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Meloni pronta al Consiglio Ue, serve più Italia in Europa

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C’è chi in Parlamento lo ha già ribattezzato il patto atlantico. Al suo primo Consiglio europeo da premier, Giorgia Meloni si presenterà a ribadire il pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina, con un mandato che va ben al di là del centrodestra. Un intenso lavoro diplomatico dei ministri Luca Ciriani e Guido Crosetto con Pd e Terzo polo ha portato a una limatura delle risoluzioni in votazione alla Camera e al Senato, sulle comunicazioni della premier e sull’invio delle armi a Kiev. Così che poi, in un gioco di astensioni incrociate, sono passate sia quelle di maggioranza sia quelle dei dem e di Azione-Iv. Con l’effetto di isolare politicamente il M5s, ma anche di mandare un chiaro messaggio a chi nella coalizione di governo in passato ha tentato la via dei distinguo sull’aggressione russa e i suoi effetti.

Un lavoro dietro le quinte, finalizzato mentre Meloni arrivava in ritardo alla Camera ( 20 minuti “per il traffico. Non ho detto che è colpa di Gualtieri, poi ognuno trarrà le sue conclusioni”, la replica a Roberto Giachetti, secondo cui i deputati sono stati “trattati da camerieri”). A Montecitorio (con lo stesso discorso depositato poi in Senato), la leader riepiloga il manifesto di come, secondo il suo esecutivo, devono essere i rapporti fra Roma e Bruxelles: “L’obiettivo è avere, piuttosto che più Europa in Italia, più Italia in Europa”. Dietro lo slogan, c’è la volontà di “combattere la narrazione di un Paese che arranca, quasi come un peso per l’Ue”, quando invece è “una colonna indispensabile”.

Ma anche la convinzione che l’Ue debba occuparsi meno di questioni legate alla quotidianità dei cittadini (potrebbero rientrarvi anche i limiti al pos, rivendicati da Meloni, su cui l’interlocuzione con Bruxelles non è ancora chiusa) e in modo più incisivo di “sfide epocali”. Come l’immigrazione e la crisi energetica. Sui migranti “in Ue devono esserci stessi diritti e stessi doveri”, il messaggio della presidente del Consiglio alla Francia. E sull’energia pesa il “ritardo” della Commissione, la cui proposta è “insoddisfacente e inattuabile”. A guidare la trattativa ora, evidenzia ancora, “sono i Paesi considerati non sovranisti”. Mentre “la maggioranza” dei 27, Italia inclusa, chiede “un tetto dinamico al prezzo del gas e dell’energia”. C’è poi una critica velata a chi l’ha preceduta quando, sottolineando l’importanza di aver messo in sicurezza la raffineria siciliana Isab-Lukoil, la definisce “uno dei tanti dossier finora irrisolti”.

Esplicita, invece, la preoccupazione sui “potenziali effetti distorsivi e discriminatori verso le imprese europee” del piano degli Stati Uniti contro l’inflazione. Su questo di certo il governo di centrodestra non è “acquiescente verso Washington”, come invece Giuseppe Conte lo definisce parlando della posizione italiana sul conflitto in Ucraina. Un botta e risposta a distanza in cui Meloni liquida come “propaganda” le tesi di chi dice che “la soluzione per la pace è fermarsi”. “Lo spazio di manovra per il cessate il fuoco appare oggi assai limitato ma l’Italia appoggerà in ogni caso gli sforzi in proposto”, garantisce la premier, che esorta la Ue a “un ruolo più incisivo”, difende le sanzioni e avverte: “Non consentiamo che Putin utilizzi la carenza di cibo come arma contro l’Europa, come già sta facendo con gas e petrolio”.

La sponda del Pd su questo fronte è certificata dall’intervento di Enrico Letta, l’ultimo in Aula in veste di segretario, in cui auspica una conferenza di pace: “Presidente, vada al Consiglio europeo forte di una posizione, che ci auguriamo sia la più larga possibile, sapendo che sta facendo l’interesse del nostro Paese, dell’Ue e del popolo ucraino, che adesso è il vero anello debole della catena”. L’unico momento in cui l’arco parlamentare applaude unito, è quando Meloni chiarisce che l’Italia punta a inserire nelle conclusioni del Consiglio Ue un segnale di condanna per le sentenze capitali in Iran: “L’uso della forza contro dimostranti pacifici, contro le donne è ingiustificabile e soprattutto inaccettabile”.

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Europee, Meloni si candida: scrivete Giorgia sulla scheda, sono una del popolo

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“Ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di fratelli d’italia in tutte le circoscrizioni elettorali, se sopravvivo”. Era la notizia che tutti aspettavano e Giorgia Meloni l’ha pronunciata dal palco di Fdi a Pescara.

