Una cinquantina di boss riportati in cella. Scarcerazioni di mafiosi fermate. La filiera di comando del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria decapitata con motivazioni che dovranno essere chiarite. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per pensare di trovare il magistrato napoletano Catello Maresca soddisfatto, non foss’altro perché è stato lui a fermare questa spirale criminale che aveva gettato discredito sulle istituzioni..È stato lui a mettere in guardia ad inizio marzo sulla gravità delle rivolte in carcere. È stato lui, con il procuratore Gratteri, a denunciare con forza la circolare svuotacarceri del Dap del 21 marzo firmata da una oscura funzionaria del ministero della Giustizia.
“Allora dottor Maresca, finalmente, lentamente la questione delle carceri sembra tornare alla normalità. Ci sono già 50 boss tornati a casa che sono stati rispediti in carcere. Sarà soddisfatto, no?”. Dall’altra parte della cornetta, silenzio tombale. Uno immagina che non ha sentito la domanda, magari un’interferenza. Gliela riformulo e lui mi ferma. “Guardi che ho capito quel che ha detto, non rispondo perché non saprei davvero che cosa dirle. Colgo dalle sue parole che almeno lei è contento…”.
Diciamo che 50 boss mandati a casa che tornano in cella, almeno per me è una buona notizia. Lei che dice?
Io dico che è troppo poco e arriva tutto troppo tardi. Se penso di aver dovuto rinunciare ad un altro piccolo pezzo della mia libertà e della mia serenità per affermare nel dibattito pubblico di questo paese i rischi connessi alle rivolte carcerarie e poi quella circolare assurda del Dap, non capisco di che cosa dovrei gioire. E con me credo che molti italiani non siano così contenti di quel che accade sul fronte giustizia in questo Paese.
Che cosa la preoccupa ancora?
L’assenza di dibattito su temi importanti. La mafia è sparita dal dibattito pubblico. La legislazione antimafia è sotto attacco. Istituti come il 41 bis sono stati già destrutturati e c’è chi è pronto a dargli il colpo di grazia in Parlamento con l’alibi di pronunce in sede comunitaria. Gli sforzi sovrumani di magistrati, carabinieri, poliziotti, finanzieri in prima linea contro la mafia sembrano essere percepiti quasi con fastidio. Le vittorie dello Stato contro la mafia quando non vengono nascoste, arrivano a noi come una sorta di rumore di fondo. L’antimafia non è una professione, è un sentimento che va alimentato ogni giorno. E credo che mai come in questi tempi ce ne sia un grande bisogno.
Sembra davvero un incubo.
Guardi che non sembra, la mafia è un incubo. Il covid 19 circola da tre mesi e abbiamo fatto investimenti e anche leggi eccezionali per sconfiggerlo. E va bene così. La mafia come il covid 19 è una pandemia, circola da secoli, è contagiosa sempre, uccide sempre, strangola le nostre comunità ma non mi pare siamo stati ancora capaci di debellarla definitivamente.
Dottore lei ha paura della mafia?
Tutti abbiamo paura. Ma non tutti siamo dei vigliacchi. Io ho paura ma non sono mai fuggito come altri. E questo mi rende un bersaglio. I mafiosi lo sanno che tutti abbiamo paura. Il loro obiettivo è sempre quello di isolare chi non scappa, chi non piega la testa, chi non si arrende alla loro violenza. Loro contano molto sulla paura dei vigliacchi.
Un incubo.
Esatto, un incubo. Pensi che l’altra notte sono stato svegliato di soprassalto da mia figlia piccola, l’ultima di quattro splendidi figli che la vita mi ha regalato. Aveva fatto un incubo, un “brutto sogno” come dice lei, che “io me ne andavo per sempre”. Certo prima o poi, come tutti, anche io me ne dovrò andare via da questa terra. La paura di perdere i propri cari, di abbandonare i propri affetti è forse la più grande ossessione dell’umanità. Anche io spesso ci penso e la paura mi assale. Niente di strano in fondo, se non fosse che questa paura è diventata da un po’ di tempo una mia compagna di viaggio.
