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Nel feudo del boss Matteo Messina Denaro tra silenzi e indignazione

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 La cappella di famiglia rimane chiusa, vetri oscurati per non consentire a nessuno di spiare le lapidi all’interno, fuori una statua di marmo bianco che sfida il tempo. È al cimitero di Castelvetrano che riposa la salma del boss latitante Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio 2023 e morto il 25 settembre scorso all’ospedale de L’Aquila. Inizia dalla fine il viaggio a ritroso nel feudo del boss che per 30 anni ha sfidato lo Stato, facendo la bella vita tra lusso e viaggi e vivendo quasi da normale cittadino nel suo ultimo scorcio di vita.

A un anno dall’arresto del padrino, Castelvetrano è tornata a vivere tra silenzio, normalità e indignazione. L’ultima manifestazione pubblica di ribellione fu organizzata lo scorso settembre dall’avvocato Jonny Li Causi alla villa ‘Falcone-Borsellino’: erano passati pochi giorni dalla morte di Messina Denaro e sui social comparvero pure messaggi di condoglianze alla famiglia. Indignato l’avvocato Li Causi chiese ai cittadini di ritrovarsi: “bisogna fare qualcosa per non lasciare a pochi stolti e leoni da tastiera il palcoscenico di questo momento storico”.

“Viviamo in una società in parte compromessa, per molti è il tempo d’attesa della verità, vissuto anche con la paura”, osserva Giuseppe Cimarosa, il regista di teatro equestre che dopo la collaborazione del padre Lorenzo con la giustizia, ha alzato la voce contro il boss latitante. “Dalla famiglia Messina Denaro mio padre veniva utilizzato come bancomat – dice – ora mi aspetto che la magistratura scopra chi finanziava la latitanza del boss”. I Cimarosa, padre e figlio, per alcuni erano scomodi. L’ex consigliere comunale Calogero Giambalvo che inneggiava Matteo Messina Denaro, finito oggi in carcere per estorsione, intercettato dagli investigatori ebbe a dire: “Se io fossi Matteo, ci ammazzassi un figghiu… e viremu si continua a parlari”.

Nel quartiere Badia dove è nata e cresciuta la famiglia Messina Denaro sul muro del Circolo didattico campeggia il murale di Giuseppe Di Matteo che dista poche decine di metri dalla casa della sorella del boss, Patrizia, anche lei in carcere. È la pagina nuova scritta su proposta dell’Anm di Marsala in questi mesi dopo l’arresto del boss: l’ex circolo ‘Ruggero Settimo’, che frequentò da bambino Messina Denaro, porta oggi il nome del bimbo ucciso dalla mafia perché il padre collaborava con la giustizia. Il feudo allargato del boss, oggi defunto, arriva anche a Campobello di Mazara, a pochi chilometri da Castelvetrano che, almeno negli ultimi anni, è stato il rifugio sicuro scelto dal superlatitante per viverci, complice l’amicizia storica tra la sua famiglia e quella dei Bonafede guidata dal capomafia Leonardo.

L’ultimo covo è stato in un appartamento messo a disposizione dal prestanome Andrea Bonafede in vicolo San Vito. Si è mosso da libero cittadino tra supermercati, esercizi commerciali, passeggiate in auto e casa della vivandiera Lorena Lanceri, ieri condannata insieme al marito Emanuele Bonafede. “Qui bisogna rieducare le famiglie – spiega Emilia Catalano, nipote dell’agente Agostino morto nella strage di via D’Amelio – le indagini hanno portato alla luce che c’erano interi nuclei familiari coinvolti nel favorire la latitanza del boss. In questi mesi ho constatato più indignazione nella parte sana del paese ma oramai vivo nel dubbio delle relazioni interpersonali: e se qualcuno c’ha avuto a che fare col boss e l’ha favorito?”.

Tra le vie del paese c’è rabbia per quanto è successo: “Le persone perbene – dice il sindaco Giuseppe Castiglione – ancora oggi sono incredule sul fatto che un boss latitante potesse muoversi così liberamente sul territorio. C’è una Campobello mortificata e penalizzata. Bisogna ora rialzarsi, guardare a un’alba nuova”. A partire dai ragazzi che martedì prossimo incontreranno Nicola Mannino, presidente del parlamento della legalità internazionale per parlare di mafia e antimafia. Per sapere da che parte stare.

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Anziana investita e uccisa a Napoli, caccia a pirata strada

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Una donna anziana e’ morta a Napoli, vittima di un pirata della strada. Alle 18.15 circa di ieri, in via Labriola, sulla carreggiata in direzione via E. Ciccotti, R.R., 80 anni, e’ stata investita mentre attraversava la strada. Secondo prime ricostruzioni, un’auto si era fermata per consentire il passaggio alla signora, ma una Citroen di colore blu scuro, nel tentativo di sorpassare questa vettura, ha investito la donna e poi e’ fuggita. La Polizia Locale e’ impegnata nelle indagini per identificare il conducente e il veicolo coinvolto. La vittima era stata trasportata all’ospedale Cardarelli in stato di incoscienza e dopo poche ore e’ deceduta.

