Nel 2023, spiega la ricerca di Cer per Confesercenti, “tassi di interesse ed inflazione hanno condizionato pesantemente i risultati a consuntivo dell’economia italiana, e il modesto aumento del prodotto interno lordo registrato nel 2023 è stato trainato esclusivamente dai consumi, in particolare quelli turistici, che hanno contribuito allo 0,7% di crescita del Pil. Ma per mantenere i livelli di spesa, le famiglie hanno risparmiato meno: la propensione al risparmio è scesa al 6,2% del reddito disponibile, la più bassa degli ultimi 35 anni”. Le prospettive, però, prosegue la ricerca, restano incerte. Con una conferma dei provvedimenti anche nel 2025 la spesa delle famiglie aumenterebbe dello 0,7% con un Pil in crescita dell’1,1%.
Un aumento che permetterebbe di recuperare finalmente, dopo 18 anni, i livelli dei consumi che si registravano prima della grande crisi finanziaria internazionale del 2007-2008. Senza taglio del cuneo, invece, le dinamiche positive rischiano di venire meno: in questo caso le simulazioni Confesercenti-CER mostrano che l’incremento dei consumi si abbasserebbe allo 0,2%, con un incremento del Pil fermo allo 0,8%. Una mancata riconferma del provvedimento, dunque, si legge, “sarebbe una notizia preoccupante per le imprese che fanno riferimento al mercato interno.
In primo luogo, quelle del commercio al dettaglio che già scontano l’impatto dell’inflazione, che costringe le famiglie a spendere di più per comprare di meno”: nel 2023 l’aumento dei prezzi ha portato ad un incremento delle vendite del +1,5% in valore, con una flessione però del 2,2% in volume, pari – secondo le stime Confesercenti – a circa 9 miliardi di euro di vendite mancate. “Sarebbe auspicabile – conclude Confesercenti – anche un’accelerazione della riforma fiscale: necessario, in particolare, detassare gli aumenti retributivi. Un intervento che darebbe una mano alla contrattazione e permetterebbe alle famiglie di recuperare più velocemente il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione”.
Nel 2023, spiega la ricerca di Cer per Confesercenti, “tassi di interesse ed inflazione hanno condizionato pesantemente i risultati a consuntivo dell’economia italiana, e il modesto aumento del prodotto interno lordo registrato nel 2023 è stato trainato esclusivamente dai consumi, in particolare quelli turistici, che hanno contribuito allo 0,7% di crescita del Pil. Ma per mantenere i livelli di spesa, le famiglie hanno risparmiato meno: la propensione al risparmio è scesa al 6,2% del reddito disponibile, la più bassa degli ultimi 35 anni”. Le prospettive, però, prosegue la ricerca, restano incerte. Con una conferma dei provvedimenti anche nel 2025 la spesa delle famiglie aumenterebbe dello 0,7% con un Pil in crescita dell’1,1%.
Un aumento che permetterebbe di recuperare finalmente, dopo 18 anni, i livelli dei consumi che si registravano prima della grande crisi finanziaria internazionale del 2007-2008. Senza taglio del cuneo, invece, le dinamiche positive rischiano di venire meno: in questo caso le simulazioni Confesercenti-CER mostrano che l’incremento dei consumi si abbasserebbe allo 0,2%, con un incremento del Pil fermo allo 0,8%. Una mancata riconferma del provvedimento, dunque, si legge, “sarebbe una notizia preoccupante per le imprese che fanno riferimento al mercato interno.
In primo luogo, quelle del commercio al dettaglio che già scontano l’impatto dell’inflazione, che costringe le famiglie a spendere di più per comprare di meno”: nel 2023 l’aumento dei prezzi ha portato ad un incremento delle vendite del +1,5% in valore, con una flessione però del 2,2% in volume, pari – secondo le stime Confesercenti – a circa 9 miliardi di euro di vendite mancate. “Sarebbe auspicabile – conclude Confesercenti – anche un’accelerazione della riforma fiscale: necessario, in particolare, detassare gli aumenti retributivi. Un intervento che darebbe una mano alla contrattazione e permetterebbe alle famiglie di recuperare più velocemente il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione”.