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Capire la crisi Ucraina

Irricevibile, inaccettabile: la politica russa dell’Occidente in due parole

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Si può ridurre la politica in generale, e la politica dei principali Paesi ed istituzioni “Occidentali” nei confronti della Russia, alla combinazione di queste due parole? 

I.r.r.i.c.e.v.i.b.i.l.e. è stato il Memorandum dello scorso dicembre, con il quale la Russia chiedeva all’Occidente: 

  • I. di dire una parola chiara sull’allargamento della NATO a Est; 
  • II. di ritirare le truppe NATO dai Paesi dell’ex Patto di Varsavia;
  • III. di smantellare l’arsenale nucleare americano in Europa a trent’anni dalla fine della guerra fredda e a 36 anni dall’incontro di Reykjavík tra M. Gorbaciov e R. Reagan.

I.n.a.c.c.e.t.t.a.b.i.l.e. è stato per tutti gli attori “Occidentali” il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass (Donetsk e Luhansk). Che tutti pedissequamente chiamano “autoproclamate Repubbliche del Donbass”: come se esistessero forme di “Dichiarazione di Indipendenza” altro che “autoproclamate”. 

Biden e Johnson. La politica estera di Usa e UK non è quasi mai coincidente con quella dell’Unione Europea

Ora, forse nessuno ha ricordato a Joe Biden che la dottrina Monroe, autoproclamata pretesa di sovranità statunitense sulle Americhe, si applica, sia pure in modo del tutto arbitrario, solo all’America. Cuba docet, dico perché Washington subito intenda. E nessuno, dico n.e.s.s.u.n.o., ha ricordato a Biden e alle istanze europee (UE e NATO), che la Russia non è un qualunque staterello asiatico o centro-africano, ma è la seconda potenza nucleare del mondo, tra le massime potenze industriali del Pianeta, ai vertici della produzione di risorse energetiche e minerarie. 

Per quanto a più d’uno Vladimir Putin possa risultare sgradevole e per quanto possa essere, come personalmente credo, un uomo della guerra fredda -esattamente come Joe Biden, del resto- e pertanto inadeguato a gestire i tempi nuovi inchiodato com’è a una visione delle relazioni internazionali in termini di “sicurezza nazionale”, ebbene, dico, non lo si può trattare, questo Mr. Putin, ogni volta che parla, come un piccolo ed arrogante despota orientale a cui sbattere la porta in faccia piuttosto che un primario protagonista della politica mondiale di cui ascoltare le ragioni, con attenzione e disposizione al dialogo.

Vladimir Putin. Da tempo chiede garanzie all’Occidente sulla cessazione dell’espansione della Nato a Est

Non sto parlando dei 25 milioni di morti pagati dalla Russia (allora URSS) come tributo di sangue più alto del mondo alla caduta del nazifascismo in Europa. Non sto rivendicando per la Russia la circostanza –che resta inscalfibile- che senza Mosca, Berlino non sarebbe mai caduta. Del resto la Russia zarista prima, l’URSS staliniana e post-bellica poi, a volte in perfetta continuità, hanno maturato responsabilità storiche pesantissime nei confronti dei popoli e delle realtà politiche (e religiose, e culturali), con cui sono venute in contatto, almeno da Ivan il Terribile, primo zar di tutte le Russie, in poi. 

Nessun sentimentalismo, dunque, nessuna mozione degli affetti; niente retorica, per carità, zero ideologia. Sto facendo un’analisi di geografia politica –ancor prima che di una fin troppo spicciola “geopolitica”. Un’analisi basata su qualcosa che si chiama da qualche tempo “realpolitik” al cuore della quale ci sono i rapporti di potere come ci hanno insegnato studiosi come J. Gottmann e C. Raffestin e J. Agnew. Rapporti di potere di cui i rapporti di forza sono solo espressioni quanto mai rozze e, lasciatemi aggiungere, quanto mai deboli. E ci sono altresì, al cuore della “realpolitik”, gli “interessi nazionali”, se è ancora possibile dire.

