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Silenzio sulla mafia, il solito piano per il Sud e la esecuzione di operazioni di macelleria giudiziaria nel silenzio dei più: buon anno nuovo al Belpaese

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Se andate su Google, il motore di ricerca della nostra memoria degli ultimi trenta anni, e cliccate “piano per il Sud” o  “piano straordinario per il Sud” o  “investimenti per il Sud” vi accorgerete che non c’è politico e governo politico che non abbia sfornato a chiacchiere piani e investimenti per il Sud. Da sempre.  Buone intenzioni a valanga. Il dramma, poi, è che alle buone intenzioni non sono mai seguiti i fatti. Perché, come tutti sanno, la strada che porta all’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni. Anche questo nuovo Governo (non vi è alcun pregiudizio nelle nostre parole) ha un piano per il Sud. Forse ne ha più di uno. E per sembrare più credibile ha anche un ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano. Il quale, a fine anno, ci fa sapere con un bel post su Facebook che sta “lavorando al Piano che presenteremo a gennaio, come abbiamo lavorato alla legge di bilancio che ne contiene le premesse e alcune prime importanti azioni. E no, purtroppo no. Nel 2020 non colmeremo quel divario. Ma invertiremo decisamente la rotta. Questo si, è un impegno”. Questo è quello che scrive il ministro Provenzano commentando un titolo di giornale del ’72 in cui si scriveva che “Il divario tra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”. Come potete capire anche 48 anni fa se ne scrivevano e se ne dicevano di scemenze, possiamo dunque anche accettare di leggere le buone intenzioni e il Piano per il Sud che Provenzano vuole propinarci a fine 2019. E allora che cosa ci vuole dire il ministro Provenzano? Che cosa ci vuole promettere il ministro del Sud per l’anno che verrà?

“Nel 2019 – ammette con onestà intellettuale il ministro Provenzano -, siamo ancora molto lontani dal colmare quel divario (un divario che da 50 anni a questa parte si è allargato piuttosto che ridotto), che dai fattori economici e sociali si è via via esteso alle diverse dimensioni della cittadinanza, il lavoro, la scuola, la salute, la mobilità. In questa fine dell’anno, penso ai paesi che si stanno spopolando e dove non si torna ormai più nemmeno per le feste. Penso ai lavoratori in cassa integrazione, a quelli che affrontano crisi industriali e alle loro famiglie. Ma vedo anche quel Sud che ogni giorno esprime tutta la sua voglia di riscatto, amministratori spesso giovani in trincea, argini alle mafie e al malaffare, associazioni che combattono le miserie materiali e morali. Penso a quelli che restano. A quelli che provano a farcela, e a volte ce la fanno, ma faticano il doppio, e non è giusto. Penso a chi si è sentito libero di andare, a chi invece lo ha fatto solo per necessità, a chi non riesce a tornare, a chi vorrebbe garantito il sacrosanto “diritto a restare”. Con questi pensieri stiamo lavorando al piano che presenteremo a gennaio”. Ora, con tutto il rispetto che si deve ad un ministro della Repubblica italiana: tutto qui il piano per il Sud? Tutta qui l’analisi delle cose che non vanno? E la mafia? Le mafie che hanno rapinato ogni risorsa al Sud e l’hanno investita nel Nord del Paese e all’estero? E la situazione infrastrutturale da terzo mondo del Sud? E la Calabria abbandonata? E la Basilicata del petrolio dimenticata? La Campania lasciata nelle mani di una oligarchia familistica e nepotista impastata con poteri opachi? La Sicilia dei gattopardisti e trasformisti che cambiano bandiere ed entrano in ogni sistema che minaccia di cambiare tutto per poter lasciare tutto com’è? La Puglia messa schiena a terra dai banchieri della Popolare di Bari e dagli industriali indiani dell’acciaio che fanno affari con gli italiani sulla pelle dei poveri tarantini messi di fronte alla scelta se morire di fame o morire di cancro per le polveri e i fumi dell’Ilva?

