Lasciate che la guerra vi scorra al fianco, non fate nulla per fermarla anzi alimentatela in un modo qualunque, e i barbari arriveranno: il barbaro che c’è dentro ciascuno di noi, vedrete, arriverà. La regressione umana verso il puro istinto di sopravvivenza, verso l’egoismo, il cinismo, la povertà culturale, la desertificazione affettiva, l’esercizio cieco, massiccio e indistinto della violenza: tutto questo arriverà, vedrete.
V. Putin ha commesso un errore grave e colpevole, invadendo l’Ucraina. L’Occidente, incolonnato dietro J. Biden, ha commesso un errore non meno grave e non meno colpevole a spingere Mosca verso l’aggressione e a non muovere un dito per arrestare il conflitto, costruendo un tavolo di discussione e di trattativa, mettendosi in gioco con proprie garanzie e non solo con minacce continue sull’uso della sua forza armata (NATO) poggiata su un immenso potenziale economico e politico. Compiango infine l’Ucraina per i morti e i feriti, i milioni di profughi, i bambini spauriti che non vanno a scuola, i vecchi che muoiono per il freddo e la mancanza di cure, senza che il gruppo al potere a Kiev si renda conto che la sua ostinazione a combattere “fino alla vittoria” contro un nemico certo meno potente del previsto ma che non ha di sicuro i piedi d’argilla, va a fare dell’Ucraina un immenso campo di rovine. Che non basterà una generazione a rimettere in sesto.
I barbari sono arrivati a Odessa. Hanno scagliato le loro asce russe, tonanti e taglienti, contro una città certo tra le più rappresentative del Paese. Ed hanno scagliato le loro asce ucraine, più silenziose ma certo non meno taglienti, contro i simboli dell’identità russa. Così, la statua dedicata a Caterina la Grande, fondatrice della città, è stata smantellata nei giorni scorsi. Una furia distruttiva, barbarica appunto, si abbatte contro ciò che è russo nelle vaste distese ucraine e fin sulle sponde del Mar Nero: la lingua, la musica e la danza, le arti, la letteratura, il teatro, il cinema. I ritratti, le memorie, i personaggi, i monumenti, le architetture. E’ una cancrena che agisce con un nome sinistro e, ahimé!, alquanto diffuso anche fuori dall’Ucraina: si chiama “r.u.s.s.o.f.o.b.i.a.”.
Cancellare la storia? Faccende già viste, tristemente. I barbari potranno ignorare le ferite inferte alla città dal nazismo e dal fascismo rumeno. Se la potranno prendere con la cultura russa, potranno abbattere, la statua di Caterina e di coloro che insieme a lei hanno dato un’anima immortale a questa città. Una topìa così seduttiva e cosmopolita: francese in primis, col vigoroso e lungo governatorato del duca di Richelieu, bisnipote del Cardinale, a inizio ‘800; ma anche italiana, col tocco di architetti come Frapolii, Dalaqua, Torricelli, Boffo, Morandi, Otton. E poi greca, e fiamminga, e tedesca.
Via le guerre russo-turche (1768-74 e 1787-91) e via, con esse, tutte le visioni geopolitiche e gli assetti territoriali dell’Europa centro-orientale e baltica. Forse gli ucraini bruceranno su una pubblica piazza “I racconti di Odessa”, di Isaak Ėmmanuilovič Babel’ che, nato a Odessa, scriveva in russo (e anche in francese).Abbatteranno il monumento a L. Tolstoi, il busto di Puskin, che qui visse tra il 1823 e il 1824, esiliato da San Pietroburgo e impiegato di infimo rango del conte Voronstov, governatore della città. Dimenticheranno in qualche scantinato le pellicole della “Corazzata Potemkin” e forse asfalteranno la famosa scalinata di Eisenstein. Cambieranno la toponomastica urbana, piena dei respiri culturali del mondo russo intrecciati a quelli dell’Europa intera. Non oso immaginare cos’altro potrebbe succedere a una città dove i 4/5 della popolazione è di lingua e cultura russa.
Eppure, una territorialità deconfigurata, con i suoi luoghi e i suoi paesaggi ridotti a puro spazio, e sì, insomma, una terra privata del suo passato, delle sue radici urbanistiche, delle sue vocazioni spirituali, una terra così, ecco, può immaginare per se stessa un futuro, forse, ma certo non un avvenire.