La puntata dello speciale Mentana dedicata allo stop della trasmissione Non è l’Arena per ora non ci sarà. Massimo Giletti, all’uscita dalla Procura di Firenze, ha annunciato il suo forfait dicendosi coinvolto in una “situazione complessa, difficile e delicata”. Salta quindi al momento l’appuntamento televisivo previsto domenica su La7, dove da ospite il giornalista torinese avrebbe fatto luce sulla chiusura anticipata del suo programma, finito nella bufera dopo le presunte rivelazioni di Salvatore Baiardo, tuttofare dei fratelli Graviano, e le recenti intercettazioni emerse dall’inchiesta dei pm del capoluogo toscano. Nelle telefonate captate dagli inquirenti sarebbero emerse una serie di allusioni e speculazioni di Baiardo su millantati intrecci tra mafia stragista e politica. “Ci sono vicende che non si possono risolvere in uno studio televisivo: vanno affrontate nei luoghi deputati per farlo, cioè gli uffici di un’azienda, altrimenti si rischia di finire all’interno di un’aula di tribunale”, ha detto Giletti in un video spiegando di essere “appena uscito dalla Procura di Firenze e questo – ha sottolineato – vi fa capire la situazione complessa, difficile e delicata che stiamo vivendo”. Non è la prima volta che Giletti incontra i magistrati fiorentini che indagano sulle stragi del 1993: era già stato sentito come persona informata sui fatti nel dicembre e nel febbraio scorsi. Pur ringraziando Enrico Mentana, il conduttore declina l’invito per lo speciale di domenica: “lo devo soprattutto ai magistrati che stanno lavorando su questa indagine”.
Qualche ora prima su Rtl 102.5 lo stesso Giletti in uno sfogo aveva detto: “nel nostro Paese non è facile fare un certo tipo di televisione, che va a disturbare chi sta nei palazzi. Quando c’è una situazione delicata, abbiamo il dovere doppio di andare nelle sedi corrette, io l’ho fatto”. Dopo questa serie di esternazioni il direttore della testata giornalistica de La7 ha raccolto la richiesta di Giletti di rinviare la trasmissione, annunciando di “riprovarci appena le ulteriori indagini che si sono aperte potranno consentire una testimonianza televisiva adeguata”.
Aldilà delle voci sugli ascolti del programma in calo e di un riavvicinamento di Giletti alla Rai, in molti ipotizzano che sulla chiusura di Non è l’Arena avrebbero avuto un peso le indagini sulla partecipazione alla trasmissione di Salvatore Baiardo, l’ex gelataio amico di Filippo e Giuseppe Graviano, il quale li avrebbe aiutati nella loro latitanza. L’ultimo polverone sollevato da Baiardo, finito sotto la lente degli inquirenti, riguarderebbe una presunta fotografia che ritrarrebbe Silvio Berlusconi con il boss Giuseppe Graviano e il generale Francesco Delfino: un’immagine che Baiardo di fronte ai pm avrebbe negato di avere, nonostante ne parlasse in alcune conversazioni captate. Le allusioni riguardanti inediti scenari sulla trattativa Stato-Mafia da parte dell’amico dei Graviano sono diverse. Baiardo inoltre, già un paio di mesi prima dell’arresto del boss Matteo Messina Denaro, in un’intervista a Non è l’Arena si era detto convinto che il superlatitante si sarebbe fatto catturare dietro un accordo.
Sono due i presepi vaticani 2023, uno in piazza San Pietro e l’altro in Aula Paolo VI. Le due natività, volute fortemente dallaDiocesi di Rieti e affidate per la realizzazione a Fondaco Italia, sono state pensate per celebrare gli ottocento anni dal primo presepe della storia, voluto nel 1223 da San Francesco d’Assisi a Greccio, nel reatino.
