Dal 27 febbraio scorso è ufficiale: le carceri italiane dovranno uniformarsi a una gestione più rigida dei detenuti in regime di Alta sicurezza. Lo ha stabilito una nota della Direzione generale dei detenuti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) che impone il ritorno al modello organizzativo tradizionale: custodia chiusa, con celle sbarrate salvo alcune eccezioni e per un massimo di otto ore al giorno.
La disposizione riguarda i detenuti non al 41-bis, ma inseriti nelle sezioni di Alta sicurezza per la pericolosità sociale legata a reati gravi come associazione mafiosa o terrorismo. Non si tratta, quindi, dei cosiddetti “detenuti al carcere duro”, ma comunque di individui considerati altamente pericolosi, la cui gestione richiede massima attenzione.
Un regime rigido e uniforme
La nuova circolare del Dap punta a correggere le disomogeneità organizzative che si erano create negli anni. Alcuni istituti penitenziari avevano infatti adottato prassi più elastiche, consentendo ai detenuti una maggiore libertà di movimento all’interno dei reparti. Una scelta ritenuta dal Dap pericolosa, poiché potenzialmente in grado di favorire comunicazioni con l’esterno e mantenere vivi i legami criminali.
Le eccezioni alla chiusura delle celle sono tre e ben definite:
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Socialità: concessa solo in appositi locali comuni.
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Permanenza all’aria aperta: nei tempi previsti.
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Partecipazione ad attività trattamentali: come corsi scolastici o professionali.
In ogni caso, la permanenza fuori dalla cella non potrà superare le otto ore giornaliere.
“Una situazione singolare”
La nota del 27 febbraio sottolinea come il Dap avesse già chiesto alle direzioni penitenziarie di conformarsi alle regole, ma che finora molti istituti si sono limitati ad adempimenti formali, senza modificare realmente la gestione quotidiana dei detenuti. “Tale situazione appare francamente singolare”, si legge nel documento, che lascia intendere una tolleranza ormai esaurita.
La linea Delmastro: “Mai più contatti con l’esterno”
A rivendicare con decisione la nuova stretta è il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, che ha parlato al Fatto Quotidiano:
“Abbiamo posto rimedio alla fragilità del sistema perché i mafiosi non possano più considerare il carcere come un incidente di percorso. La lotta alla mafia è una nostra priorità e non faremo sconti”.
Il provvedimento arriva in risposta alle preoccupazioni espresse da numerosi magistrati antimafia, tra cui Nicola Gratteri, Francesco Paolo Giordano Ardita e Giovanni Melillo, che da tempo segnalavano criticità nel regime di Alta sicurezza.
Ma la nuova impostazione ha già generato tensioni tra i detenuti e un crescente malcontento negli istituti penitenziari, come riportato da diverse relazioni interne (vedi articolo collegato). La situazione è dunque da monitorare con attenzione, anche alla luce del possibile rischio di proteste o rivolte.