 

Allora, tanto per non disperdere ulteriori parole al vento sullo sfondo di “iconografie” (direbbe appunto Gottmann) che pretendono di parlare per allusioni, sottintesi, perfino minacciosi anatemi. Sì, insomma, come se tutto fosse già dato e in primis, il “destino manifesto” dell’Occidente a dire le cose giuste al momento giusto, facendo seguire terrificanti guerre e invasioni “giuste” (essendo cattive quelle degli altri, beninteso). E allora, mi permetto di chiedere all’opinione pubblica e alle Autorità competenti:

  1. Che cosa si aspetta a cancellare la parola “irricevibile” dal lessico della “crisi Ucraina”, fissando in risposta al Memorandum russo una data da qui a tre mesi, in cui si possano discutere i termini di un accordo possibile, adeguatamente preparato sul piano giuridico e politico?
  2. Che cosa si aspetta a cancellare la parola “inaccettabile” dal lessico della “crisi Donbass”, ove ancora possibile, ed a fare una proposta politica che parta dall’dea di “autodeterminazione dei popoli” provando a disegnare uno scenario di referendum per i territori dell’oltre Dnepr, specie quelli “autoproclamati”, russofoni e, in sovrappiù, fortemente sovietizzati nel segno della logica dei kombinat fin dai tempi della pianificazione staliniana?

Nel quadro di queste operazioni (due, alquanto semplici da capire) e/o altre consimili, la Francia, la Germania, l’Italia, Paesi appartenenti all’UE, i più importanti per peso demografico, economico e politico, potrebbero sviluppare le loro diversità di vedute –se ne hanno, come mostrano di avere- rispetto a due potenze, gli USA e il Regno Unito, che svolgono le loro politiche internazionali lontano da Bruxelles, al di fuori delle logiche e, diciamo pure, degli interessi dell’Unione Europea di cui non fanno parte.

Avendo ascoltato con particolare attenzione le dichiarazioni dei nostri responsabili di politica internazionale, chiudo ponendo una domanda al nostro Presidente del Consiglio e al nostro Ministro degli Esteri che si sono pronunciati per le “sanzioni” alla Russia. Avvertendo tuttavia che ho davanti a me la bolletta della luce ultima, sì quella di casa mia, che moltiplica per 4 l’importo da pagare rispetto alla precedente. E dunque chiedo: è stato fatto un calcolo di quel che costerebbe all’Italia associarsi a delle “sanzioni” contro la Russia promosse (o spirate), che so, dagli Stati Uniti? Immagino di sì, come immagino che si sappia su chi graverebbero quei costi. Così come immagino che nella tasca dell’on. Di Maio ci sia un foglietto con il nome delle aziende italiane a cui il regime delle sanzioni impedirà, tra breve, di portare avanti affari con aziende russe, energetiche e non. Un foglietto sul quale saranno specificate le aziende in difficoltà (che si troveranno nella necessità di mandare a casa i propri dipendenti) e le aziende che addirittura dovranno chiudere (mettendo sulla strada il proprio personale). Se così fosse, come credo e fortemente spero, sarebbe quanto mai opportuno sapere quali provvedimenti il Governo ha in mente, per “gestire” le sanzioni contro la Russia. Che saranno pure contro la Russia, ma sicuramente faranno male anche a noi. E “noi” sta per comunità nazionale, non per “alcuni di noi”: e, per il resto, chi s’è visto s’è visto.

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Ucraina: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti… per cosa?

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Dunque, facciamo un riassunto. Tre anni fa, il 24 febbraio 2022, la Russia invadeva l’Ucraina. L’idea di Putin era chiara: una blitzkrieg, due giorni per arrivare a Kiev, eliminare il governo e sostituirlo con una marionetta del Cremlino. Facile, no? Peccato che la storia non abbia seguito il copione scritto a Mosca.

La “non-guerra” russa e l’ecatombe in corso

In Russia, guai a chiamarla guerra. È una “operazione speciale militare”, un po’ come definire il Titanic “un incidente nautico di lieve entità”. Eppure, questa non-guerra ha prodotto una ecatombe: centinaia di migliaia di soldati russi morti, oltre 80mila ucraini caduti. E queste sono solo le stime ufficiali, perché il numero reale di vittime potrebbe essere ancora più tragico.

Ma non parliamo di numeri. Parliamo di morti, di una carneficina che ha lasciato città distrutte, milioni di sfollati e un’Europa che per tre anni ha investito miliardi per difendere l’integrità territoriale ucraina, la democrazia e i principi cardine del diritto internazionale.