Nel 1223, preso dallo sconforto per le violenze e per lo spargimento di sangue che investiva Betlemme, travolta dalle crociate, il patrono d’Italia chiese al suo amico Giovanni Velita e sua moglie Alticama di portare una greppia (mangiatoia) un bue, un asino e di invitare tutta la popolazione di Greccio a radunarsi la sera del 24 dicembre. Da quel momento Greccio, come qualsiasi altro luogo dove viene realizzato il presepe, è diventato Betlemme.
“Il nostro obiettivo – ha spiegato Enrico Bressan, presidente di Fondaco Italia – è soprattutto la tutela del patrimonio artistico italiano. L’idea delle natività vaticane nasce dal restauro del santuario di Greccio, l’eremo francescano in provincia di Rieti dove, nel 1223, ottocento anni fa, San Francesco inventò il presepe.
Oltre ad ispirarci al santo di Assisi, al quale è dedicato questo progetto, ci siamo rifatti a quella straordinaria comunità di intenti e abbiamo coinvolto una serie di realtà imprenditoriali ed eccellenze artistiche per realizzare i due presepi vaticani”.
“Siamo lieti di tornare a Roma – ha dichiarato Riccardo Bisazza, presidente di Orsoni Venezia 1888 – dove abbiamo già collaborato a un importante restauro della Basilica di San Pietro, e di ritrovare il Santo Padre che, nel 2018, inaugurò a Bucarest la nuova Cattedrale della Salvezza del Popolo per la quale siamo impegnati a realizzare le tessere di mosaico che un team di 70 mosaicisti sta utilizzando per la decorazione dell’interno della cattedrale ortodossa più grande al mondo.
Il presepe di San Francesco in Sala Nervi accompagnerà le prossime festività e sarà visto in tutto il mondo durante le dirette dal Vaticano; siamo orgogliosi di aver contribuito al progetto di Fondaco Italia con i mosaici veneziani che testimoniano un’eccellenza Made in Italy unica al mondo.”
Il presepe di piazza San Pietro, pensando alla prima natività vivente, è stato progettato come un’istallazione artistica che prende la forma di una scenografia teatrale. La realizzazione è stata possibile grazie al contributo di partner privati ed affidata agli esperti artigiani di Cinecittà che hanno interpretato il disegno dell’artista presepista Francesco Artese, i personaggi sono stati realizzati dal maestro artigiano presepiale Antonio Cantone di Napoli, coordinati dai curatori Enrico Bressan e Giovanna Zabotti di Fondaco Italia.
La struttura, collocata sopra una base a forma ottagonale, come richiamo all’ottocentenario, prende spunto dalla roccia del Santuario di Greccio ed è concepita come una quinta che, in un perpetuo dialogo armonico, viene abbracciata idealmente dal colonnato di Piazza San Pietro.
Davanti ad essa, collocata a terra, una vasca in cui scorre, simbolicamente, il fiume Velino, ovvero le acque che, oggi come allora, dalla Valle Santa reatina giungono a Roma.
La scena vede al centro l’affresco della grotta di Greccio (opera del 1409 attribuita al Maestro di Narni di scuola giottesca) davanti al quale un frate officia la messa in presenza di San Francesco con in braccio il Bambinello, la Madonna e San Giuseppe in adorazione a lato della greppia, dietro a cui giacciono il bue e l’asinello.
Ad assistere alla rappresentazione tre frati, Giovanni Velita e la moglie Alticama, ovvero gli amici che hanno aiutato San Francesco a dare vita alla sua “opera prima”. I personaggi, in terracotta dipinta e di grandezza naturale, sono stati realizzati realizzati da Cantone e Costabile di Napoli, mentre l’illuminazione è stata affidata alla lighiting designer Margherita Suss.
La natività musiva dell’Aula Paolo VI, invece, è stata resa possibile grazie al contributo di Orsoni Venezia 1888, l’unica fornace a fuoco vivo a Venezia, che utilizza le stesse tecniche oltre un secolo per produrre mosaici in foglia d’oro 24 carati, ori colorati e smalti in più di 3.500 colori, dai rossi imperiali ai blu Madonna fino ad una gamma che conta più di 120 toni differenti per i colori degli incarnati.
