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Da igiene a false visite, i Nas da medici e pediatri

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Carenze igieniche o strutturali, ma anche farmaci scaduti o mancanti di bollino e visite mai effettuate per le quali si era recepito il rimborso. Sono le principali irregolarità rilevate dai carabinieri dei Nas che, in accordo con il ministero della Salute, hanno effettuato controlli a campione in tutta Italia in 1838 studi di medici di famiglia e pediatri convenzionati. Complessivamente, 251 studi hanno evidenziato irregolarità penali o amministrative, pari al 14%. I medici però si difendono ed invitano a non generalizzare, precisando come le irregolarità gravi siano in realtà in numero ridotto. Le violazioni più frequenti, pari al 65%, hanno riguardato carenze igienico/strutturali degli ambienti destinati alle visite, come la presenza di attrezzature non idonee all’uso medico, impiego di locali diversi da quelli dichiarati o privi di sufficiente areazione. Tali irregolarità sono state segnalate alle Autorità Sanitarie locali per il ripristino delle condizioni. Sebbene inoltre, precisano i Nas, la maggioranza degli studi controllati abbia offerto una corretta erogazione dei servizi ai propri assistiti, gli accertamenti hanno portato alla luce situazioni illecite con il deferimento all’Autorità giudiziaria di 51 medici e amministrativi.

Tra questi, 3 medici sono stati deferiti all’Autorità giudiziaria poiché ritenuti responsabili di aver falsamente attestato, all’Azienda Sanitaria Territoriale, l’esecuzione di visite e prestazioni domiciliari o presso case di riposo risultate nella realtà mai svolte, ricevendo indebitamente il rimborso delle prestazioni dichiarate. Presso due studi medici, il Nas di Catania ha invece scoperto la redazione di prescrizioni mediche attraverso il portale on-line eseguite da parte dei collaboratori di segretaria, in assenza dei medici titolari degli studi. I controlli hanno anche portato al sequestro complessivo di oltre 650 confezioni di farmaci scaduti e di decine di confezioni di medicinali prive di bollino, la cui destinazione è in corso di accertamento per appurare eventuali finalità connesse con l’illecito rimborso dei farmaci a danno del Servizio sanitario. Nel corso della campagna di controlli, 2 studi sono stati chiusi in provincia di Catania e Reggio Calabria per mancanza di abitabilità e allestimento di altre attività mediche non autorizzate. Bene i controlli effettuati ma “non bisogna generalizzare”, afferma il segretario generale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), Silvestro Scotti. Le ispezioni, “rilevano il 14% di studi che presentano irregolarità, ma al contempo evidenziano come l’86% si sia invece dimostrato in regola e questo va sottolineato. E’ chiaro che laddove ci sono delle mancanze vanno evidenziate ed affrontate, anche se in questo caso le percentuali sono ridotte”. Inoltre va considerato che per irregolarità legate alla presenza negli studi di farmaci scaduti, si tratta spesso di casi in cui il medico trattiene farmaci su richiesta dei familiari di pazienti deceduti che hanno difficoltà a smaltirli, aggiunge.

“Nessuna categoria è immune da soggetti che non rispettano le regole, ma certamente i medici non sono i peggiori. Detto questo – precisa Scotti – i controlli vanno fatti, ed a tutti i comparti della sanità”. Dal segretario Fimmg giunge anche una richiesta al ministero della Salute affinchè si attivi un tavolo proprio per comprendere le cause delle irregolarità gravi laddove si verifichino. C’è però anche un altro aspetto da considerare, avverte: “Controlli improvvisi fatti in studi medici magari pieni di pazienti possono influenzare negativamente i pazienti stessi, anche se l’esito dei controlli è negativo e non rileva irregolarità. Si rischia cioè di creare una cultura del sospetto con il pericolo che i medici siano considerati ingiustamente dagli assistiti”. Dunque, conclude, “il mio invito è a non generalizzare, perchè le irregolarità gravi sono in numero in realtà molto ridotto”.

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Milano, diciottenne ucciso a colpi di pistola nella notte

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Nella notte scorsa assurdo delitto alla periferia di Milano. Un giovane diciottenne, di origine slava, è stato brutalmente ucciso con tre colpi d’arma da fuoco al torace in via Varsavia, vicino all’ortomercato. Secondo quanto emerso da una prima ricostruzione, il ragazzo si trovava a bordo di un furgone quando è stato avvicinato da un gruppo di individui che hanno aperto il fuoco.

I dettagli dell’aggressione dipingono un quadro di violenza e paura. La vittima, evidentemente ignara del pericolo, stava riposando all’interno del mezzo insieme a una donna, forse la sua compagna. Gli assassini hanno infranto i vetri del furgone per accertarsi della presenza di persone all’interno, prima di aprire il fuoco. Il giovane è stato soccorso tempestivamente dagli operatori del 118, ma purtroppo i loro sforzi sono stati vani: è spirato poco dopo il suo arrivo all’ospedale Policlinico.

La compagna del ragazzo, fortunatamente, è sopravvissuta all’attacco, ma è stata portata in ospedale in stato di choc, testimone impotente della tragedia che si è consumata sotto i loro occhi.

Le indagini sono ora nelle mani degli agenti della Polizia di Stato, impegnati a cercare di gettare luce su questo terribile crimine. La zona intorno all’ortomercato, come riportato dalle autorità, è nota per essere frequentata da roulotte e furgoni abitati, soprattutto da comunità nomadi. Tuttavia, quanto accaduto stanotte ha scosso la comunità locale e ha sollevato interrogativi su quanto sicure siano realmente queste aree.

