerca di un rinascimento che possa rinvigorire la squadra e riacquistare la fiducia dei tifosi. La rosa attuale è considerata competitiva, e Conte, se dovesse accettare l’incarico, ha richiesto di mantenere i giocatori chiave, ad eccezione di quelli in partenza come Zielinski e Osimhen.

Il futuro allenatore del Napoli avrà il compito di ripristinare il morale e ottimizzare le prestazioni di una squadra che, nonostante le difficoltà, lotta ancora per un posto nelle competizioni europee. La decisione finale sull’allenatore sarà probabilmente annunciata al termine della stagione, quando il club avrà un quadro più chiaro delle sue prospettive europee e potrà pianificare con maggiore certezza il futuro.

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