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Ecco chi e perché vuole “uccidere” Luigi Di Maio

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Chi recita il de profundis di  Luigi Di Maio, chi parla di stagione politica finita, di leader politico al tramonto o è in malafede o non riesce a leggere i tratti salienti di un movimento politico deideologizzato come il M5S. Luigi Di Maio dal 23 settembre del 2017, quando è stato investito del ruolo di capo politico del MoVimento ha in pochi mesi portato i pentastellati ad essere la prima forza politica nel Paese e nel Parlamento. Le elezioni del 4 marzo del 2018, vinte a mani basse dal M5S, hanno consegnato al Paese un Parlamento squassato, senza una maggioranza e con forze politiche importanti sotto choc per le dimensioni epocali della sconfitta. Per mesi Forza Italia e il Pd hanno balbettato, non hanno mai analizzato le ragioni di una batosta elettorale senza precedenti ed hanno conservato la stessa classe dirigente sconfitta al voto.

Nei mesi in cui il Capo dello Stato Sergio Mattarella usava tutta la sua saggezza per provare a dare un Governo al Paese (tra marzo e giugno 2018, non un decennio fa) senza riuscirci, Luigi Di Maio si comportava da leader politico con un altissimo senso delle istituzioni.

Certo, salvo qualche défaillance scusabile (la sciocchezza dell’impeachment) per le pressioni pazzesche che subiva da lobby e gruppi di potere. Se però Di Maio fosse stato un uomo senza alcuna cultura istituzionale e capace di guardare solo agli interessi personali e del suo Movimento, si sarebbe messo sul piedistallo, avrebbe urlato all’Italia e agli italiani che era impossibile fare un Governo con forze politiche che s’erano squagliate democraticamente nelle cabine elettorali, ed avrebbe atteso la convocazione di nuove elezioni da parte di un Presidente Mattarella che mai avrebbe trovato il bandolo della matassa senza la collaborazione e la serietà di Luigi Di Maio e del suo Movimento.

Tornate con la mente a quei mesi, da marzo a giugno del 2018. Di Maio non chiese il voto subito, non disse agli italiani “voglio pieni poteri”, come ha fatto qualcun altro leggendo i sondaggi o guardando i risultati delle elezioni europee che non c’azzeccano nulla con le politiche o le amministrative.  No, Di Maio e il Movimento Cinquestelle in quei mesi dissero responsabilmente al Capo dello Stato, che aveva l’onere di provare a facilitare la nascita di un Governo, esattamente le stesse cose che stanno dicendo oggi a Mattarella dopo le follie agostane di Matteo Salvini.

Ora come allora, i cosiddetti retroscenisti (alcuni davvero osceni perchè sono a libro paga di gruppi economici e poteri e lobby di questo Paese) dipingono Di Maio e gli altri dirigenti del M5S come personaggi pittoreschi, approssimativi, squallidi, litigiosi, vecchi arnesi della politica protesi solo alla occupazione di poltrone ministeriali. Come se partecipare ad un Governo e chiedere responsabilità ministeriali adeguate al consenso di cui si gode nel Paese e in Parlamento fosse una oscenità.

Ci sono alcuni commentatori della politica, la cui bravura è inversamente proporzionale allo stipendio che incassano per scrivere quello che scrivono e dire quello che dicono, che fingono di non capire che la scelta di un profilo piuttosto che un altro in un ministero, non è una cosa neutra, una roba qualunque, una cosa di cui chissenefotte. No, sapere che al Viminale c’è Ghandi piuttosto che Hitler non è poca cosa.

Poi, per carità, ci si può dilettare a scrivere il totonomine, a sponsarizzare questo o quello, ma non mi ricordo una sola frase virgolettata da marzo del 2018 a tutt’oggi, in cui c’è uno del M5S che abbia reclamato quel ministero o quella poltrona piuttosto che un’altra. Invece, come spiegavo, ora come allora, il capo del M5S che oggi è sotto attacco perchè è uno dei più capaci politicamente nel MoVimento, parla di problemi del Paese. E usa le stesse parole, le stesse argomentazioni che illo tempore aveva usato con Matteo Salvini. Di Maio ha detto a Zingaretti quello che si deve fare se si vuole fare un governo assieme.

Di Maio ha detto al Presidente Mattarella in queste ore esattamente quello che gli aveva già detto tra marzo e giugno del 2018: caro Presidente il M5S ha fiducia nel suo lavoro, noi crediamo che questo Paese debba essere governato e se andiamo al Governo vogliano fare alcune cose. Queste cose poi Di Maio le ha riassunte davanti ai giornalisti in dieci priorità, dieci comandamenti o come ci pare. Non mi ricordo che Di Maio abbia mai chiesto o reclamato poltrone per sé o per i suoi.