Orsoni ha realizzato le tessere per il presepe in Sala Nervi: oltre 30.000 tessere per 4,5 mq di smalti di cui il 5% di tessere in foglia d’oro 24 carati, trasformate in opera sacra dal Maestro mosaicista Alessandro Serena. La scena raffigura una natività classica con San Francesco inginocchiato, in segno di totale devozione, in povertà e semplicità, mentre Chiara è orante accanto a lui.
Segregata in casa, chiusa a chiave e impossibilitata ad uscire. Quando il marito era fuori, la giovane di Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino, incinta, sarebbe stata sorvegliata dalle cognate. “Non sai fare la donna di casa. Tu sei donna e devi solo stare a casa a pulire e cucinare” diceva il marito venticinquenne alla moglie di 19 anni. I giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, lo hanno condannato a tre anni e sei mesi di reclusione. L’uomo è stato riconosciuto colpevole di maltrattamenti e sequestro di persona. Difeso dall’avvocato Santo Lucia, l’imputato dovrà risarcire con 15mila euro la ragazza che si è costituita parte civile nel processo, con l’assistenza dell’avvocato Gianluca Sprio.
I fatti sono avvenuti tra febbraio e settembre del 2021, periodo in cui la giovane era in gravidanza. La ragazza sarebbe stata picchiata e offesa ripetutamente: “I tuoi genitori sono zingari, tu sei diventata ‘signora’ solo grazie a me”. Accuse e mortificazioni che il marito giustificava per la scarsa efficienza della moglie nei lavori domestici. Stando a quanto è emerso durante il processo, nel febbraio 2021, dopo avere fatto il test di gravidanza e scoperto di aspettare un bambino, la ragazza sarebbe stata picchiata per costringerla a non raccontare a nessuno che era incinta. E poi, ancor terrorizzata dall’uomo, anche attraverso messaggi whatsapp, che la minacciava di sottrarle la bambina qualora non avesse obbedito ai suoi ordini. La 19enne, a un certo punto, ha trovato il coraggio di denunciare vessazioni, offese, minacce, maltrattamenti e ha raccontato di essere stata segregata in casa
. Sempre a Palma di Montechiaro (per lo scrittore e giornalista Giuseppe Fava il destino di nascere da quelle parti si poteva spezzare “soltanto cercando altrove il modo la maniera di sopravvivere”), martedì scorso un quarantottenne ha aggredito e lanciato acido contro la moglie, rimasta ustionata alla guancia destra e alla spalla. La donna lo aveva denunciato e, da metà novembre, era ospite, assieme alla figlia nata da una precedente relazione, in una casa protetta. Martedì la cinquantenne ha commesso la leggerezza, senza dire niente né alla polizia né agli operatori della struttura, di recarsi nella casa coniugale per prendere dei vestiti, avvisando il marito in anticipo, con il quale ha avuto un nuovo, ennesimo litigio con conseguenze drammatiche.
Un marito che prende per il collo la moglie, dopo averla spinta verso il muro, deve rispondere di tentato omicidio e non soltanto di maltrattamenti o lesioni, anche se non ci sono ferite. Lo afferma la Corte di Cassazione che ha confermato la condanna a dieci anni per un uomo che, pur avendo ammesso di avere usato violenza sulla donna, aveva impugnato la sentenza di secondo grado tentando di dimostrare di non avere mai provato a ucciderla. Per i giudici però a contare sono i “potenziali effetti dell’azione”. E’ quanto scrive questa mattina il Messaggero.
La Corte ha respinto la difesa dell’uomo: “La scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa – scrivono i giudici – non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all’intervento di un terzo”. Fu infatti il figlio minore della coppia a intervenire interrompendo l’aggressione.
L’aggressione si era consumata in provincia di Brescia. La donna aveva chiesto l’intervento dei carabinieri, accusando il marito di avere tentato di strangolarla. Durante le indagini, le dichiarazioni della vittima erano state confermate dal figlio. L’uomo l’aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l’aveva sollevata da terra, provocandone l’offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza.