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L’ambasciatore russo, l’Italia ha morso nostra mano tesa

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Con una mossa del tutto irrituale l’ambasciatore russo in Italia, Sergey Razov, si e’ presentato questa mattina alle 9 alla procura di Roma per presentare una denuncia contro il quotidiano La Stampa per apologia di reato ed istigazione a delinquere. Ne ha approfittato per una lunga conferenza stampa attorniato da giornalisti fuori dai cancelli di Piazzale Clodio: “non fa onore all’Italia mordere la mano di chi l’ha aiutata”, ha detto tra l’altro il diplomatico, tornando sulla contrastata missione sanitaria ‘Dalla Russia con amore’ del 2020 a Bergamo e Brescia. E di amore tra Mosca e Roma sembra esserne rimasto ormai poco: “adesso tutto e’ stato rivoltato”, ha lamentato Razov. Non si sono fatte attendere le reazioni. “In Italia la liberta’ di stampa e’ intoccabile”, ha replicato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Non prendiamo lezioni da un regime illiberale che fa strage di umanita’ e di verita’”, ha assicurato da parte sua il direttore del giornale torinese, Massimo Giannini. Insorgono anche numerosi parlamentari per quello che viene considerato un attacco liberticida alla stampa proveniente dal Paese dove un giornalista che parla di ‘guerra’ in Ucraina rischia 15 anni di carcere. Lo stesso giorno il ministro degli Esteri francese ha convocato l’ambasciatore russo a Parigi per protestare contro due tweet ritenuti “inaccettabili” pubblicati – e poi rimossi – dalla sede diplomatica che raffiguravano in modo caricaturale un’Europa succube degli Usa. Sembra dunque partito da Mosca un invito alla mobilitazione delle proprie rappresentanze diplomatiche contro i Paesi schierati a sostegno dell’Ucraina. Anche per contrastare la massiccia campagna del presidente ucraino Volodymir Zelensky nei Parlamenti e nelle cancellerie europee. Era stata una nota inviata ai media dall’Ambasciata russa in Italia a segnalare l’appuntamento in procura di questa mattina. Razov “fara’ una comunicazione alla stampa. Non sono previste domande”, c’era scritto. Puntuale il diplomatico si e’ presentato per depositare la denuncia e non si e’ sottratto alle domande dei giornalisti – tra loro anche russi – che sono state ben piu’ di una. Servendosi di un interprete, l’ambasciatore ha espresso tutto il suo malcontento per il sostegno dell’Italia a Kiev. Capitolo armi. “Ci preoccupa che gli armamenti italiani saranno usati per uccidere cittadini russi”. I rapporti saltati. “Abbiamo fatto di tutto per costruire ponti, rafforzare i rapporti in economia, cultura e altri campi. Con rammarico adesso tutto e’ stato rivoltato”. La missione contestata. “Le autorita’ italiane hanno espresso parecchie volte gratitudine per quello che ha fatto la missione russa a Bergamo e Brescia. Ora il tema riemerge dopo due anni per motivi di politica interna. E’ stata tesa una mano d’aiuto, morderla non fa onore. Provo amarezza e vergogna per questa caccia alle streghe”. La guerra. “Finira’ una volta raggiunti gli obiettivi definiti dal presidente Putin. Provo rammarico per le sofferenze dei civili, lo stesso che ho sentito negli ultimi 8 anni quando guardavo quello che succedeva nel Donbass”. La propaganda. “Dovete sentire le due parti, non soltanto i messaggi propagandistici divulgati dall’Ucraina”. L’attacco a La Stampa. “Nel titolo (un articolo di Domenico Quirico apparso in prima pagina martedi’ scorso, dal titolo ‘Colpire il tiranno e’ l’unica chance’) si considera la possibile uccisione di Putin: questo e’ fuori dall’etica, dalla morale e dalle regole del giornalismo”. Quirico invita “l’ambasciata russa a prendere un traduttore migliore. Ho scritto che uccidere Putin era immorale”. Il direttore Giannini evidenzia che “solo nel mondo alla rovescia di Santa Madre Russia, quella che piace a Putin, puo’ accadere che un ambasciatore di un Paese che ha decretato la piu’ sporca guerra contro una democrazia liberale possa intentare una causa contro un giornale, responsabile solo di raccontare quello che sta succedendo in quel Paese”. Solidarieta’ al quotidiano e’ arrivata dal ministro Di Maio: “La Stampa, come tutti i nostri organi di informazione, fa il suo mestiere: raccontare quello che succede, comprese le atrocita’ della guerra in Ucraina. Avanti senza censure”. Quanto al cambio dei rapporti con Mosca, “finche’ non c’e’ stata l’invasione dell’Ucraina – ha ricordato il responsabile della Farnesina – l’Italia ha sempre avuto con la Russia un rapporto che si basava sul principio del ‘selective engagement’, lavoravamo su obiettivi comuni”. Sulla missione sanitaria, infine, ha aggiunto, “quando l’Italia e’ entrata come primo Paese nella pandemia ha ricevuto aiuti da tutti paesi del mondo. Dopo gli aerei russi, ad esempio, sono arrivati anche quelli ucraini”. Levata di scudi pressoche’ unanime (la Lega e’ rimasta in silenzio) dalla politica. “L’ambasciatore Razov – twitta la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni – dovrebbe aver chiaro che in Italia e nelle democrazie liberali la stampa e’ libera”. Solidarieta’ a Giannini e’ stata espressa dal ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, per “un’intimidazione che rispediamo con decisione al mittente”. “Quella che per le dittature e’ apologia di reato – e’ il tweet di Enrico Borghi (Pd) – per le democrazie e’ liberta’ di informazione”. Italia Viva parla di “attacco intollerabile”. Il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova ricorda che “i giornali italiani sono liberi di poter scrivere ed esercitare il loro lavoro di cronaca e di critica”.