 

Tutta qui ministro Provenzano la diagnosi dei mali del Sud? Anche lei ha fatto un elenco bellissimo di belle parole che col Sud e con i mali del Sud hanno scarsa dimestichezza di rapporti. Epperò a noi sembra ingiusto pretendere da lei che cinquant’anni di scemenze, finte diagnosi di una malattia, cure sbagliate e assenze potessero trovare una soluzione con un post su Facebook. Dunque aspettiamo di leggere anche il suo piano per il Sud, il piano del Governo Conte per il Sud.  Mi raccomando ministro, non dimenticate mai che bisogna tornare a declinare la parola mafia, riportarla al centro del dibattito politico di questo Paese. Non lo facciamo da venti e passa anni. Mi creda, signor ministro, la mafia che investe nell’economia legale con le sue regole, che inquina l’economia legale con i soldi rapinati al Sud, la mafia che piega le istituzioni locali ai suoi interessi, la mafia che gestisce droga, rifiuti, sanità e commette una serie indeterminata di altri reati a percezione debole ma di gravità inaudita tipo azzardo, contraffazione, prostituzione, economia del vizio in senso lato, accomodazione e sfruttamento dei fenomeni migratori sono il primo vero cancro da estirpare, eradicare in questo Paese.

Catello Maresca. Uno dei più bravi magistrato inquirenti che hanno messo alle corde il clan dei Casalesi

Perchè, come dice un eccellente magistrato e servitore dello Stato, Catello Maresca, voi politici e noi giornalisti per primi, dovremmo fare uno sforzo anche nell’uso di un linguaggio più aderente alla realtà quando parliamo di mafia. “La mafia, uno Stato serio non la deve più contrastare, la deve eradicare come si fa col cancro”: le parole non sono mie, sono del magistrato antimafia Catello Maresca, quello che ha ridotto al lumicino la potenza militare del clan dei Casalesi, che ha sequestrato a questi mafiosi che hanno fatto carne da macello al Sud beni per oltre 2 miliardi di euro. Ah, ministro caro per il Sud, vuole sapere che fine ha fatto il dottor Maresca? Forse lei pensava che il Csm (sì, proprio il Csm) l’avesse scelto per mandarlo alla procura nazionale antimafia dopo tutto quello che ha fatto alla procura distrettuale antimafia di Napoli? O forse lei credeva che il suo Governo o il Parlamento abbia potuto pensare a lui per l’Autorità Anticorruzione o per il Dap dove ci si occupa di pene detentive e detenzione anche di mafiosi? No, assolutamente no. Niente di tutto questo. Uno bravo, capace sotto il profilo giuridico, e non un azzaccagarbugli, uno che sa combattere e sa estirpare la mafia, va tenuto sotto scorta (perchè i casalesi a Maresca vogliono tagliargli la testa) e messo in condizione di non nuocere più. Magari rischiamo di vedere Catello Maresca al Massimario della Cassazione a scrivere sentenze oppure giudice civile sepolto tra le scartoffie di chissà quale tribunale ingolfato d’Italia. Buon anno nuovo caro ministro per il Sud. Buon anno a lei e soprattutto buon lavoro al suo Governo. L’Italia è questa. E di lavoro da fare ce n’è tanto. Magari cominciando a fare cose, piuttosto che ad indicare le cose da fare.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Fini condannato a 2 anni e 8 mesi per casa a Montecarlo

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una operazione immobiliare dai contorni opachi e dietro la quale, secondo il tribunale di Roma, si nascondeva una attività di riciclaggio di denaro. Dopo sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio arriva la sentenza di primo grado per la vicenda legata all’acquisto di un appartamento a Montecarlo, al numero 14 di Boulevard Princesse Charlotte. I giudici della quarta sezione collegiale, dopo circa due ore di camera di consiglio, hanno condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a 5 anni la sua compagna Elisabetta Tulliani. Il tribunale ha inoltre inflitto 6 anni a Giancarlo Tulliani, 5 anni al padre Sergio e 8 anni a Rudolf Theodor Baetsen. Il tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura di Roma che ai cinque muove l’accusa riciclaggio.

A Fini, che era presente in aula, i magistrati contestano “la condotta relativa all’autorizzazione alla vendita dell’appartamento” escludendo l’aggravante e riconoscendogli le attenuanti generiche. “Non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l’acquirente” ha commentando l’ex presidente della Camera lasciando la cittadella giudiziaria della Capitale che ha poi aggiunto: “me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo 7 anni di processo. Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma. Dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato”. La difesa dell’ex parlamentare annuncia il ricorso in appello sostenendo che il tribunale ha riconosciuto nei suoi confronti una sorta di “concorso morale” nell’attività illecita.

