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Cronache

Da barista a killer: il tragico destino di Emanuele Bruno nella guerra di camorra a Pianura

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Da ragazzo che portava il caffè al bar a presunto esecutore materiale di un omicidio di camorra. È questo il drammatico cambiamento di vita che, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, avrebbe coinvolto Emanuele Bruno, 24 anni, oggi in carcere con l’accusa di aver ucciso Antonio Gaetano, presunto boss emergente di Pianura, colpito a morte con sei proiettili sparati a bruciapelo nella zona degli chalet di Mergellina, a marzo 2023.

Il giovane Bruno, noto con l’alias “Recchiolone”, è accusato di aver agito in piena consapevolezza, mirando a un ragazzo che conosceva bene da tempo. Entrambi di Pianura, fino a poco prima del delitto avevano intrapreso strade diverse: uno stava cercando di costruirsi un futuro nel mondo onesto del lavoro, l’altro – secondo gli inquirenti – era già inserito nel sistema delle piazze di spaccio.

Intercettazioni e testimoni: l’indagine prende forma

L’accusa nasce da intercettazioni ambientali e testimonianze raccolte subito dopo l’agguato. Decisive le parole di Salvatore Esposito, testimone oculare: «È stato Recchiolone, l’ho visto bene e l’ho riconosciuto». Un’identificazione netta, riferita anche ai genitori della vittima in un drammatico colloquio in ospedale. Tuttavia, da quella conversazione emerge un clima pesante di omertà: i parenti invitano il testimone a non riferire nulla agli inquirenti, mostrando come il silenzio sia ancora la regola nelle zone inquinate dalla camorra.

Ma non solo. In quelle ore si respirava già aria di vendetta. «Lo faccio diventare findus», dice un soggetto presente in ospedale, evocando la spirale di violenza che da decenni insanguina i quartieri di Napoli. Alcuni giorni dopo, nuove intercettazioni posizionano Bruno all’interno di una sala giochi di Pianura, dove – secondo la ricostruzione – avrebbe commentato l’uso dell’arma con cui è stato commesso l’omicidio: «Noi sparammo con una 9 per 19, mentre hanno scritto che era una 7.65».

Una guerra tra ragazzi, alimentata da droga e violenza

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Amato e dal pm Salvatore Prisco, fotografa una realtà criminale in cui i protagonisti sono giovanissimi, divisi tra ambizioni di riscatto sociale e attrazione per la criminalità. Al centro, una guerra per il controllo della droga a Pianura, quartiere segnato da faide sempre più brutali.

L’arresto di Bruno arriva pochi giorni dopo un altro blitz antidroga che ha portato a 12 misure cautelari. Le indagini della Squadra Mobile, guidata dal primo dirigente Giovanni Leuci, si sono basate sull’analisi delle immagini di videosorveglianza e sulle intercettazioni che hanno delineato il passaggio di Emanuele Bruno da aspirante lavoratore a presunto killer. Un percorso che – secondo i magistrati – avrebbe preso forma anche a causa di derisioni e umiliazioni subite, proprio per il suo iniziale sogno di una vita “normale”.

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Trovata morta la 23enne scomparsa a Bologna

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E’ stata trovata morta in serata la ragazza di 23 anni di cui era stata denunciata ieri la scomparsa a Bologna. La polizia aveva avviato indagini e ricerche. Non si esclude che si tratti di un gesto volontario, ma saranno fatti accertamenti.

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Volvera, tragedia in un condominio: uomo uccide due vicini a coltellate e si toglie la vita

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Duplice omicidio seguito da suicidio questa sera nel cuore di Volvera, cittadina della pianura torinese a 25 chilometri dal capoluogo piemontese. In un appartamento al primo piano di un condominio di via XXIV Maggio 47, un uomo di 34 anni ha ucciso a coltellate i suoi due giovani vicini di casa – una donna di 28 anni e un uomo di 23 – per poi togliersi la vita con la stessa arma.

Secondo una prima ricostruzione, il delitto sarebbe maturato al culmine di una lite esplosa tra la coppia e l’aggressore, già noto alle forze dell’ordine. Per compiere l’atroce gesto, il 34enne avrebbe usato un coltello da sub, colpendo a morte prima i due vicini, che avrebbero cercato invano di fuggire nel cortile dell’edificio, e poi si sarebbe inferto un fendente mortale alla gola.

I primi a intervenire sono stati i carabinieri della stazione di None e i soccorritori del 118, seguiti dai militari del comando provinciale e dalla compagnia di Pinerolo. I corpi sono stati trovati nel cortile della palazzina: per tutti e tre non c’è stato nulla da fare. Sul posto anche la Scientifica, impegnata nei rilievi e nell’analisi della scena del crimine.

Le indagini sono in corso per chiarire le cause esatte della lite che ha scatenato la furia omicida. I carabinieri stanno ascoltando i vicini di casa e ricostruendo le relazioni tra i protagonisti della tragedia. La comunità di Volvera è sotto shock, sconvolta da una violenza improvvisa e brutale che ha spezzato tre vite nel cuore di una tranquilla zona residenziale.

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Abuso di sostanze, madre indagata per morte feto

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Una donna è indagata per omicidio colposo perché ritenuta presunta responsabile della morte del feto, quando era incinta, dovuta a un sospetto abuso di sostanze cannabinoidi e benzodiazepine. Sulla vicenda, avvenuta in provincia di Pordenone, indaga la polizia, coordinata dalla Procura della Repubblica: il fascicolo è stato affidato al sostituto Enrico Pezzi. La magistratura, sospettando un ‘distacco intempestivo massivo di placenta in travaglio precipitoso’, ha indagato la donna e disposto l’autopsia del corpo della neonata. La vicenda risale ad alcuni giorni fa. L’esame autoptico sarà eseguito sabato mattina all’ospedale civile di Pordenone dall’anatomopatologo Antonello Cirnelli – lo stesso che si occupò del caso di Giulia Cecchettin – e dai professori Pantaleo Greco (direttore di Ginecologia e Ostetricia del Sant’Anna di Ferrara) e Marny Fedrigo (specialista in Anatomia patologica dell’università di Padova).

La Procura ha incaricato i tre periti di accertare se il decesso del feto sia avvenuto prima, durante o dopo il travaglio. Le indagini sono scattate dopo che l’Azienda sanitaria Friuli Occidentale ha riferito alla polizia – le indagini sulla vicenda sono svolte dalla Squadra Mobile della Questura di Pordenone – della morte di un feto in un’abitazione privata di una cittadina contermine a Pordenone. Su quanto accaduto vige comprensibilmente il massimo riserbo anche perché tra le persone offese ci sarebbe il padre della bimba morta. I medici che si sono presi cura della donna nella fase di emergenza hanno manifestato sospetti e chiesto dunque un supplemento di indagine e l’esecuzione dell’esame autoptico. Secondo quanto si è appreso, infatti, sarebbero state riscontrate incongruenze tra il racconto della donna e quanto accertato dal personale che ha preso in carico la stessa paziente senza poter fare nulla per poter salvare la vita alla nascitura.

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