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Schlein attacca Meloni: ha perso il contatto con la realtà

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Sarà che l’annuncio non era inaspettato, sarà la vasta eco mediatica del discorso della premier Giorgia Meloni, ma le critiche dell’opposizione alla “discesa in campo” arrivano in tempi record. “La presidente del Consiglio si divide tra palazzo Chigi e la propaganda di TeleMeloni e ha perso il contatto con la realtà”, punta il dito immediatamente la segretaria del Pd Elly Schlein. Meloni l’ha tirata in causa varie volte nel corso dei suoi 73 minuti di intervento alla kermesse di Pescara. Quasi a pregustare una sfida a due sul campo delle europee.

E il leader di Azione, Carlo Calenda, scioglie le riserve e poco dopo annuncia anche la sua corsa per l’Europarlamento, in tandem con Elena Bonetti. Schlein incassa l’affondo ironico della premier sullo scarso supporto del Pd alla sua leadership (“Siccome non sono la segretaria del Pd,sono sicura che il partito mi darà una mano”) e rilancia sui contenuti. Cita “la sanità pubblica e le infinite liste d’attesa che si allungano per i suoi tagli”, i “salari bassi, la precarietà, la sicurezza sul lavoro di fronte a 1041 morti nel 2023” e fotografa una premier “nel paese delle meraviglie” che “seppellisce i problemi sotto un fiume di retorica”. ‘L’Italia è cambiata’, dice lei. Purtroppo sì, ma in peggio”.

Giuseppe Conte, invece rilancia uno degli slogan della premier, “Con Giorgia L’Italia cambia l’Europa” e commenta sarcastico: “Per una volta la premier ha ragione. Le abbiamo lasciato un’Italia che riportava a casa 209 miliardi del Pnrr per infrastrutture, investimenti, sanità. Nemmeno il tempo di arrivare a Bruxelles da premier, ha dato l’ok a un accordo con tagli da 13 miliardi l’anno che colpiranno le tasche degli italiani, i servizi, la sanità, le scuole con un’onda di austerità. Da ‘patriota’ a Re Mida al contrario: quel che tocca distrugge. Fermiamola!”. “Il duo sciagura dell’opposizione, ovvero Schlein e Conte, sente avvicinarsi il momento di un’altra sconfitta e anziché chiedersi perché gli elettori guardano al centrodestra, attaccano Giorgia Meloni”, chiosa il capogruppo dei deputati Fdi Tommaso Foti.