L’Occidente che armava Kiev (fino a ieri)

Per tre anni, l’Europa e gli Stati Uniti di Joe Biden hanno riversato in Ucraina decine di miliardi di euro e dollari, inviando armi, addestrando soldati, costruendo difese, imponendo sanzioni alla Russia e isolando il Cremlino. La NATO ha fatto il possibile per tenere l’Ucraina in vita, ma soprattutto per tenere i russi fuori dai confini europei.

E nonostante tutto, la grande Armata Rossa non ha mai sfondato. Putin ha mandato in battaglia galeotti, ha chiesto aiuto ai nordcoreani, ha arruolato mercenari, ha schierato la famigerata Wagner. Eppure, gli ucraini non hanno ceduto. Hanno preferito morire piuttosto che tornare sotto la sferza russa.

L’Unione Europea accelerava per accogliere Kiev nell’UE. La NATO era pronta a fare dell’Ucraina un suo membro. Ma poi…

Trump entra alla Casa Bianca, Putin sorride

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump torna presidente degli Stati Uniti d’America. In meno di un mese, qualcosa cambia. Washington e Mosca riprendono a parlarsi, Trump e Putin si sentono al telefono come vecchi amici. E soprattutto, decidono che la guerra deve finire.

Come? Semplice. L’America di Trump smette di inviare armi e suggerisce che gli ucraini devono rassegnarsi a perdere pezzi del loro Paese. Niente NATO per Kiev, niente resistenza fino alla fine. E soprattutto, gli Stati Uniti vogliono le terre rare ucraine, quelle risorse minerarie fondamentali per l’industria tecnologica.

Dunque, riepiloghiamo: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, miliardi di euro investiti per difendere l’Ucraina… e ora tutto si risolve così? Trump e Putin spartiscono il Paese, gli ucraini devono ingoiare il rospo, e il mondo guarda in silenzio.

La spartizione dell’Ucraina e il nuovo ordine mondiale

Il nuovo accordo sembra scritto con un righello:

  • Un pezzo all’Ucraina (giusto per non cancellarla del tutto).
  • Un pezzo alla Russia, che si tiene le terre occupate.
  • Un pezzo agli Stati Uniti, che si prendono le risorse minerarie strategiche.
  • Un pezzo ai caschi blu dell’ONU, o a qualche “forza internazionale” che piaccia a Putin.

Nel frattempo, Trump pensa in grande: riannettere il Canale di Panama, erigere nuovi muri con il Messico, ribattezzare il Golfo del Messico in “Golfo d’America”, comprare la Groenlandia, annettere il Canada. Sì, perché gli Stati Uniti hanno bisogno di espandersi, non solo in Ucraina, ma ovunque Trump voglia lasciare il segno.

Tre anni di guerra… per cosa?

Alla fine, quello che per tre anni era stato un punto fermo – la difesa dell’Ucraina, della democrazia, dei confini europei – non conta più nulla. Si fa come decidono Trump e Putin. L’Ucraina viene smembrata. I morti? Un dettaglio di cui nessuno parlerà più.

E noi, in Europa, guardiamo in silenzio. Perché, alla fine, sembra che la storia sia scritta sempre dai più forti. E gli ideali? Quei principi che hanno giustificato tre anni di guerra, le parole sulle libertà, la sovranità, la democrazia? Tutto inutile. Basta una stretta di mano tra due uomini e il destino di una nazione cambia per sempre.

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Cremlino, è Kiev che non vuole colloqui di pace

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“Mosca è pronta a risolvere il conflitto ucraino attraverso colloqui di pace, ma Kiev rifiuta di impegnarsi in questo processo”: così il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov (foto in evidenza) commentado le parole del premier ungherese Viktor Orban, secondo cui il conflitto armato in Ucraina finirà nel 2025, “o attraverso un trattato di pace o dopo il crollo di uno dei belligeranti”. “Vladimir Putin ha ripetutamente sottolineato che siamo aperti a risolvere le nostre divergenze attraverso colloqui di pace. Tuttavia, poiché l’Ucraina attualmente si rifiuta di impegnarsi nei colloqui, continuiamo la nostra operazione”, ha detto il responsabile alla Tass. “Per noi è importante raggiungere tutti gli obiettivi che abbiamo di fronte per garantire la sicurezza del nostro Paese”, ha ribadito.

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La spia che venne dagli Usa, l’uomo di Mosca nel Donbass

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Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.

Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.

Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.

La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.

Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.

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