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Cronache

Terrorismo: documenti a foreign fighters, 7 arresti

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“Abbiamo smantellato quella che ci risulta essere la piu’ grande organizzazione criminale d’Europa per la produzione di documenti falsi, parte dei quali sono finiti nelle mani di terroristi di matrice islamica, tra cui Kujtim Fejzullai, il 20enne che il 2 novembre 2020 ha commesso un attentato a Vienna”. Se non bastassero le parole del procuratore Alberto Nobili, capo del pool Antiterrorismo di Milano, a dare la dimensione dell’organizzazione smantellata con l’indagine “The caucasian job” e’ un dato contenuto nell’ordinanza: “Tra ottobre 2018 e gennaio 2021 sono stati contraffatti, venduti e consegnati a soggetti residenti in Italia e Paesi europei non meno di un migliaio di documenti falsi”. Nel provvedimento firmato dal gip Raffaella Mascarino ci sono i nomi di un russo di etnia cecena e 6 ucraini, impegnati a vario titolo alla centrale del falso che sfruttava le pieghe oscure del web per farsi pubblicita’ e la zona grigia dei money transfer per le transazioni. La Guardia di Finanza, che ha aiutato la Digos su coordinamento di Nobili e dei pm Paola Pirotta ed Enrico Pavone, e’ riuscita a ricostruire il percorso di almeno 5mila transazioni gestite in 60 diversi Paesi e legate a circa 2mila persone, accertando flussi per 250mila euro. L’indagine e’ partita nel dicembre 2019, dopo un’operazione antiterrorismo delle autorita’ austriache su una possibile serie di attentati in Europa. Dal cellulare di un sospettato arrestato era emerso un numero italiano intestato a Turko Arsimekov, un ceceno di 35 anni richiedente asilo in Italia e residente nella provincia di Varese, che attraverso 3 account Instagram pubblicizzava la vendita di documenti falsi con la formula “soddisfatti o rimborsati”. Arsimekov e’ gia’ stato arrestato nel novembre scorso in un primo troncone di indagine sui falsari dei foreign fighters, perche’ risultato in contatto con Heset Musa, il 30enne kosovaro che aveva fatto da intermediario per un documento falso (costato 1.517 euro) da recapitare al 20enne austriaco (di origine macedone) Kujtim Fejzullai, deciso a raggiungere la Siria per unirsi all’Isis per la guerra del Califfato. Il suo nome era noto agli investigatori ma e’ diventato famoso il 2 novembre 2020, quando per le strade di Vienna ha ucciso 4 persone e ne ha ferite altre 23. Una delle ipotesi emerse in “The caucasian job” e’ che il documento non sia mai arrivato a Fejzullai, che avrebbe ripiegato con un attentato in Europa perche’ impossibilitato a raggiungere il Medio Oriente. “Oltre a Fejzullai abbiamo certezza di almeno 30 persone legate al radicalismo islamico – ha spiegato il capo della Digos milanese, Guido D’Onofrio -. Il gruppo riusciva a garantire una qualita’ cosi’ alta da non temere la prova dei macchinari comuni”. Il prezzo oscillava dai 400 ai 2mila euro, e’ stato proprio Arsimekov a raccontarlo agli inquirenti in una deposizione che ha confermato quasi tutto l’impianto investigativo. “I permessi di soggiorno costavano 800 euro, carte d’identita’ e patenti circa 400, un passaporto da un minimo di 1600 euro a massimo 2mila. Ho iniziato nel 2019, ogni settimana facevo 5-20 documenti, a seconda dei periodi. La regola era fra 10 e 15 alla settimana. Guadagnavo 20 euro al giorno”. La cifra, anche in virtu’ dei 5 figli da mantenere, sembra ridicolmente bassa e la Digos ritiene invece che fosse lui a capo della gestione web. Al vertice del gruppo anche Vitalii Zaiats, 43enne ucraino definito il “collettore finale del denaro”. Arsimekov, iscritto a mille gruppi WhatsApp, procacciava i clienti e si faceva inviare denaro e foto. Poi girava tutto a Zaiats che faceva realizzare il documento in Ucraina e li recapitava in Italia attraverso una coppia di insospettabili corrieri (il 43enne Hennadiv Paskaryuk e sua madre 65enne Lyubov Paskaryuk) che li consegnavano fisicamente ad Arsimekov il quale, infine, li spediva in un plico al cliente. “Oggi non abbiamo arrestato terroristi – ha precisato Nobili – ma queste persone hanno dato documenti falsi anche a terroristi, che equivale ad armarli”.

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Cronache

Tragedia ad Anzola Emilia: uccisa l’ex vigilessa Sofia Stefani, interrogato ex comandante

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Un tragico evento ha scosso la comunità di Anzola Emilia, in provincia di Bologna. Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola alla testa all’interno della sede del Comando della polizia locale, conosciuta come la ‘Casa Gialla’. Il presunto responsabile del delitto è Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola, attualmente sotto inchiesta.

L’incidente è avvenuto poco prima delle 16, in una stanza del comando della polizia locale dove Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si erano incontrati. Al momento della tragedia, i due si trovavano soli nella stanza, sebbene nell’edificio fossero presenti altre persone. Le forze dell’ordine stanno conducendo un sopralluogo accurato alla ‘Casa Gialla’ e interrogando i testimoni per ricostruire esattamente quanto accaduto e comprendere la natura del rapporto tra la vittima e il sospettato.

Giampiero Gualandi, ancora in servizio presso il comando di Anzola Emilia, sarà interrogato con l’assistenza di un difensore. Le autorità stanno cercando di chiarire se il colpo di pistola sia stato un tragico incidente o se ci sia stato un movente dietro l’omicidio. Non è ancora chiaro quale fosse la relazione tra Gualandi e Stefani, ma i carabinieri stanno esplorando tutte le possibili piste, inclusa quella di un conflitto personale o professionale.

La notizia ha profondamente colpito la comunità locale, che conosceva bene Sofia Stefani per il suo lavoro come vigilessa. I colleghi della polizia locale e i residenti di Anzola Emilia sono in stato di shock, in attesa di ulteriori sviluppi dalle indagini. Il municipio, situato a pochi passi dal luogo del delitto, è diventato un punto di raccolta per coloro che vogliono esprimere il loro cordoglio e la loro solidarietà alla famiglia della vittima.

La morte di Sofia Stefani rappresenta una tragica perdita e pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza e sulle dinamiche interne al comando della polizia locale di Anzola Emilia. Mentre le indagini proseguono, la comunità spera che venga fatta piena luce su quanto accaduto.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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