Per Calenda “la discesa in campo della presidente del Consiglio e la sua piattaforma antieuropea e sovranista, cambiano completamente lo scenario” e impongono di “rispondere a questa sfida mettendosi direttamente in gioco”. “Dopo aver consultato il direttivo del partito, io ed Elena Bonetti abbiamo deciso di accettare la sfida e candidarci insieme in tutte le circoscrizioni”, annuncia. Iv punta il dito con Luciano Nobili (“Carlo Calenda non è un candidato, è un pagliaccio”) postando un video in cui il leader di Azione diceva che non si sarebbe presentato per l’Europarlamento. Interviene anche Matteo Renzi: “Giorgia Meloni chiede di votarla per le Europee ma sa perfettamente che non andrà al Parlamento Europeo. A lei non interessa contare davvero in Europa: le serve contarsi in Italia. Non è una statista, è un’influencer”.

“Chi non vuole il progetto dell’Europa delle piccole patrie di Giorgia Meloni ma una grande Patria Europea vota la rivoluzione degli Stati Uniti d’Europa”, gli fa eco il compagno di viaggio Riccardo Magi (Più Europa). Da Avs, Angelo Bonelli pone una tema di copertura mediatica: “Mentre a noi sono riservati pochi secondi, quando capita, alla presidente del consiglio Giorgia Meloni sono consentite dirette TV anche quando parla da leader di Fratelli d’Italia come oggi, e come già successe alla festa di Atreju: alla faccia della par condicio, questa é TeleMeloni. Reclamiamo un intervento dell’Osce durante tutta la campagna elettorale”.

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Meloni contro Report, per l’Usigrai è “editto albanese”

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“Aiutatemi a mandare a Edi Rama la nostra solidarietà per venire linciati solo per avere tentato di aiutare la nostra nazione”, dice Giorgia Meloni attaccando Report, il programma su Rai3 di Sigfrido Ranucci che è dal giorni al centro di una polemica con il premier albanese. La presidente del consiglio parla dal palco di Fdi di Pescara, spiegando che “addirittura Telemeloni, ce l’avete presente no, Telemeloni? Ha confezionato un servizio sull’Albania in cui si dipingeva come un narcostato”.

Se Ranucci posta subito il suo intervento e replica, Usigrai parla di ”editto albanese”, il presidente Fnsi Vittorio Di Trapani lo difende in nome della libertà di stampa, solidarietà a Report anche dai componenti della Commissione di vigilanza del Pd che scrivono: ”per Meloni ogni voce fuori dalla propaganda di palazzo Chigi è un attacco alla sua leadership. Invece di spiegare agli italiani lo spreco immane di risorse per l’accordo Italia-Albania se la prende con il servizio pubblico”. ”Il presidente Giorgia Meloni dal palco di Fratelli d’Italia a Pescara ha commentato il servizio “(HOT)SPOT albanese di Giorgio Mottola”, scrive Sigfrido Ranucci su Facebook .

”La Meloni – aggiunge – ha invitato a dare solidarietà a Rama. Ma ci sono i sondaggi in Albania che mostrano che il popolo albanese, in percentuali tra il 60% e l’80% crede più a quanto riportato da Report, che alla versione di Rama. Torneremo sul tema questa sera con un servizio che indagherà gli scarsi risultati del decreto Cutro fino ad ora. Con documenti esclusivi racconteremo invece come alcuni esponenti di primo piano del governo abbiano sfruttato a proprio vantaggio i depistaggi sulle ong alla base di alcune inchieste giudiziarie”. ”Altro che difesa dell’informazione di Servizio Pubblico, del giornalismo di inchiesta! Dalle parole che la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dedicato oggi da Pescara al programma di approfondimento giornalistico della Rai è chiaro che questo va fermato. Dopo l’editto Bulgaro siamo ora a quello Albanese”.

Lo scrive l’Usigrai in una nota. ”Il governo della sovranità alimentare, del made in italy e del sovranismo, improvvisamente diventa esterofilo quando si tratta di unirsi al linciaggio del giornalismo d’inchiesta e della libertà di stampa. Io invece sto con la libertà di @reportrai3”,scrive il presidente della Fnsi Vittorio Di Trapani su X. Mentre per il co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli ”La premier vuole manipolare la realtà attaccando anche il giornalismo d’inchiesta, come nel caso di Report, e dà solidarietà al premier Rama senza rispondere nel merito. Povera democrazia e povera Italia, governata da chi vede il mondo con i paraocchi”.

