Il “mandato” firmato dalla premier potrebbe rimuovere la riservatezza su nomi e incarichi legati all’ex agente Mancini. Ma la vicenda resta intricata
Sei parole vergate a mano dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, firmate con la sola iniziale “G.”, rimettono al centro della scena una delle vicende più controverse degli ultimi anni: l’incontro all’Autogrill di Fiano Romano tra Matteo Renzi e l’allora dirigente dei servizi segreti Marco Mancini, ripreso da una cittadina e finito nel mirino della trasmissione Report. Il leader di Italia Viva esulta: «Finalmente capiremo chi dice bugie e chi racconta la verità». Ma a oggi resta poco chiaro su cosa davvero il governo abbia deciso di sollevare il velo del segreto di Stato.
Le tre inchieste e il ruolo del segreto
In realtà, sulla “vicenda Autogrill” in senso stretto non è mai stato apposto alcun segreto di Stato. La Procura di Roma ha già archiviato una prima inchiesta a carico della professoressa che filmò Renzi e Mancini, ritenendo che non ci fosse dolo né intenzione di diffamare l’ex premier. Anche una seconda indagine, nata da un’altra denuncia presentata da Renzi contro ignoti, si è chiusa con richiesta di archiviazione — alla quale però il senatore si è opposto: se ne discuterà in aula il 21 maggio.
Ma il vero nodo riguarda un terzo fascicolo, aperto in seguito alla denuncia di Marco Mancini contro i giornalisti di Report per diffamazione e violazione del segreto. È in questo contesto che il segreto di Stato è stato formalmente evocato, con l’allora direttrice del Dis, Elisabetta Belloni, che si è rifiutata di rispondere a domande sulla struttura operativa dei Servizi e sugli incarichi di Mancini. Il segreto fu confermato dall’ex premier Mario Draghi, per proteggere assetti, ruoli e dinamiche interne dell’intelligence.
Il possibile cambio di passo
Ora Meloni, con una breve annotazione scritta, annuncia la volontà di riesaminare il caso, dando «mandato» — si presume — di valutare la rimozione parziale del segreto, soprattutto su identità e incarichi che, a distanza di oltre quattro anni, potrebbero non essere più sensibili. In particolare, potrebbe trattarsi della fonte ex Sismi citata da Report, o dello stesso Mancini, ormai pensionato.
Il segnale del governo potrebbe anche essere letto come un gesto politico, in risposta alla lettera di Renzi che denuncia opacità e richiama altre vicende, come l’utilizzo del software israeliano Paragon per operazioni di sorveglianza non ancora chiarite. L’impressione è che si voglia aprire uno spiraglio per gestire caso per caso, senza però abbattere l’intera barriera del segreto.
Le implicazioni politiche
Il tempismo dell’annuncio non è casuale: Renzi si riposiziona come garante della trasparenza, mentre il governo Meloni tenta di mostrarsi disponibile a rivedere scelte precedenti, ma senza mettere a rischio la riservatezza degli apparati di sicurezza. Tuttavia, c’è il rischio che una deroga “ad personam” venga poi usata come precedente per chiedere maggiore accesso a dossier delicati, anche su episodi più recenti.
Resta da capire fino a dove Meloni intenda spingersi e se la “verità” auspicata da Renzi potrà mai emergere completamente. Di certo, il caso Autogrill torna a infiammare il dibattito politico — tra richiami alla trasparenza e protezione degli equilibri interni dello Stato.