L’accusa prevista dall’articolo 648 bis del codice penale era l’unica fattispecie contestata nel processo dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che coinvolgeva altri imputati ma non Fini. La prescrizione era legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Nel corso del procedimento è intervenuta anche la compagna di Fini che nel corso di brevi dichiarazioni spontanee aveva di fatto scaricato le colpe sul fratello Giancarlo.

“Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna nel corso dell’udienza del 18 marzo scorso-. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”. Inizialmente il processo vedeva imputate, come detto, anche altre ‘posizioni’, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta, per le quali è stata riconosciuta la prescrizione. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere hanno messo in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità di Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai da latitante. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani. Quest’ultimi per gli inquirenti avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco.

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Il richiamo di Mattarella, non dividere il sud dal nord

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I sindacati hanno un ruolo “insopprimibile” per lo sviluppo della società; il welfare non deve perdere il suo carattere “universalistico”; anche se è “un’ottima notizia” che l’occupazione stia crescendo, le istituzioni non devono mai sentirsi “appagate” perchè “l’ascensore sociale” si è bloccato; ogni morte sul lavoro è “inaccettabile” per uno stato moderno; ed infine porre rimedio allo “sfruttamento” degli immigrati. C’è tutto questo e tanto altro nel primo maggio del presidente della Repubblica che ha scelto di passare la vigilia della Festa del Lavoro tra gli operai del distretto agro-industriale nella provincia di Cosenza. Inevitabilmente però sono le sue preoccupazioni sul distacco del Mezzogiorno dal nord del Paese, sulla perdurante questione meridionale – invincibile nel tagliare il Paese in due – a raccogliere gli applausi convinti dei lavoratori calabresi che erano accorsi ad ascoltarlo.

Sergio Mattarella non pronuncia mai le parole “Autonomia differenziata” ma nella platea, inevitabilmente, tutti pensano alla riforma a motrice leghista. “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, premette il presidente che quindi argomenta la sua riflessione spiegando quanto risolvere la questione meridionale sarebbe utile per l’intero Paese. Al contrario, relegarla nel cassetto dei “problemi non urgenti” è una scelta che frena il pil dell’Italia. “Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. E’ appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale”, spiega Mattarella raccogliendo pieno consenso dall’uditorio.

“Il mezzogiorno è parte dell’Europa”, incalza il presidente chiedendo di uscire da una logica di “analisi semplificate”. Il problema è complesso e va affrontato dalla politica, insiste elencando le differenze insostenibili tra nord e sud: redditi sensibilmente più bassi; servizi e sanità meno efficienti; tasso di occupazione inferiore; donne svantaggiate; ed infine troppi giovani costretti a lasciare la loro terra per cercare fortuna altrove. Chiuso questo passaggio che in tanti hanno letto come un grido d’allarme rispetto ai pericoli di un’Autonomia mal applicata, il capo dello Stato ha avuto molto da dire sul lavoro in senso stretto. Durissime le sue parole sui continui incidenti nei cantieri e nelle fabbriche: “non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile”.

Altrettanto secco il richiamo del Quirinale sulle condizioni nelle quali vengono tenuti in Italia i migranti che, regolari o irregolari, spesso vivono il lavoro ai confini della schiavitù: “i lavoratori migranti sono parte essenziale della produzione agricola e delle successive trasformazioni dei suoi prodotti. Ma, in alcuni casi, aree grigie di lavoro – che confinano con l’illegalità, con lo sfruttamento o addirittura se ne avvalgono – generano ingiustizia e, inoltre, insicurezza, tensioni, conflitti. E offrono spazi alle organizzazioni criminali. Vigilare sulle delinquenziali forme di capolarato è, quindi, un preciso dovere. Così come – aggiunge Mattarella – bisogna vigilare sulle condizioni inumane in cui vengono, in alcuni casi, scaraventati i lavoratori stagionali, talvolta senza nome né identità”. Ed ancora, mentre non si spengono le polemiche sulle parole del generale Vannacci sulla disabilità nelle scuole, Mattarella mostra di pensarla diversamente: purtroppo “perdurano le difficoltà di chi sopporta una disabilità, il peso degli oneri di assistenza che non di rado spingono nel bisogno anche famiglie di chi un lavoro ce l’ha”. Non poteva mancare quindi il consueto augurio per la buona riuscita del Concertone di Roma, quest’anno accompagnato da un invito ai giovani a “preparare il futuro senza cedere alla paura o alla sfiducia”.