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Omicidio Giulia Cecchettin, Turetta premeditò il delitto: rischia ergastolo

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E’ un carico accusatorio molto pesante quello che la procura di Venezia contesta nell’avviso di chiusura delle indagini a Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Mentre il ‘rumore’ esploso nelle piazze e nelle coscienze in nome di Giulia non si e’ mai spento, a sei mesi dalla notte dell’11 novembre quando venne ammazzata tra le fabbriche e le strade vuote di Fosso’, pochi chilometri lontano dalla sua casa di Vigonovo, gli inquirenti tirano una linea e sciolgono alcuni nodi giuridici. E decidono che si’, Turetta aveva premeditato di ucciderla come dimostrerebbero, spiega il procuratore Bruno Cherchi, “la ricerca dei luoghi tramite internet, l’acquisto del materiale necessario per immobilizzare la vittima, la cartina geografica, l’atto di silenziare la persona offesa mettendole del nastro adesivo per non farla urlare, serrare i polsi e le gambe della ragazza”.

Aggiungono l’aggravante della crudelta’, da intendersi come la giurisprudenza la intende: aver inflitto “sofferenze gratuite e non collegabili al normale processo di causazione della morte”. In questo caso con venti coltellate, le prime nel parcheggio davanti alla villetta dove viveva quando Turetta l’aggredi’ a bordo della sua Fiat Punto nera. Qui per diverse ore sono rimaste sull’asfalto le tracce di sangue della ragazza ed e’ stato trovato un coltello da cucina. Poi, dopo averla immobilizzata con lo scotch, questa e’ la ricostruzione della Procura, l’ha spinta in auto, superando la sua resistenza, ha raggiunto in pochi minuti Fosso’ e l’ha assalita di nuovo, finendola. Da li’ e’ iniziata la fuga che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per una settimana. Dopo il delitto Turetta era scappato verso il Friuli e, abbandonato il corpo in un dirupo vicino al lago di Barcis, era fuggito verso l’Austria e poi in direzione Germania, dov’e’ stato fermato dalla polizia tedesca, vicino a Lipsia, nella mattinata del 19 novembre. “L’ho uccisa io” ha detto subito Filippo a chi l’ha fermato, una confessione non utilizzabile nel processo mentre lo e’ quella messa a verbale nel carcere Montorio di Verona, dov’e’ detenuto.

Il contesto in cui il delitto e’ maturato sarebbe stato quello dello stalking, come suggerito alla Procura da chat e testimonianze che riferiscono delle insistenze morbose del giovane nei confronti dell’ex compagna dopo che la loro storia era finita. Omicidio aggravato da premeditazione, crudelta’, efferatezza, sequestro di persona, porto d’armi e occultamento di cadavere, e’ il robusto capo d’imputazione da cui dovra’ difendersi davanti alla Corte d’Assise. Non c’e’ spazio per il rito abbreviato, che avrebbe comportato uno sconto di un terzo della pena, perche’ i reati sono cosi’ gravi da ipotizzare l’ergastolo. Si chiude cosi’ la prima parte ‘giudiziaria’ di quella che nel frattempo e’ diventata la storia di Giulia e non, come spesso accade nella narrazione mediatica, quella del suo presunto omicida, sul quale si sono spente le luci. La storia di Giulia, di suo padre Gino e della sorella Elena che mai come prima hanno portato l’attenzione sul tema dei femminicidi con i loro appelli a un cambiamento culturale profondo.

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Adr lancia ‘Airport in the City’: a Termini check-in di Ita

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All’inaugurazione di “Airport in the City” sono intervenuti, tra gli altri , la ministra del Turismo Daniela Santanchè, il presidente di Ita, Antonino Turicchi, il presidente dell’Enac, Pierluigi Di Palma, il Presidente di Unindustria, Angelo Camilli. “È con grande soddisfazione che oggi ci uniamo ad Aeroporti di Roma per celebrare l’inaugurazione di Airport in the City, un servizio che rende l’esperienza di viaggio sempre più agile e confortevole – ha detto Turicchi – Questo progetto riflette la stretta collaborazione tra ITA Airways e Aeroporti di Roma, evidenziando il comune impegno per l’innovazione e la sostenibilità nel settore dei trasporti”.

“Il progetto di Adr si inscrive appieno nel processo di innovazione e interconnessione del trasporto aereo che l’Enac persegue da tempo” – ha aggiunto il presidente Enac Pierluigi Di Palma. “L’hub di Fiumicino, prima porta d’accesso all’Italia più volte premiato come migliore scalo d’Europa, sviluppa l’integrazione con la stazione Termini, primo snodo ferroviario nazionale, rafforzando l’intermodalità aria-ferro. Con il check-in off-airport Termini Fiumicino, il comparto aereo italiano si riconferma una realtà innovativa, sostenibile e, soprattutto, attenta ai diritti dei passeggeri con l’offerta di servizi di qualità che, oggi, rappresentano l’elemento più importante per le scelte dei consumatori”.

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