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Parla Roberto Impero, imprenditore settore sicurezza stradale: più manutenzione, meno stragi

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Trentanove anni, napoletano di nascita, casertano d’adozione, vicepresidente di Confindustria giovani. È Roberto Impero, l’amministratore delegato della Sma Road Safety. Azienda con sede a Marcianise nata del 2011, all’avanguardia nel mondo nell’ideazione, progettazione e produzione di dispositivi di ritenuta stradali come attenuatori d’urto e terminali di barriera e di sistemi di monitoraggio urti per ogni tipo di strada. I suoi sono dei veri e propri salvavita. Basta guardare il video nel quale un’auto lanciata a 130Km/h dopo un impatto frontale con una barriera e grazie ad un attenuatore, ne esce indenne. E soprattutto ne escono indenni l’automobilista ed i passeggeri presenti nell’abitacolo di quell’auto.

Roberto, i suoi dispositivi salvano la vita degli automobilisti? 

Sì. Tecnicamente sono pezzi di ferro, ma nella realtà si tratta di barriere altamente innovative coperte da dodici brevetti, che salvano la vita alle persone che perdono il controllo dell’auto perché sono al cellulare e si distraggono o sbandano e perdono il controllo della vettura per un colpo di sonno. In altri Paesi le barriere hanno sempre degli attenuatori davanti, in Italia sono pochissimi i casi.

Quindi sulle strade italiane ci sono pochi attenuatori? 

Pochi, pochissimi! E non sono i nostri. Siamo un’azienda che commercializza perlopiù all’estero. I nostri dispositivi sono presenti nelle strade del mondo, ma poco in Italia. Siamo una piccola impresa del Sud Italia che va a scontrarsi con multinazionali americane. Questo è un mercato di nicchia dove non è facile entrare. La nostra ambizione è quella di aggredire il mercato statunitense, che è molto particolare e non permette l’esportazione.

Qual è lo stato di salute delle strade italiane e del Sud in particolare? 

Le nostre strade sono davvero messe male. Solo alcune tratte autostradali, ovvero quelle a tre corsie con asfalto drenante, sono realmente sicuri. Per il resto basta guardare le arterie cittadine, troppo spesso piene di buche, o quelle di strade a scorrimento veloce dove non si sa mai a chi spetta la manutenzione ed è palese lo stato in cui versano le nostre strade.
Come si può porre rimedio a ciò? 

Per gli alberghi così come per i ristoranti esistono le stelle che servono a classificarli. Quando entriamo in una struttura a tre stelle, piuttosto che a 5 stelle, sappiamo a cosa andiamo incontro, quali servizi ci vengono offerti anche in base al prezzo. La stessa cosa dovrebbe succedere per le strade, specie per quelle a pagamento. Dovrebbero esserci delle ‘stelle’ che indicano lo stato di quella strada. Cioè già prima di percorrerla dovremmo sapere di che tipologia è l’asfalto o se ci sono i dispositivi di sicurezza. In pratica una classificazione.

In questo periodo, dopo i fatti di Genova, è alta l’attenzione sulla sicurezza stradale. 

C’è un bisogno di sicurezza sempre maggiore. L’Unione europea impone delle regole. La nostra azienda, ad esempio, proprio per questa richiesta di sicurezza sempre maggiore, non si ferma ai requisiti minimi di legge. No, andiamo oltre. Facciamo sempre dei test aggiuntivi chiamati stress test. Ad esempio la norma europea ci impone di fare dei test per i nostri attenuatori con le auto che impattano a 110km/h? Noi, invece, stressiamo i nostri dispositivi provandoli a 130Km/h. In questo modo i nostri prodotti non solo sono conformi, ma sono ultra-sicuri.

Nel 2017 ci sono stati 3378 morti stradali. In aumento, purtroppo, rispetto agli anni scorsi. Come si possono abbattere questi disastri? Dietro quel numero ci sono esseri umani.

Le dico cose che possono sembrare banali. È necessario che gli automobilisti siano più attenti per strada. Bisogna rispettare la segnaletica e le regole. Ma poi è necessario anche che le strade siano maggiormente manutenute e sicure.