“Chiedo agli italiani di scrivere il mio nome, ma il mio nome di battesimo” alle europee. “Sono fiera che la maggior parte dei cittadini che si rivolge a me mi chiami Giorgia. Io sono stata derisa per anni per le mie radici popolari, mi hanno chiamata pesciarola, borgatara…perché loro sono colti….Ma io sono fiera di essere una persona del popolo” ha detto la premier e leader di FdI Meloni. “Se volete dirmi che ancora credete in me scrivete sulla scheda Giorgia, perchè io sono e sarò sempre una di voi. Il potere non mi cambierà, il palazzo non mi isolerà. Io ho bisogno di sapere ancora una volta che ne vale la pena”.

“Io sarò sempre una persona a cui dare del tu, senza formalismi, senza distanza”, ha aggiunto. “Faccio quello che faccio solo ed esclusivamente per gli italiani. Non c’è altra ragione sostenibile per fare questa vita, ve lo garantisco”, ha detto la premier. “Mi interessa solo il giudizio dei cittadini, che rispetto e rispetterò sempre”, ha concluso.

“Quando noi diciamo ‘mai con la sinistra’ non stiamo utilizzando uno slogan buono da campagna elettorale ma da buttare il giorno dopo, parliamo di qualcosa che è nel nostro dna. Vale a Roma e vale a Bruxelles, non ci interessa stare con tutti o dove stanno tutti”. Così Giorgia Meloni dal palco di Fdi di Pescara.

“In queste settimane c’è chi sta confondendo i piani tra la maggioranza in parlamento europeo e la commissione” per “insinuare una sorta di nostra presunta disponibilità ad allearci con i socialisti”, ha premesso Meloni. “Non ci interessa stare con tutti, staremo solo dove le nostre idee si possono realizzare”, ha aggiunto.

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Fitto: dal 2020 sprecati 300 miliardi in bonus e superbonus

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“Cosa è stato fatto dal 2020 ad oggi con la sospensione del patto di stabilità?” che ha permesso di aumentare la spesa pubblica. Nel 2019 l’Italia ha speso 810 miliardi, nel 2022, fuori dal Patto di stabilità ne ha spesi 1.084 miliardi. “Sono circa 300 miliardi di euro in più. Dove sono andati? Cosa è stato fatto? Si sono fatti investimenti strutturali? Intelligenti? Che hanno cambiato la prospettiva del nostro Paese?. No sono andati tutti in bonus e superbonus che hanno aumentato il debito e che non hanno inciso in nessun modo sullo sviluppo e la crescita del Paese”. Lo ha detto il Ministro degli Affari Europei, del Sud, della Coesione e del Pnrr Raffaele Fitto alla Conferenza Programmatica di Fdi a Pescara.

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Unirai, anche oggi circo mediatico-politico-sindacale

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”Pochi giorni fa qualcuno si stracciava le vesti rilanciando le fake news sull’imminente addio alla Rai da parte di Ranucci e Sciarelli per essere clamorosamente smentito dopo meno 24 ore. A seguire la “bufera” sulla presunta censura a Scurati, smontata anche quella come emerge oggi su alcuni quotidiani di opposti orientamenti. Poi la democrazia in pericolo e l’allarme fascismo, liquidato ieri con poche parole dal portavoce Ue Christian Wigand”.

Lo afferma in una nota il sindacato Unirai, liberi giornalisti Rai. ”Nel menù di oggi dell’ormai ben noto e sempre meno credibile circo mediatico-politico-sindacale spunta il premio di risultato per i giornalisti Rai cancellato e il martire sindacalista e dirigente reo di aver fatto solo delle ironie via social, il tutto condito da una spruzzata di dichiarazioni nel tentativo ridicolo di delegittimare una nuova voce libera presente dentro la Rai. Avviso ai naviganti: Unirai ha tutte le carte in regola per far sentire la sua voce e il suo peso. È stato riconosciuto dall’azienda – ripetiamo – come sindacato significativamente rappresentativo a livello nazionale dei giornalisti Rai. Leggere, studiare, documentarsi. Fare un respiro profondo.

Accettare la realtà. Si fa anche una figura più dignitosa. Per quanto riguarda il premio di risultato l’azienda ha disdetto un accordo siglato nel 1993 con l’intento di sostituirlo con strumenti più vantaggiosi, come già fatto per tutti gli altri dipendenti, sul piano della tassazione. Come abbiamo già detto – concludono – vigileremo perché nessuno sia penalizzato dal nuovo accordo, ma certamente non ci metteremo su questo a fare terrorismo. Sulla questione relativa all’utilizzo dei social, e al rispetto che bisogna avere tra colleghi, infine invitiamo alla lettura della legge sulla professione, del codice etico e del regolamento di disciplina aziendale”.

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