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Cronache

É morto Raffaele Cutolo, era il capo della camorra in carcere all’ergastolo

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Era il camorrista per eccellenza Raffaele Cutolo, fondatore nonche’ capo della Nuova Camorra Organizzata morto nel reparto sanitario del carcere di Parma, lo stesso dove spiro’ a fine 2017 Toto’ Riina, dopo una lunga malattia. Aveva 79 anni ed era il carcerato al 41bis piu’ anziano. Era detenuto, ininterrottamente dal 1979, dopo il suo arresto ad Albanella, in provincia di Salerno. Un anno prima era evaso in maniera clamorosa, a colpi di bombe, dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa (Caserta). Soprannominato “o’ professore”, nacque ad Ottaviano, in provincia di Napoli, il 4 novembre del 1941. Nel 1983 sposo’ Immacolata Jacone, nel corso di un matrimonio celebrato nel carcere dell’Asinara. Lo scorso giugno, il simbolo della criminalita’ organizzata non solo campana, e’ tornato alla ribalta delle cronache per la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna di lasciarlo in cella, al 41bis, malgrado le sue condizioni di salute incompatibili con la detenzione carceraria, per la sua pericolosita’, rimasta intatta, secondi i giudici malgrado fosse vecchio e malfermo. Cutolo, infatti, non si e’ mai distaccato dalla mentalita’ camorristica, non ha mai voluto intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia ed e’ sempre rimasto fedele alle sue convinzioni. Il suo primo omicidio l’ha commesso per questioni di onore, per difendere la sorella Rosetta dagli apprezzamenti di un giovane del suo paese. Sulla sua vita sono stati scritti miriadi di articoli, libri e sono stati anche girati dei film. Don Raffaele rilascio’ delle dichiarazioni agli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (il pm Ida Teresi e il capo della Dda dell’epoca, Giuseppe Borrelli, attuale procuratore a Salerno) rivelando di avere avuto addirittura la possibilita’ di impedire l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Furono parole “pesanti” quelle pronunciate dal professore, messe a verbale il 25 ottobre del 2016: “Potevo salvare Moro ma fui fermato”. “Aiutai – spiego’ Cutolo – l’assessore Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”.

Ironico, beffardo, carismatico. Le apparizioni di Raffaele Cutolo nelle diverse aule di giustizia nelle quali e’ stato sottoposto, nel corso degli anni, a vari processi hanno sempre rappresentato un momento in cui la sua figura finiva per prendere decisamente il sopravvento su quella di altri coimputati e non solo. Sguardo vivace, lingua pronta, scaltro, sempre trattato con riverenza dagli altri ospiti della ‘gabbia’, Cutolo era il protagonista indiscusso di tante battaglie giudiziarie. Nessuno come lui era capace di concentrare su di se’ l’attenzione di tutti i presenti. Cutolo attore, Cutolo artista e divo, occupava lo spazio sui giornali e nelle tv soprattutto per il suo modo di fare spettacolo. Don Raffaele conosceva perfettamente i tempi scenici, alternava battute sferzanti a passaggi di estrema serieta’. E non mancavano riferimenti alla storia, alla filosofia, temi e materie che aveva avuto modo di approfondire nelle lunghe ore trascorse nelle celle delle carceri di mezza Italia. Il capo della Nuova Camorra Organizzata aveva un atteggiamento spavaldo e sfrontato dietro le sbarre delle aule di giustizia. Dispensava sorrisi e indirizzava battute salaci sia nei confronti degli avvocati sia dei giornalisti che affollavano i banchi a qualche metro di distanza dalle ‘gabbie’. Celebri poi sono rimasti i suoi duetti con il presidente della Corte d’Assise nell’aula bunker del Tribunale di Napoli quando, durante lunghi interrogatori cui veniva sottoposto, nel corso del processo alla NCO prendeva la parola per raccontare a suo modo fatti e circostanze delle quali era stato protagonista. Cutolo era abituato a non limitarsi a rispondere alle domande in maniera stringata, ma intervallava il racconto con sue opinioni personali, con commenti e con la narrazione analitica di una sfilza di aneddoti che poco avevano a che fare con gli argomenti su cui era chiamato a testimoniare. Da qui i continui interventi del presidente e del pubblico ministero che si vedevano costretti a ricondurlo nei limiti, nei termini e nei tempi di una risposta stringata e centrata sui fatti in esame. E in Tribunale Cutolo rilasciava anche interviste alla stampa, come quella celebre concessa ad Enzo Biagi nel 1986, proprio nell’aula bunker costruita all’interno del perimetro del carcere di Poggioreale. ”La camorra e’ disoccupazione. La vera mafia – disse tra l’altro il boss al giornalista che lo intervistava – la vera camorra, stanno a Roma. La camorra e’ una scelta di vita, un partito, un ideale”. Cutolo era specializzato nel riconoscere anche la bravura professionale delle persone che incontrava sulla sua strada. ”Lei e’ un uomo che non ha paura di avere coraggio” disse ‘o professore a Biagi prima di cominciare quell’intervista entrata poi nella storia del giornalismo italiano.