Nella giornata di ieri è stata chiesta la condanna a 10 anni per Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia. È imputato nella inchiesta sulla sciagura del viadotto dell’Acqualonga del 28 luglio del 2013, quando morirono 40 persone precipitando col bus dal viadotto, da 30 metri di altezza.  Lei ritiene che se quel tratto autostradale fosse stato protetto con uno dei suoi dispositivi potremmo parlare di strage evitata? 

No. Non me la sento di dire questo. Quello che posso dire è che le barriere laterali di acciaio (guardrail) o di cemento (new Jersey) son progettate proprio per evitare che veicoli che sbandano finiscano per precipitare da viadotti o cavalcavia. Infatti vengono eseguiti urti laterali con veicoli fino a 38 Tonnellate. Purtroppo qualcosa non ha funzionato altrimenti non saremmo qui a parlare di questa strage. Ma la verità è che ci sono tanti morti sulle strade che si sarebbero potuti e che si possono evitare. Ogni giorno quando percorro il tratto da casa alla mia azienda noto dei pericoli in strada. D’accordo che sono un addetto al settore e noto determinate cose con più facilità, ma mi chiedo: chi manutiene quelle strade non se ne accorge? Ci sono alcuni svincoli di superstrada che rappresentano delle trappole per gli automobilisti. Ed allora non capisco perché non si punti ad un maggiore investimento sulla sicurezza.

Sottoponiamo a Roberto Impero delle immagini. Nel primo caso c’è un attenuatore allo svincolo Acerra-Cancello; in un’altra immagine si vede lo svincolo sulla circunvallazione esterna di Giugliano; poi c’è un’altra foto scattata a Bologna Borgo Panigale;  l’ultima foto è quella relativa ad un incidente stradale sulla Strada Statale 131 all’altezza di Monastir, nel Cagliaritano.

Ecco sono degli esempi errati. Ma oltre quelli delle foto ce ne sono, purtroppo, tanti altri. Nel primo e nel terzo caso già ci sono stati degli impatti. Nel caso della circumvallazione di Giugliano vediamo un chiaro pericolo per gli automobilisti. Nel cagliaritano, poi, ho saputo che in seguito a quell’incidente è stato messo in sicurezza quello svincolo. Sarebbe necessario mettere in sicurezza il pericolo con degli attenuatori. In questo modo se un’auto impatta contro questi ostacoli gli automobilisti ne escono indenni. È una questione di sicurezza.

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Operaio muore a Brindisi, il padre fu vittima sul lavoro

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Aveva 46 anni e nove anni fa aveva perso il padre in un altro drammatico incidente sul lavoro Vincenzo Valente, l’operaio morto nella notte in uno zuccherificio a Brindisi mentre era impegnato in alcune attività di manutenzione sul nastro trasportatore che collega lo stabilimento al porto industriale di Costa Morena Est. “Erano due persone speciali unite da un drammatico destino”. E’ il pensiero che unisce la piccola comunità di Latiano, a circa 20 chilometri da Brindisi, dove vive la famiglia Valente. L’11 febbraio del 2015 a 65 anni Cosimo Valente era morto dopo una caduta da un albero mentre effettuava dei lavori di potatura. Nella notte, il figlio, invece è morto a causa di una grave emorragia dopo che il suo braccio, per cause ancora da chiarire, è stato tranciato dall’impianto in movimento. Vincenzo malgrado i tentativi dei medici di rianimarlo è morto.

Il corpo del 46enne, dipendente di una ditta esterna allo stabilimento, è stato recuperato dai vigili del fuoco, in quanto si trovava ad un’altezza di oltre 10 metri. In attesa di quelle che saranno le indagini, le organizzazioni territoriali di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila, dopo la morte dell’operaio, hanno già annunciato una giornata di sciopero “sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro che costituisce un imperativo”. La procura di Brindisi, intanto, ha aperto un’inchiesta sull’accaduto ed è stato disposto il sequestro preventivo del nastro 6 per proseguire negli accertamenti.

