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Corona Virus

Coprifuoco dalle 22 alle 5, zone rosse in 5 regioni e lite sulla Campania

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Sarà chiusa mezza Italia. Per ora. L’altra mezza aspetta  la pubblicazione del report con cui il Cts fotograferà oggi la gravità del contagio, territorio per territorio per capire se e quando subirà lo stesso lock-down. In base al nuovo dpcm, che il premier Giuseppe Conte ha firmato nella notte, e che entrerà in vigore domani, saranno l’indice Rt e altri 21 parametri a stabilire il lockdown totale di alcune Regioni. Una sorta di automatismo. Se arrivi a certe cifre del contagio. gradualmente chiusi attività fino al lockdown o fino al rientro alla normalità se il contagi viene imbrigliato e riportato a cifre fisiologiche. È evidente che ha un peso anche il funzionamento del sistema sanitario e la capacità di curare i pazienti.  Toccherà al ministro della Salute Roberto Speranza, con ordinanze che dovrebbero essere firmate già in giornata, decretare il blocco. Manca ancora l’ultimo monitoraggio, ma le regioni candidate alla chiusura sono Lombardia, Piemonte, Cala- bria, Valle d’Aosta e Alto Adige. In questa cerchia potrebbe però rientrare anche la Campania, a rischio per l’area metropolitana Napoli-Caserta. E se non sarà la Campania per intero a subire il lockdown, certo ci saranno restrizioni dure per Napoli. Puglia e Sicilia saranno presumibilmente inserite nella fascia intermedia, che prevede comunque la pesante serrata di bar e ristoranti. Lo stesso vale per la Liguria. A sor- presa, anche l’Emilia-Romagna balla sul filo, come pure il Veneto: ancora da stabilire se saranno arancioni o in fascia verde.

È un giorno pieno di tensione, quello che produce la nuova stretta del governo. Sul piano nazionale, passa la linea di Giuseppe Conte e soprattutto di Italia Viva, con il coprifuoco in tutto il Paese a partire dalle 22 di sera. Confermate anche le altre misure annunciate: didattica a distanza al 100% per le superiori, blocco delle crociere, trasporti pubblici (non scolastici) con capienza ridotta al 50%, chiusura dei mu- sei e delle sale bingo, blocco dei con- corsi pubblici e privati (e in partico- lare di quello sulla scuola, che provo- ca uno scossone all’Istruzione), cen- tri commerciali fermi nel week end.

Ma pesa soprattutto la possibile stretta per le Regioni a massimo rischio. Si tratta di vere e proprie zone rosse. Chiuderanno infatti le scuole dalla seconda media in su, i ristoranti (ma con asporto consentito fino al- le 22 e consegna a domicilio senza limiti), bar, pub, pasticcerie. Saracinesche abbassate per parrucchieri ed estetisti, oltre che per tutti i negozi non essenziali (aperti invece supermercati e farmacie).

Continueranno a produrre le industrie. Torna il regime dell’autocertificazione, perché si potrà circolare solo per comprovate esigenze di lavoro, studio, salute. Bloccata anche la mobilità interregionale verso i territori con fascia di rischio differente. Doloroso lo stop all’attività sportiva anche nei centri all’aperto, possibile l’attività motoria in prossimità della propria abitazione. Nelle zone arancioni, invece, le misure saranno meno rigide. Ma prevederanno comunque il blocco di bar e ristoranti e lo stop alla circolazione fuori dal proprio Comune (almeno stando all’ultima bozza).

Sono misure ferree, quelle delle zone rosse. Quasi identiche a quelle del marzo scorso. Per questo alcuni governatori si oppongono. Contestano l’assunzione di responsabilità del governo nelle chiusure, dopo aver abdicato alle proprie. Chiedono ristori immediati, il blocco delle tasse per il biennio 2020-21 per le aziende chiuse, bonus per i professionisti, congedi parentali. Tornando alla Campania, Vincenzo De Luca, il presidente della Regione, non è stato d’accordo con il governo ed ha spinto per un lockdown nazionale generalizzato. Come quello di marzo. Ma pare che sulla base dei numeri del contagio la Campania non è ancora nella fascia delle regioni già in zona rossa. Il rischio è che se il contagio non si arresta potrebbe a breve finirci e a quel punto la chiusura sarebbe automatica, sulla base dei criteri scelti.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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