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Economia

Evasori fiscali: più carcere e multe più salate come chiedevano i Cinquestelle ma… dalla prossima dichiarazione dei redditi

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Più sanzioni pecuniarie. La confisca dei beni degli evasori. L’inasprimento del carcere per reati commessi su cifre superiori ai 100mila euro di imposta evasa. Nel decreto fiscale sono confluite le indicazioni, i desiderata del M5S rispetto alle norme tributarie oggetto dell’accordo (ancora non completo) nella maggioranza di governo. Misure che non riguardano solo le pene inasprite – nei casi più gravi si rischiano da 4 a 8 anni – ma anche le soglie penali che erano state innalzate dal governo di Renzi nel 2015. Il pacchetto, collegato alla prossima manovra, non entrerà in vigore subito, ma 15 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il testo del decreto ancora non è stato né chiuso né bollinato dalla Ragioneria. Le obiezioni sarebbero quelle già avanzate nel vertice di maggioranza di lunedì notte sull’inasprimento delle pene per i reati fiscali e sull’ uso del Pos per i commercianti. Dubbi che, secondo fonti parlamentari, arriveranno anche al Colle.
La stretta penale contro gli evasori è comunque fissata e per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede rappresenta “una svolta epocale, perché in questo modo i cittadini sapranno che lo Stato fa pagare il dovuto a tutti”. Con le tasse oppure con il carcere.
Al momento in cella sono detenute circa 70.000 persone delle quali solo 200 condannate a causa dei guai col Fisco.

La frode fiscale

Se si commette la dichiarazione fraudolenta mediante fatture e altri documenti falsi, la pena passa da 4 a 8 anni di carcere se l’imposta evasa supera 100.000 euro. Se l’ imposta evasa è inferiore la pena resta quella attuale: da un minimo di 1 anno e 6 mesi a un massimo di 6 anni. Stessa stretta per chi emette fatture o documenti per consentire ad altri di commettere frode. Ma le manette non scatteranno nel caso di mancato versamento dell’Iva.

Dichiarazione fiscale infedele

Nel caso si dichiarino meno redditi percepiti per pagare meno tasse è stato previsto sia l’abbassamento della soglia di punibilità da 150.000 euro a 100.000 euro, sia l’aumento delle pene da un minimo di 2 a un massimo di 5 anni (attualmente si va da 1 a 3 anni).

Omessa dichiarazione fiscale

Se, invece, non si presenta affatto la dichiarazione dei redditi scatta l’aumento delle pene da un minimo di 2 a un massimo di 6 anni (attualmente si va da 1 anno e sei mesi a 4 anni), mentre viene lasciata invariata la soglia di punibilità a partire da 50.000 euro.

Per la frode fiscale, dichiarazione fiscale infedele e omessa dichiarazione fiscale, dal momento che quest’anno la scadenza per presentare l’integrazione del modello Redditi (l’ ex Unico) è il 2 dicembre, anche in caso di approvazione rapidissima della norma, se scatteranno i controlli gli evasori saranno perseguiti con le vecchie regole. Come dire: le manette non le vedremo quest’anno ma, semmai, dobbiamo aspettare la dichiarazione 2020.

Occultamento e omesso versamento

Cresce la pena anche per chi occulta o distrugge documenti contabili (si rischia da 3 a 7 anni). E cambia anche la soglia oltre la quale il reato diventa penale per chi non versa le ritenute (da 150mila a 100mila euro) e per gli omessi versamenti Iva (da 250mila a 150mila euro).

Enti-società

Estesa ai reati tributari gravi la confisca per sproporzione al condannato non in grado di dimostrare la provenienza legittima di denaro o beni e la responsabilità amministrativa dell’ impresa in base alla legge 231. La confisca potrà colpire anche la società a vantaggio della quale è stato commesso il reato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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