Le indagini sono condotte dalla polizia e dai tecnici dello Spesal dell’Asl di Brindisi che hanno acquisito una serie di rilievi e le testimonianze degli altri operai che erano in turno con Valente. Il 46enne è la terza vittima dall’inizio del 2024 a Brindisi: il primo marzo morì il 40enne Giuseppe Petraglia caduto da un’altezza di dieci metri in un capannone della zona industriale. Meno di due settimane dopo l’incidente all’interno dello stabilimento Jindal con il decesso del 37enne Gianfranco Conte travolto da un macchinario. Solo pochi giorni fa, alla vigilia del primo maggio, un altro operaio di 59 anni, Corrado Buttiglione era morto in Puglia, travolto dal muletto che stava manovrando in un’azienda a Gioia del Colle.

Il sindaco di Latiano Mino Maiorano ha annunciato che nel giorno dei funerali del 46enne “sarà proclamato il lutto cittadino”. Il primo cittadino si accoda alle richieste dei sindacati sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. “Ora è il momento della riflessione e del silenzio ma – dice Maiorano – non posso esimermi dal denunciare l’urgenza di porre un argine al dramma dei morti sul lavoro che fa registrare oltre mille vittime ed oltre 500 mila incidenti ogni anno”. Valente, non è l’unico operaio deceduto nelle ultime ore in uno stabilimento in Italia. A Lanciano al reparto montaggio dello stabilimento Stellantis Europe di Atessa, ex Sevel, a causa di un infarto è morto il 56enne Massimo Di Florio che si è improvvisamente accasciato su un carrello. Dopo l’accaduto il restante turno di lavoro è stato annullato in comune accordo tra l’azienda e la Rsa di Fim, Uilm e Fismic nei reparti Montaggi e Logistica.

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Maria prima nata a Lampedusa dopo 51 anni si battezza

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E’ nata il 31 luglio 2021 a Lampedusa dove i suoi genitori, della Costa d’Avorio, sono giunti con un barcone partito dall’Africa. Ora Maria è tornata, dopo due anni e mezzo sull’isola dove domani verrà battezzata durante la messa serale, nella parrocchia di San Gerlando. La bambina e i suoi genitori sono arrivati ieri a Lampedusa da Cassaro, comune di poco più di 700 abitanti in provincia di Siracusa, dove sono ospiti della rete Sai (sistema accoglienza integrazione) gestita dalla cooperativa Passwork. La famiglia è stata accolta dal sindaco delle Pelagie Filippo Mannino che ha voluto la cittadinanza onoraria, deliberata dal Consiglio comunale, per la piccola. Il riconoscimento è stato conferito oggi pomeriggio, quando in via Roma è stato intitolato a Maria il parco giochi realizzato con i fondi Fami del ministero dell’Interno.

Mannino, accogliendo ieri la bimba e i genitori, ha chiesto se fossero cattolici e se era possibile un incontro con la comunità dei fedeli di Lampedusa. I genitori di Maria si sono detti disponibili all’incontro e hanno anche manifestato l’intenzione di battezzare la piccola proprio nella sua isola. Stamani è stato contattato il parroco che ha dato il via libera e che ha già trovato la tutina bianca da far indossare a Maria. La bimba è stata la prima a nascere, dopo 51 anni, a Lampedusa, dove le donne non partoriscono per mancanza di una struttura sanitarie adeguata. Maria è nata nell’ambulatorio del punto territoriale d’emergenza (Pte).

Rita, ivoriana di 38 anni, già madre di due figli rimasti in Costa d’Avorio, faceva parte di un gruppo di migranti salvato e sbarcato nell’isola. La donna, giunta alla fine della gestazione, è stata portata in via precauzionale al poliambulatorio. Al Pte la ha iniziato il travaglio e non essendo stato possibile trasferirla in elisoccorso i sanitari hanno deciso di farla partorire lì. Ad assisterla e supportarla oltre ai medici in servizio è stata Maria Raimondo, infermiera di Corleone in servizio all’ambulatorio di Lampedusa: i genitori hanno deciso di dare il nome della donna alla figlia.

