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Braccio di ferro sul Recovery, dal superbonus ai rilievi Ue: Draghi rischia l’inciampo

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Rischia il primo inciampo sul Recovery Plan il governo Draghi: il piano da oltre 200 miliardi da cui passa la ripartenza dell’Italia dalla crisi peggiore del dopoguerra resta bloccato per tutto il giorno tra tensioni dei partiti sul Superbonus e rilievi degli uffici di Bruxelles: a tentare di “sbloccare l’impasse” interviene direttamente il premier, con una telefonata con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, con cui da’ la sua garanzia del cambio di passo per assicurare la messa a terra degli investimenti e, soprattutto, la realizzazione delle riforme necessarie alla ripresa. Ma Bruxelles fa sapere che servono ancora “rifiniture”, in particolare sui dossier fisco e business environment. Il Consiglio dei ministri che deve esaminare il piano prima che il premier lo illustri lunedi’ e martedi’ alle Camere e’ ufficialmente convocato alle 10 del mattino: ma gia’ dalla tarda serata di ieri gli uffici erano stati avvisati di possibili ritardi e si arriva a tarda sera: la bozza del testo, piu’ di 300 pagine in cui si descrive l’Italia tra 5 anni, piu’ verde e piu’ digitale, va coordinato per dare coerenza a tutti i capitoli, e servono ancora aggiustamenti tecnici e formali. E poi ci sono le interlocuzioni informali con Bruxelles, che aspetta il documento ufficiale entro il 30 aprile e vuole piu’ dettagli sulle riforme: la task force del ministero dell’Economia che ha gestito la fase di preparazione del piano non ha mai smesso di confrontarsi con i tecnici della Commissione Ue per evitare problemi nella fase successiva, quella in cui prima i commissari e poi l’Ecofin saranno chiamati ad approvare il Pnrr e a garantire, cosi’, il primo anticipo da 24 miliardi entro l’estate. Nessuno vuole una bocciatura, meglio quindi verificare ogni capitolo nei dettagli. Mentre il premier tira le fila con la Commissione, a Roma i partiti sono sempre piu’ in fibrillazione: non e’ piaciuto nemmeno ai ministri il riserbo con cui si e’ lavorato sulle bozze, circolate solo ieri. E si diffondono i malumori, per quell’accenno a Quota 100 che non sara’ rinnovata, per lo schema della governance ancora da definire sul fronte della ‘regia politica’. Ma anche per la lista delle cose che mancano, compresa l’indicazione di Torino come sede di I3A, l’istituto per l’intelligenza artificiale, che fa infuriare la sindaca, Chiara Appendino (ma la sede quella sara’, la rassicura poi in serata il viceministro al Mise Pichetto Fratin). L’opposizione si inserisce e parla di “democrazia sospesa” con Giorgia Meloni che accusa il governo di mancanza di informazioni: “anche l’indecenza ha un limite. Mancano meno di 48 ore dalle sedute parlamentari e il Recovery Plan non e’ stato ancora nemmeno pubblicato”. Il Pd, torna a sottolineare il segretario Enrico Letta chiede che ci sia un vincolo chiaro, nei contratti di appalto per i progetti del Recovery, che garantisca piu’ occupazione per donne e giovani. Forza Italia vede un piano “migliorato rispetto a quello di Conte” ma a cui servono “correttivi su politica industriale, rigenerazione urbana, fondi per il Sud” che non devono essere “meno del 40%”, come chiarisce il coordinatore di Fi, Antonio Tajani. Il partito di Silvio Berlusconi si e’ affiancato al Movimento 5 Stelle anche nella battaglia piu’ dura, quella sul Superbonus. Piu’ moderato su questo dossier – al contrario di quello sulle aperture – il profilo che assume la Lega, che pure chiede di proseguire. Sulla proroga dell’incentivo al 110% per le ristrutturazioni green e antisismiche la bozza del Recovery e’ ambigua, si parla di una proroga della misura introdotta a maggio scorso con il decreto Rilancio “dal 2021 al 2023” ma le risorse – in tutto 18,5 miliardi tra Recovery e fondo extra – sono le stesse gia’ previste dal vecchio piano di gennaio che pero’, di fatto, contemplava le estensioni gia’ introdotte con la legge di Bilancio (scadenza a giugno 2022, per i condomini a fine del prossimo anno e allungamento fino a giugno 2023 solo per le case popolari). Lo reclamano i costruttori, le imprese, le banche, lo chiedono anche i Dem (“e’ una misura rivoluzionaria” dice anche Nicola Zingaretti). E insorge il Movimento, cui non bastano le rassicurazioni che le risorse per arrivare al 2023 – se ne serviranno altre – saranno indicate con la prossima manovra, in autunno, date dal ministro dell’Economia Daniele Franco alla collega Mariastella Gelmini, come filtra da Fi. I 5S chiedono garanzie “nero su bianco” e “un segnale inequivocabile” direttamente da parte di Draghi. Perche’ si tratta di “un punto essenziale”, come lo definisce l’ex premier Giuseppe Conte che, per la prima volta, interviene su un tema di governo da leader del M5S.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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