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Europee, Meloni si candida: scrivete Giorgia sulla scheda, sono una del popolo

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Il colpo di teatro arriva solo alla fine: perché la candidatura in tutte le circoscrizioni era oramai più che scontata ma lei chiede anche di scrivere sulla scheda “solo Giorgia, il mio nome di battesimo” perché “io sarò sempre e solo una di voi, una del popolo”. Lo dice Giorgia Meloni dopo quasi un’ora di comizio, tra una battuta e l’altra pure sulle sue condizioni, “sull’ottovolante” per gli otoliti. Lanciando non solo la campagna elettorale di Fratelli d’Italia per le europee ma anche la sfida a pesare il suo consenso personale, dopo un anno e mezzo alla guida del governo.

La premier dal palco vista mare di Pescara chiama il suo popolo al plebiscito su di sé (‘Giorgia Meloni detta Giorgia” sarà la dicitura sulla lista che consentirà di indicare come preferenza solo il nome) mentre in platea la ascoltano “l’alleato fedele” Antonio Tajani, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. Matteo Salvini, come annunciato all’ultimo, non c’è e fa solo una comparsata, collegato per strada, da Milano. “Ci ha preferito il ponte”, dice lei a metà tra lo scherzo e la punzecchiatura. Per poi infilarsi in 73 minuti di discorso in cui ripercorre la storia di Fratelli d’Italia, ricordando che alle scorse europee “mancammo di pochissimo il quorum del 4%” mentre ora il partito punta almeno a confermare quel 26% conquistato il 22 settembre scorso, che ha portato la destra al governo.

Ora, è l’Europa a essere “a un bivio” e tutti “devono essere pronti a fare la loro parte” sprona parlamentari e militanti la premier, che è anche presidente di Fdi e di Ecr, quei conservatori europei che, è convinta, saranno “strategici e fondamentali” nella prossima legislatura Ue. L’impresa, “difficile ma non impossibile”, per Meloni, è quella di replicare a Bruxelles “il modello italiano” di una “maggioranza che metta insieme le forze del centrodestra” per “mandare all’opposizione la sinistra anche in Ue”. “Mai con la sinistra” è il mantra, che serve a spazzare via, almeno per ora, le ipotesi di cedimenti dopo il voto, quando ci sarà da sedersi al tavolo delle trattative per i nuovi vertici europei.

Anche perché – è il concetto che ripete da inizio anno la Meloni – un conto sono gli accordi per la Commissione, altro è una maggioranza stabile al Parlamento europeo. Intanto, archiviata la conferenza programmatica (quello che ironicamente anche nel ‘fantacongresso’ che circola tra i Fratelli d’Italia viene definito il ‘Giorgia beach party”, che dava parecchi punti in classifica a chi lo pronunciava) ora “c’è la campagna elettorale”. E i dirigenti del partito già hanno iniziato a organizzare i prossimi appuntamenti. Non essendo “la leader del Pd so che il partito mi aiuterà”, ha detto Meloni lanciando una delle tante stilettate a Elly Schlein, cui tuttavia dà il ruolo di avversaria.

E se “Giorgia”, come ha detto lei stessa dal palco, in giro andrà poco perché vuole restare concentrata sull’attività di governo, toccherà alla sorella, Arianna Meloni, uscire di più dalle retrovie di qui al voto dell’8 e 9 giugno (un appuntamento per la responsabile della segreteria e delle tessere sarà quasi sicuramente al Sud, in Salento). Per il resto la premier sfodera il classico armamentario da comizio, attacca Schlein chiamandola direttamente per nome ma anche il Movimento 5 Stelle quando parla del Superbonus come della “più grande patrimoniale al contrario” fatta in Italia. E poi la natalità che deve diventare centrale, la difesa delle origini “guidaico-cristiane” dell’Europa, il cambio di passo già impresso a Bruxelles sulle politiche green, sull’auto, sui migranti. E l’ennesima difesa di Edi Rama (e un attacco a Report) “linciato da quella che poi chiamano Telemeloni, solo perché ha aiutato l’Italia”.

Alla fine il saluto con Ignazio La Russa (che si è perso l’Inter per sentire la premier ma ha la partita “registrata” e poi corre a vedersi il secondo tempo) e niente pranzo sul lungomare, dove pure la aspettavano. Non sta bene, sempre gli otoliti, dicono i suoi. “Se mi vedete sbandare – scherza lei dal palco – non vi preoccupate, cerco di stare ferma e ce la faccio”. Prima della frase più attesa: “Ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di Fdi in tutte le circoscrizioni elettorali, se sopravvivo….”.

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