Sí, certo, ogni giorno c’è l’articolessa dei soliti tre o quattro editorialisti che citando “fonti dem” o “fonti ben informate” ci parla del mercimonio delle poltrone di Luigi Di Maio, ma siamo in un territorio di cazzate e malafede che si fa fatica pure a smentire per quanto sono cazzate che poggiano sul nulla. Avete mai letto un articolo serio del tipo:”Zingaretti ha detto che non fará mai un governo col M5S se Di Maio non la smette di reclamare la poltrona di vicepremier?”. Mai. C’é su questo punto che tanto piace rimestare ai soliti editorialisti una nota di Palazzo Chigi, dunque una istituzione, che riferisce esattamente il contrario e cioè che Di Maio nelle trattative per il Governo non ha mai chiesto alcunché per sé o per i suoi ma ha solo parlato di programmi. A proposito di cultura istituzionale e per onore del vero, Di Maio allo stato è rimasto ai 10 impegni “che abbiamo preso con gli italiani e che secondo noi devono essere portati a compimento”. Che cosa vuole fare Di Maio se porta il M5S al Governo col Pd? Esattamente quello che voleva fare all’epoca in cui ha formato il governo con la Lega. Perché Di Maio con la Lega non firmò un patto politico ma un contratto in cui erano previste prestazioni precise. Salvini quel contratto non l’ha onorato. Ad oggi e per il futuro, ammesso che si farà come pare un Governo M5S-Pd, ecco quali sono i  10 obiettivi elencati da Di Maio:

1) Taglio del numero dei parlamentari (deve essere un obiettivo di questa legislatura e una priorità del calendario in Aula);

2) Una manovra equa che preveda stop all’aumento dell’Iva, il salario minimo orario, il taglio del cuneo fiscale, la sburocratizzazione, il sostegno alle famiglie, alle nascite, alla disabilità e all’emergenza abitativa;

3) Cambio di paradigma sull’ambiente, un’Italia al 100% rinnovabile;

4) Una legge sul conflitto di interessi e una riforma della Rai ispirata al modello Bbc;

5) Dimezzare i tempi della giustizia e riforma del metodo di elezione del Csm;

6) Autonomia differenziata e riforma degli enti locali secondo meccanismi perequativi, di equità e di solidarietà, non quella roba che vorrebbe la Lega e che il M5S ha stoppato;

7) Legalità, lotta alle mafie anche in campo transnazionale, carcere ai grandi evasori, lotta a evasione e traffici illeciti;

8) Un piano straordinario di investimenti per il Sud;

9) Una riforma del sistema bancario che separi le banche di investimento dalle banche commerciali;

10) Tutela dei beni comuni, scuola, acqua pubblica, sanità, revisione concessioni autostradali.

Questo é Luigi Di Maio, non quello che raccontano giornalini e giornaloni di proprietà delle grandi lobbies e dei centri di potere di questo Paese.  Perché bisogna concentrarsi su Di Maio e abbatterlo? Semplice.

Colpire Di Maio significa colpire il M5S, ridurre al silenzio un MoVimento che in questi anni, pur tra mille errori, omissioni, cadute di stile, ha incanalato e pacificato un dissenso ed una sfiducia montante nelle istituzioni, trasformando quella che poteva anche diventare violenza o forza sovversiva in straordinarie forme di partecipazione al bene del Paese. Ciò detto, distruggere il M5S è un obiettivo dichiarato di chi vuole tenere ingessato questo Paese per piegarlo ai proprio interessi, continuando a privatizzare i profitti e a pubblicizzare le perdite.

Se questa è l’Italia che non vogliamo dobbiamo sperare, a prescindere dalle nostre legittime simpatie e antipatie politiche e personali, che Di Maio e il M5S abbiano lunga vita e che prima di “morire” possano infettare le altre forze politiche con la loro voglia di fare politica per “servizio” e non usarla per farci il servizio.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Politica

Atto di clemenza per onorare Papa Francesco: la politica torna a discutere di indulto e liberazione anticipata

Casini, Boschi, Serracchiani e altri parlamentari rilanciano l’appello di Papa Francesco: proposto l’indulto per l’ultimo anno di pena. Forza Italia apre, centrodestra diviso.

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Nel clima sospeso di queste giornate post-festive, scosse dalla solennità dei funerali di Papa Francesco, la politica italiana rispolvera un tema delicato e mai risolto: l’atto di clemenza verso i detenuti, nel nome del Pontefice scomparso. È stato Pier Ferdinando Casini, con un intervento sul Corriere della Sera, a riaprire il dibattito, rilanciando l’appello di Papa Francesco per una giustizia più umana, espresso simbolicamente all’apertura dell’Anno giubilare nel carcere di Rebibbia.

A farsi portavoce di questa istanza anche il movimento radicale Nessuno Tocchi Caino, che ha proposto la liberazione anticipata per i detenuti con un solo anno di pena residua. Una proposta già sottoscritta da parlamentari di diversi schieramenti: Maria Elena Boschi (Italia Viva), Debora Serracchiani (Pd), Luana Zanella (Avs), Maurizio Lupi (Noi Moderati), fino ad arrivare a Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia al Senato.

“Un minimo di coerenza vorrebbe che la politica, commossa ai funerali del Pontefice, dia un segnale concreto, non solo retorico”, ha dichiarato Zanettin. A fargli eco, Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera: “Serve una misura straordinaria, non un perdono indiscriminato”.