La cittadinanza onoraria e l’intitolazione del parco – partecipa anche per il dipartimento Libertà civili e immigrazione il vice prefetto Carmen Cosentino – sono state decise in quanto Maria è un simbolo di speranza. Nelle motivazioni è scritto: “Maria è il simbolo di chi c’è l’ha fatta ma soprattutto di chi non ce l’ha fatta, di chi nutre la speranza di raggiungere un posto migliore dove mettere radici, dove vivere nella piena libertà e legalità, dove il diritto all’infanzia è una priorità. Ed è per questo che la nostra comunità è in dovere e in diritto di riconoscerle la cittadinanza onoraria, un riconoscimento alla vita, alla solidarietà, al rispetto e tutela dei diritti umani e di tutti i bambini che come Maria sono nati a Lampedusa”.

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OpenAI sfida Google, pronta a lanciare motore di ricerca

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Un’alternativa a Google, il motore di ricerca per antonomasia, basato su ChatGpt. Potrebbe essere questa la prossima mossa di OpenAI, l’azienda madre del software che ha dato una spinta all’intelligenza artificiale, rimescolato le carte nel settore tecnologico e che ora punta a togliere il monopolio al colosso di Mountain View. Un battage sui social media parla dell’esistenza di un nuovo dominio sul sito della società che contiene la parola ‘search’, appunto ‘ricerca’. Le voci ufficiose indicano il 9 maggio come data di lancio. Il dominio https://search.chatgpt.com, così si chiamerebbe, è stato avvistato da un utente della piattaforma Reddit. Al momento visitando il sito appare la scritta “not found”. Il possibile motore di ricerca si presume si baserà sul porre domande e sull’interazione con un modello di intelligenza artificiale che utilizza un linguaggio naturale, sulla falsa riga della Search Generative Experience di Google.

“Nessuno ancora è riuscito a combinare i large language models e la ricerca, mi piacerebbe farlo – ha detto il mese scorso in una intervista Sam Altman, il Ceo di OpenAI – Google ti mostra 13 annunci e dieci link blu, forse esiste un modo migliore per aiutare le persone a trovare le informazioni”. Le frasi sembrano una dichiarazione di guerra. Google domina la scena da quasi 30 anni, ha una quota di mercato del 90% e sborsa ogni anno miliardi di dollari a Apple per rimanere la scelta di ricerca predefinita anche sugli iPhone. E nel puzzle tecnologico che si sta componendo alla luce dell’exploit dell’intelligenza artificiale, proprio Apple – secondo indiscrezioni di Bloomberg – sta intensificando le trattative con OpenAI per una possibile integrazione di ChatGpt sui melafonini. Sullo sfondo c’è Microsoft che ha finanziato pesantemete la società guidata da Sam Altman e ha iniziato le prove tecniche di integrazione dell’IA nel suo motore di ricerca Bing.

Dal canto suo Google sta inserendo gradualmente il chatbot Gemini sia nella ricerca sia in alcune sue app popolari e, secondo il Financial Times, starebbe valutando la possibilità di far pagare per alcune funzionalità potenziate dall’IA. È probabile che un aggiornamento sull’intelligenza artificiale e una risposta ad OpenAI arrivi a stretto giro nella conferenza degli sviluppatori della società prevista il 14 maggio. L’ipotesi di un motore di ricerca con ChatGpt rimescolerebbe le carte di un settore in ebollizione, aprendo ad un nuovo attore che unisce l’intelligenza artificiale all’ampiezza dei dati trovati online. Quello dei dati usati per l’addestramento di questi grandi modelli linguistici, sempre più onnivori, non è però un tema secondario. Di recente negli Stati Uniti, dopo il New York Times, otto quotidiani hanno fatto causa a OpenAI per violazione dei diritti di autore: sostengono che i loro articoli sono stati usati per alimentare il chatbot. Mentre un’associazione europea, noyb.eu, ha depositato un reclamo al Garante per la privacy austriaca sostendendo che ChatGpt viola il Gdpr, la legge europea sulla protezione dei dati personali.

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