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Cronache

Muore Cutolo e sul web spuntano i suoi fan: la denuncia del consigliere Borrelli

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Adesso sui social anche Raffaele Cutolo, il boss della NCO morto in carcere rischia di diventare un santino, proprio come narcos e mafiosi: la denuncia è del consigliere regionale Francesco Borrelli che su Facebook ha trovato una serie di commenti elegiaci per il vecchio boss. Come quello del  neo-melodico Gino Ferrante, che in un commento scrive: “Ha dato tanti posti di lavori, dovrebbero nascerne altri come lui”. Borrelli: “Nessuna lacrima per la morte di Cutolo né per quella di qualsiasi altro camorrista”. Al Consigliere Regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli, che da tempo ormai si è schierato in prima linea contro la cultura criminale e la camorra, avendo anche dato vita ad una protesta popolare contro le scarcerazioni dei boss avvenute nel primo lockdown per la pandemia da coronavirus, sono stati segnalati diversi messaggi pro-Cutolo, eretto da una certa parte della popolazione, purtroppo, a mito, leggenda, a esempio da seguire. Come fanno sulla piattaforma Tik-Tok, dove un uomo mostra fiero, sulle note di una canzone trap che parla di “Ak-47”, un fucile mitragliatore,  il volto di un giovane Raffaele Cutolo in compagnia di quelli di Al Capone e dei narcotrafficanti Pablo Escobar e “El Chapo” Guzman.

Post di Gino Ferrante su Cutolo

.“Non una lacrima abbiamo versato per la morte di Cutolo-dice il consigliere Borrelli- e mai ne verseremo per nessun boss e camorrista, nessuno dovrebbe farlo. Durante il primo lockdown, Cutolo, tramite il proprio legale, chiese al giudice di sorveglianza di poter essere scarcerato e di proseguire la pena ai domiciliari ma noi ci opponemmo, facendo lo stesso per tutte le altre scarcerazioni di boss, ottenendo anche una vittoria. È triste, inquietante e spaventoso che tante persone abbiano dedicato alla morte di uno dei boss più crudeli di sempre tanti messaggi d’affetto, di esaltazione, che quasi lo santificano. Qui non si tratta di pietà cristiana, non può esserci pietà per uno che ha generato tanta paura, morte, dolore e disperazione, ma si parla di esaltazione della camorra e della cultura criminale che, purtroppo, come stiamo già denunciando da tempo, si sta diffondendo sempre più in maniera pericolosa. A noi ci fanno ribrezzo i boss, i camorristi e chi li difende, li sostiene e li esalta perché è proprio grazie a questi ultimi che la camorra nella nostra terra continua a proliferare ed insinuarsi sempre più nel tessuto sociale, politico, economico e culturale. Questa mentalità va combattuta e repressa ad ogni costo, per sconfiggere la camorra bisogna prima estirpare questo pensiero filo-camorrista”.

“Sono stati davvero troppi i messaggi di apprezzamento per Cutolo -prosegue Borrelli- il cantante neomelodico Gino Ferrante, che già in passato avevamo attaccato dopo che aveva pubblicato un annuncio dove ricercava persone dalla ‘mentalità mafiosa’ per i suoi videoclip, definisce deficienti chi considera Cutolo un criminale e vorrebbe che ne nascessero altri come il boss. Senza parole. E poi canzoni, nuove o più datate, tatuaggi, fotomontaggi, tutto per esaltare una persona che tutti dovremmo ripudiare. Eppure così non è. Cutolo è morto in carcere, durante il 41bis, il regime carcerario duro, molto duro – conclude Borrelli- ed è giusto che sia così. I camorristi devono saperlo e ricordarselo: se intraprendono quella strada il futuro gli potrà riservare soltanto la morte in carcere”.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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