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Sprint per le liste, scontro sul taglio delle firme

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Alla fine il governo ha detto “No”. Nessuno sconto al numero di firme per presentare nuove liste alle Europee dell’8 e 9 giugno. Resta così a metà del guado Marco Rizzo, di Democrazia sovrana e popolare, che aveva chiesto un taglio a Palazzo Chigi, ottenendo una prima apertura. Michele Santoro, invece, ha fatto sapere di essere riuscito ugualmente a raccogliere le sottoscrizioni necessarie in tutte le circoscrizioni per Pace Terra Dignità. La scadenza è ormai questione di ore. Si delinea così la fisionomia dello scontro politico che vedrà in campo tanti big, dalla premier Giorgia Meloni alla segretaria Pd Elly Schlein, e numerose vecchie conoscenze, da Vittorio Sgarbi per FdI a Sandra Lonardo Mastella per Stati Uniti d’Europa ad Alessandra Mussolini per Forza Italia. Dopo aver ascoltato “con attenzione” la proposta di Rizzo di portare da 75 mila a 37.500 il numero di firme per le liste che non abbiano già parlamentari, Palazzo Chigi ha deciso di “non accogliere la richiesta”, anche “a fronte della ferma contrarietà di altre formazioni politiche minori”.

In primis quella di Cateno De Luca, della lista Libertà, che in mattinata aveva chiesto un incontro con lo staff di Meloni per “evitare che il governo” favorisse “solamente il partito di Marco Rizzo con una norma ad personam”. Rizzo ha comunque annunciato battaglia: “A questo punto – ha detto – ci presenteremo nelle circoscrizioni Centro e Sud dove la soglia delle firme è stata ampiamente superata e nelle altre faremo ricorso”. In attesa del deposito delle firme e delle verifiche, Michele Santoro ha annunciato di avercela fatta: “Possiamo essere finalmente fieri di aver realizzato un’impresa che sembrava impossibile – ha detto il giornalista – Consegneremo la lista Pace Terra Dignità in tutte le circoscrizioni”. In lista per Santoro ci sono – tra l’altro – l’attore Paolo Rossi e lo scrittore moldavo Nicolai Lilin.

Il balletto delle firme non riguarda le forze già presenti in Parlamento, che hanno invece dovuto fare i conti con la battaglia delle liste, dei nomi da mettere in campo. Oltre a Meloni, capolista ovunque, e a Schlein, che sarà capolista al Centro e nelle isole, fra i leader ci saranno il segretario di Fi Antonio Tajani, capolista in ogni circoscrizione tranne le isole (dove c’è invece Caterina Chinnici), e quello di Azione Carlo Calenda, capolista nel Nord Est, Isole e Centro. Per FdI, nelle ultime ore è circolato anche il nome del ministro Crosetto, un’ipotesi che però non pare abbia poi preso corpo. Dubbi sulla presenza in lista con Stati Uniti d’Europa, anche sull’ex sindaco di Agrigento, in passato nel Pd a trazione renziana, Marco Zambuto, compagno della figlia di Totò Cuffaro. Sarà invece della partita il leader di Italia viva Matteo Renzi: si candiderà all’ultimo posto in quattro circoscrizioni su cinque. “Tutti i candidati della Lista Stati Uniti d’Europa si sono impegnati, se eletti, a lasciare eventuali altri incarichi e andare al Parlamento europeo”, ha ricordato Emma Bonino, capolista al Nord ovest e in corsa al Centro. Un po’ a sorpresa, per Fdi è spuntato il nome di Vittorio Sgarbi, nella circoscrizione Sud.

Tre mesi fa il critico si era dimesso da sottosegretario alla Cultura dopo la delibera dell’Antitrust che definiva alcune sue attività “incompatibili” con il ruolo di governo: “Ho deciso di accettare la candidatura da indipendente con Fratelli d’Italia – ha spiegato – Sono libero e ho una dote di voti riconoscibili. Alle Europee del 1999 ne presi 100mila nel Nord Est, quasi come Berlusconi”. Sarcastico il M5s: “Quali saranno i prossimi candidati al Parlamento Europeo di Fratelli d’Italia? Magari Pozzolo e Delmastro? Di questo passo non ci sorprenderebbe se in futuro candideranno Daniela Santanchè al Quirinale”.

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