L’ultima verità di Cutolo, potevo salvare Moro

“Potevo salvare Moro, fui fermato”. L’ultima verita’, o almeno la sua, di Raffaele Cutolo sul suo ruolo nei rapporti tra Brigate Rosse, Servizi segreti, politici, risale a cinque anni fa. Racchiusa in un verbale di un interrogatorio. “Aiutai – questo il racconto del superboss morto oggi – l’assessore regionale Ciro Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”. Le dichiarazioni di Cutolo risalgono al 25 ottobre del 2016, come risposte alle domande del pm Ida Teresi e del capo di allora della Dda, Giuseppe Borrelli. L’interrogatorio di Cutolo si svolse nel supercarcere di Parma, dove il boss venne ristretto per scontare quattro ergastoli ed avvenne nell’ambito dell’indagine sul percorso criminale del suo luogotenente storico, Pasquale Scotti, arrestato dopo 30 anni di latitanza. Il contenuto di quell’interrogatorio – di cui riferi’ Il Mattino – venne alla luce grazie al procedimento amministrativo dinanzi al Tar scaturito dalla decisione dei pm di bocciare la collaborazione di Scotti. Cutolo si concentro’ in particolare sulla trattativa intercorsa per la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo rilasciato il 27 aprile del 1981 pochi mesi dopo il rapimento e il pagamento di un riscatto di 1 miliardo e 400 milioni di lire. Nel periodo in cui era recluso nel carcere di Ascoli Piceno, proprio quando fu intavolata la trattativa per la liberazione di Cirillo, Cutolo racconto’ di aver incontrato diversi politici venuti a perorare la causa dell’assessore Dc. Poi parlo’ del suo mancato coinvolgimento nella possibile trattativa per Moro e disse che il ministro dell’Interno dell’epoca, Francesco Cossiga, “si rifiuto’ di incontrarmi” essendo del resto Cutolo in quel momento un latitante. Due, comunque, le diverse versioni sui mediatori che sarebbero scesi in campo per chiedergli di salvare la vita ad Aldo Moro. Nell’interrogatorio ai pm napoletani Cutolo riferi’ che “Michelino Senese (camorrista che viveva a Roma, ndr) me lo propose quando ero latitante”. Ai pm romani che lo interrogarono nello stesso periodo fece invece il nome di Nicolino Selis, esponente della banda della Magliana (circostanza della quale aveva riferito il Corriere della Sera nel 2016). Da Cutolo messaggi in codice sempre sulla vicenda Cirillo (“avevamo dei documenti da usare contro i politici per i fatti della trattativa: alcuni li aveva Enzo Casillo – uno degli uomini di punta della Nco, poi ammazzato nella guerra di camorra, ndr – altri documenti invece li ho io ma moriranno con me”.

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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Un 19enne muore in un incidente in bicicletta

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Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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