Forse sono stato eccessivo a ricordarle la paura della mafia…
No, non è una domanda di un giornalista che mi ricorda la paura. Ad ogni incontro con gli studenti o ad un convegno sulla legalità c’è sempre qualcuno che mi sollecita il ricordo delle mie paure. Le mie paure purtroppo hanno nomi e cognomi di coloro che ho scelto di combattere tutti i giorni nel mio lavoro e nella mia “mission antimafia”. È sempre stata una paura particolare, perché non mi ha mai fermato, non mi ha mai paralizzato, come in genere accade ed accadeva anche a me quando da bambino consideravo il corridoio buio di notte un limite invalicabile.No, questa paura non mi blocca, anzi mi spinge ad andare avanti sempre di più, sempre più forte.Più mi minacciano e più monta la voglia e cresce la mia determinazione a combattere più forte contro crimini e criminali. Diciamo che l’effetto è quello di moltiplicare i modi in cui mi determino a farlo, nelle indagini, nelle scuole, nelle università, in televisione, sui giornali, tra la gente.
L’arresto di Giuseppe Setola.
C’è chi dice che lei lo fa per una sorta di edonismo o per “fini politici”.
Ovviamente ognuno è libero di pensare quel che vuole e dare sfogo a malignità e a pettegolare a prescindere. Ma la verità è che io lo faccio soprattutto per loro, per i miei figli, per i figli di quelli che combatto e per quelli come loro che hanno il diritto di sognare anche di vivere in un paese migliore. Eppure, il risultato che ottengo, per ora, non sono bei sogni ma solo incubi di abbandono. Il secondo dei miei figli ha preparato una tesina sulla paura all’esame di terza media. L’ho letta e condivisa. Bella, intensa, precisa, forse troppo precisa.L’ultima battaglia che mi sono intestato, praticamente in solitudine, mi ha portato altre paure. Forse per la prima volta quella più grande di tutte, essere lasciato da solo dalle istituzioni.
Lasciato solo?
Vede, io ho sempre combattuto in pool, condividendo gioie e dolori, con colleghi e collaboratori. Mi sono sempre assunto le responsabilità delle scelte, spesso pesantissime. Ho sempre portato e sopportato fardelli capaci di piegare le ginocchia. Ma l’esercizio mi ha rinforzato ancora di più i muscoli delle gambe. Per continuare a camminare, per raggiungere il traguardo. L’ho sempre fatto senza neanche pensare alle mie paure. Ma questa volta no. Questa volta mi sono sentito solo, forse addirittura isolato. Neanche una parola da chi mi aspettavo. Neanche un sostegno. Ai ringraziamenti già non ci ero abituato, e non me li aspettavo. Ma il gioco si fa troppo rischioso. La storia ci insegna che l’isolamento è una condanna a morte.
Michele Zagaria. È l’ultimo capo della Cupola mafiosa casalese detenuto al 41 bis
Mi scusi se la interrompo ma lei parla di solitudine, paura, istituzioni che abbandonano i suoi servitori. Mi sembra di rivivere tempi che nessuno di noi vorrebbe tornassero…
Non crederà che mi stia divertendo io! Io penso che a noi italiani la storia non abbia insegnato niente. L’isolamento non è cosa buona! Neanche per uno come me abituato a combattere per i veri valori anche da solo, anche soltanto perché ci credo. Forse sarebbe stato meglio “farmi i fatti miei”, come qualcuno gentilmente mi ha consigliato. Che me ne importa in fondo della circolare del DAP del 21 marzo? Che me ne frega dello “svuotacarceri”? Mica è compito mio evitare che un sistema impazzito faccia scarcerare centinaia di mafiosi? Mica è compito mio, che ormai non sono più alla D.D.A. da quasi quattro anni, occuparmi di queste cose? Ma chi me lo fa fare?Soprattutto quando questo lavoro “straordinario”, invece che creare sogni, continua a provocare incubi e ad alimentare paure.
Appunto, chi o che cosa le dà la forza di andare avanti?
La vicinanza della gente, l’unica ancora di salvezza nel mare dell’indifferenza istituzionale.E allora quasi quasi, riprendendo una frase di un film poliziesco di qualche anno fa, “ se mi vogliono intimidire….questa volta mi faccio intimidire”.Lo faccio per loro, questa volta davvero, perché i miei figli hanno diritto di restare lontano dai fantasmi della mia vita. Hanno anche loro il diritto di tornare a sognare.
Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.