Mentre la città si ritrova a piangere la perdita di un giovane vita spezzata troppo presto, ci si interroga anche su quali misure possano essere prese per prevenire simili tragedie in futuro. In un momento in cui la sicurezza pubblica è al centro delle preoccupazioni di tutti, è fondamentale che le autorità agiscano con fermezza per garantire la protezione di tutti i cittadini, indipendentemente dal loro status sociale o dalle loro abitudini di vita.

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Fassino denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino, informativa in Procura

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Arriverà nelle prossime ore in Procura una prima informativa su Piero Fassino, denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino. Gli investigatori della Polaria hanno raccolto tutti gli elementi – comprese le immagini registrate dalle telecamere del sistema di videosorveglianza – e le trasmetteranno all’autorità giudiziaria competente, quella di Civitavecchia, che valuterà come procedere. Fassino, in quanto parlamentare, non è stato ascoltato ma – spiegano fonti investigative – se vorrà potrà rilasciare dichiarazioni spontanee.

Già ieri il deputato del Pd – parlamentare per 7 legislature, ex ministro della Giustizia dal 2000 al 2001, poi segretario dem fino al 2007 e sindaco di Torino per cinque anni dal 2011 al 2016 – ha fornito la sua versione sostenendo di aver già chiarito con i responsabili del duty free la questione: “volevo comprare il profumo per mia moglie, ma avendo il trolley in mano e il cellulare nell’altra, non avendo ancora tre mani, ho semplicemente appoggiato la confezione di profumo nella tasca del giaccone, in attesa di andare alle casse”. In quel momento, ha aggiunto, “si è avvicinato un funzionario della vigilanza che mi ha contestato quell’atto segnalandolo ad un agente di polizia.

Certo non intendevo appropriarmi indebitamente di una boccettina di profumo”. Fassino ha anche sostenuto che si era offerto subito di pagarla e di comprarne non una ma due, proprio per dimostrare la sua buona fede, ma i responsabili hanno comunque deciso di sporgere denuncia. Al parlamentare del Pd, dopo quella espressa ieri dal deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci, è arrivata la solidarietà del coordinatore di Fratelli d’Italia in Piemonte Fabrizio Comba. “Conosco l’uomo e il politico integerrimo, il tritacarne mediatico in cui è stato infilato è indecoroso per la sua storia personale e, quindi, anche per la storia del nostro paese. E’ un avversario politico – ha concluso Comba – ma non per questo mi permetto di dubitare della sua integrità, convinto delle sue straordinarie qualità morali”.

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Nozze d’argento boss in chiesa con le spoglie di Falcone

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Lui abito scuro, con gilet, pochette e cravatta color madreperla, lei abito bianco scollato lavorato con tessuto di pizzo e bouquet di rose rosse. La coppia d’oro delle famiglie mafiose palermitane, Tommaso Lo Presti, detto “il grosso”, per distinguerlo dall’omonimo detto “il lungo”, e la moglie Teresa Marino, ha festeggiato in grande stile, con amici e familiari l’anniversario dei 25 anni di matrimonio il 15 aprile scorso.

La coppia, lui è stato scarcerato da poco dopo anni di detenzione per mafia ed estorsioni, lei pure condannata per mafia, ha scelto per la cerimonia religiosa in cui rinnovare la promessa d’amore un luogo simbolico, la chiesa di San Domenico, che si trova in una delle piazze più belle di Palermo e che è nel cuore del mandamento mafioso di cui Lo Presti era al vertice. Nel complesso in cui è inserita la chiesa c’è anche il pantheon dei siciliani illustri, da Giuseppe Pitrè a Giacomo Serpotta, in cui sorge anche la tomba monumentale che ha accolto, dal 2015, le spoglie di Giovanni Falcone. I mafiosi quindi sono stati accolti dai frati, che gestiscono il complesso, per celebrare la benedizione delle nozze d’argento.

Padre Sergio Catalano, frate priore della chiesa, afferma di aver saputo chi fosse l’elegante coppia solo leggendo le notizie del sito d’informazione Palermotoday che ha pubblicato la notizia alcuni giorni dopo la cerimonia. “Le verifiche non spettano a noi – aggiunge – ci sono organi istituzionali che devono farlo”. Ma la coppia della cosca di Portanuova, lui è sorvegliato speciale e deve rientrare in casa entro una certa ora, poteva tranquillamente far celebrare la cerimonia in qualsiasi posto. La valutazione dell’opportunità di ospitare due mafiosi di questo calibro nel complesso dove ci sono le spoglie del magistrato ucciso dalla mafia spetterebbe a chi ha la responsabilità di quei luoghi.

Alla chiesa Lo Presti ha lasciato anche un’offerta che padre Catalano dice “servirà a fare del bene a chi ne ha bisogno”. Dopo la cerimonia a san Domenico la coppia ha festeggiato, nei limiti temporali concessi al sorvegliato speciale, in una villetta allietata anche dalle canzoni di due noti neomelodici. Dopo l’arresto di Lo Presti, 48 anni, nell’operazione Iago nel 2014, gli investigatori scoprirono il ruolo della moglie che il giudice che l’ha condannata descrive così: “Teresa Marino durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio”.

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