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Politica

Metodo Conte, passo felpato per “tenere” il M5S in fibrillazione

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Per riannodare i fili, si riparte daccapo. Dal metodo, da come parlarsi e collaborare. Giuseppe Conte mette attorno a un tavolo i capi delegazione dei partiti di maggioranza, come promesso, per avviare la “fase due” del governo e rifare il cronoprogramma. L’orizzonte e’ una navigazione che, dopo la sconfitta di Salvini in Emilia Romagna, puo’ davvero aspirare a toccare il traguardo della legislatura. La ricetta prevede anche piu’ coinvolgimento dei parlamentari. Il premier conferma in cima alla sua agenda temi come la riforma fiscale, la lotta all’evasione, la sostenibilita’ ambientale, la sburocratizzazione. Ma tanto e’ cambiato. Al tavolo convocato alle 18.30 di giovedi’ sera siederanno, come prima, Dario Franceschini per il Pd, Roberto Speranza per Leu, Teresa Bellanova per Iv. La novita’ e’ che di fronte hanno Alfonso Bonafede, non Luigi Di Maio, e sullo sfondo un M5s in piena crisi. L’altra novita’ e’ che il Pd ha piu’ forza nell’esigere che il governo cambi passo e rompa tabu’ come l’idea di fare un “tagliando” a quota 100 e al reddito di cittadinanza o di scrivere un nuovo decreto sicurezza. La discontinuita’, insomma. Per farlo, sia il premier che gli alleati scelgono un passo felpato, per non sottoporre ad altro stress i Cinque stelle, gia’ sull’orlo di una crisi di nervi. C’e’ da un lato Franceschini a spiegare che il M5s ha “bisogno di tempo”, dall’altro Roberto Fico ad assicurare che c’e’ l’unita’ necessaria ad arrivare fino a fine legislatura. E c’e’ Conte che, pur lavorando ormai apertamente – anche a costo di irritare un pezzo di Movimento – da federatore di un campo “progressista” alternativo alla destra, non smette i panni del mediatore, capace di dare tempo al tempo. Incalzano pero’ i dossier, per i quali tempo non c’e’. Sulla revoca della concessione ad Autostrade e la prescrizione bisognera’ decidere cosa fare entro la prossima settimana, quando in commissione alla Camera si dovranno affrontare alcuni emendamenti Iv ad alto rischio. E poiche’ Matteo Renzi, che nel weekend riunira’ la prima assemblea nazionale di Italia viva, non sembra voler deporre le armi, bisognera’ cercare ancora una volta di sminare. Percio’ c’e’ chi nel Pd ipotizza soluzioni intermedie come la revoca parziale della concessione ad Autostrade o un percorso parlamentare per le norme sulla prescrizione. Ma le difficolta’ interne al Movimento non aiutano: i Cinque stelle, anche per mostrare cedimenti, mostrano posizioni rigide su entrambi i temi. Il primo dossier sul tavolo di Conte, al ritorno da una visita istituzionale a Sofia, sara’ pero’ il difficile accordo con Arcelor Mittal sull’ex Ilva. La prima scadenza e’ il 31 gennaio. Dopo aver riunito i capi delegazione il premier potrebbe dedicarsi proprio a questo tema, con una bozza di lavoro di cinque pagine a fare da base e il nodo da risolvere degli esuberi e dell’ingresso di Invitalia. Con i rappresentanti dei partiti Conte potrebbe parlare anche di prescrizione e Autostrade. Ma soprattutto, dovrebbe definire il metodo di lavoro con cui arrivare a darsi un programma di legislatura, piu’ dettagliato e ampio di quello siglato la scorsa estate. Il Pd mette in cima alla sua agenda una riforma dell’Irpef “equa”, una ambiziosa riscrittura dei decreti sicurezza e un “tagliando” a quota 100 e un “miglioramento” (dice il ministro Roberto Gualtieri) del reddito di cittadinanza, insieme a temi come quello ambientale. Il Movimento 5 stelle, come ricorda il capogruppo alla Camera Davide Crippa, l’introduzione del salario minimo orario e la legge sul conflitto di interesse. Leu pone l’accento sulla revisione del Jobs act. E Iv su giustizia e sul “piano shock” per le infrastrutture. Un articolato tavolo con il coinvolgimento dei capigruppo in commissione dei partiti potrebbe servire a entrare nel merito. Ma fin dai capitoli, emergono i primi problemi. Perche’ si tornera’ a parlare della possibilita’ – il Pd e’ a favore – di modificare alcune aliquote Iva. E perche’ i 5s, sui quali Di Maio esercita ancora un peso, non intende smentirsi e gia’ avverte che si puo’ pure migliorare ma dal reddito di cittadinanza “non si torna indietro”

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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Politica

Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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