Tuttavia, non mancano i contrasti: Fratelli d’Italia e Lega restano silenziosi o critici, ricordando le frizioni già esplose nel centrodestra quando, lo scorso anno, Forza Italia sembrava aprire alla proposta di Roberto Giachetti sulla liberazione anticipata. Apertura poi rientrata dopo le tensioni con gli alleati.

Intanto, al ministero della Giustizia, guidato da Carlo Nordio, il viceministro Francesco Paolo Sisto conferma che è allo studio un provvedimento sull’uso eccessivo della custodia cautelare, ma frena su condoni e amnistie: “È giusto dire che si esce dal carcere solo perché non c’è posto? No. Lo sfratto non è incline alla funzione rieducativa della pena”.

Il confronto resta acceso, ma l’eredità spirituale e sociale di Papa Francesco torna a farsi sentire anche nelle aule parlamentari, spingendo una parte della politica a immaginare un gesto di clemenza come segno di civiltà e memoria.

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Giorgia Meloni guarda al 2027: “Realizzare tutto il programma, poi tornerò dagli elettori”

A metà legislatura Giorgia Meloni punta al 2027: “Portare a termine il programma del centrodestra”. Confronto con i sindacati l’8 maggio, riforme e lavoro in primo piano.

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A metà legislatura, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni fissa già l’orizzonte del prossimo voto: il 2027, quando intende ripresentarsi agli italiani potendo dire “ve lo avevamo promesso, lo abbiamo fatto”. In un’intervista concessa ad AdnKronos, la leader di Fratelli d’Italia chiarisce di voler portare a termine l’intero programma del centrodestra, affrontando sfide ancora aperte come la natalità, il costo dell’energia e la sicurezza sul lavoro.

GUIDO CROSETTO MINISTRO DIFESA, LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI (Foto Imagoeconomica)

Il nodo lavoro e le critiche delle opposizioni

L’intervista arriva dopo un Primo Maggio segnato dalle dure contestazioni dell’opposizione. Elly Schlein accusa Meloni di “mentire a viso aperto sui numeri del lavoro”, mentre Giuseppe Conte parla di “presa in giro ai danni dei lavoratori” e Matteo Renzi sottolinea il record negativo di emigrazione dall’Italia: “191mila persone hanno lasciato il Paese nel 2023”. Meloni rivendica però i risultati raggiunti e lancia l’obiettivo di essere ricordata come la premier che ha aumentato l’occupazione e ridotto il precariato, annunciando il confronto con le parti sociali previsto per l’8 maggio e una dotazione di 1,25 miliardi per nuove misure in materia di lavoro e sicurezza.

Riforme e legge elettorale, la partita del premierato

L’orizzonte resta la primavera 2027, ma le voci di elezioni anticipate al 2026 continuano a circolare. Nel centrodestra, intanto, si intensificano le riflessioni sulla legge elettorale, strettamente connesse alla riforma del premierato, “madre di tutte le riforme” secondo Meloni. Non è un mistero che la presidente preferirebbe una forma di governo presidenziale, ma per ora ribadisce l’impegno sul testo in discussione alla Camera da dieci mesi.

GIANCARLO GIORGETTI MINISTRO ECONOMIA, LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI

“Sessismo contro di me nel silenzio generale”

Nell’intervista, Meloni confessa di essere rimasta “colpita” da “attacchi sessisti vergognosi” subiti in questi anni, lamentando l’indifferenza di chi si riempie la bocca con i diritti delle donne. La replica di Maria Elena Boschi (Italia Viva) non si fa attendere: “FdI ha usato sessismo contro di me per anni. Giorgia, basta chiacchiere e vittimismo. Governa se sei capace”.

Rapporti internazionali: da Trump a Macron

Meloni conferma la sua “relazione speciale” con Donald Trump, riconosciuta anche dalla Casa Bianca, e racconta del consiglio dato al presidente serbo Aleksandar Vucic prima del suo incontro a Mar-a-Lago con l’ex presidente Usa. “Meglio parlare con lui lì che a Washington”, avrebbe detto lei. Il legame con gli Stati Uniti resta saldo: “Difenderemo i nostri interessi con lealtà, ma senza subalternità”, spiega Meloni.

Sul fronte europeo, rivendica un rapporto pragmatico con Ursula von der Leyen, fondato su “stima e franchezza”, e auspica una rimodulazione del Green Deal. Conta di trovare una sponda nel possibile prossimo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, e descrive i rapporti con Macron come “di collaborazione e sana competizione” tra due leader di famiglie politiche diverse, ma con interessi comuni.

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Ministro Giuli: scudetto al Napoli? Rallegra il cuore di un romano e un romanista come me

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“Napoli non è in odore di scudetto, ma è in profumo di scudetto. Io sono romano e romanista, ma innamorato di Napoli. Sappiamo bene che in passato ci sono stati terribili episodi che hanno riguardato le tifoserie della Roma e del Napoli. Oggi sentire Napoli in profumo di scudetto è una cosa che rallegra il cuore di un romano e di un romanista”. Così il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, sulla corsa scudetto, a margine della sua visita al cantiere dell’Albergo dei poveri a Napoli.

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