Collegati con noi

Economia

Fisco a caccia nei social, ‘evasione come terrorismo’

Pubblicato

del

La caccia del Fisco agli evasori potrebbe presto essere estesa anche ai social network. Dove spesso le foto di vacanze in mete da sogno o di serate in ristoranti di lusso svelano un tenore di vita non in linea con il reddito dichiarato. Un ragionamento è già stato avviato con il Garante della Privacy, annuncia il viceministro dell’Economia Maurizio Leo che punta a raggiungere un “accordo” e lancia un appello: “l’evasione fiscale è come un macigno tipo il terrorismo”, dice, e serve la collaborazione di tutti. Ma c’è già qualche distinguo nella maggioranza, con l’altolà della Lega: no ad “un’indiscriminata caccia alle streghe”, dice l’ex senatore Armando Siri, che ricorda l’obiettivo della flat tax.

“La lotta all’evasione si fa con la semplificazione”, afferma anche il presidente della commissione attività produttive della Camera Alberto Gusmeroli (Lega), che ribadisce l’obiettivo della flat tax e delle cedolari secche. L’ipotesi di dare all’amministrazione finanziaria anche l’arma delle informazioni sui social, il cosiddetto ‘data scraping’, è allo studio nell’ambito del concordato preventivo biennale, il nuovo regime per le partite Iva. Ci si sta “lavorando con l’Agenzia delle Entrate e Sogei” e si è “iniziato a ragionare col Garante della Privacy – da parte loro c’è assoluta disponibilità, fermo restando la tutela dei dati personali”, spiega Leo in audizione alla commissione di vigilanza sull’analisi tributaria.

L’idea è quella di permettere all’amministrazione finanziaria di non fermarsi a ragionare solo sui dati dell’attività professionale ed economica dei contribuenti, ma di poter andare a vedere anche “gli elementi significativi del suo tenore di vita”, spiega Leo, facendo notare come spesso “professionisti e imprenditori” vadano su internet e sui social dicendo “siamo stati a fare le vacanze alle Maldive o in quel particolare ristorante”. L’obiettivo è di usare questi elementi “a supporto dell’attività di indagine”, andando a “corroborare le proposte fatte” dall’amministrazione finanziaria.

Il dossier è “delicato”, visto che tocca il tema sensibile della riservatezza dei dati personali, ma un dialogo è stato avviato e ora si punta a “trovare un accordo con l’Autorità della privacy”: “Dobbiamo ragionare col Garante”, la cui collaborazione “è assolutamente fondamentale”, sottolinea il viceministro, perché per combattere una mole di evasione da 80-100 miliardi “bisogna mettere l’amministrazione finanziaria nelle condizioni di poter lavorare sul versante del ‘data scraping'”. Ma la guerra ai furbetti andrà anche oltre il perimetro del concordato preventivo.

“Non abbassiamo la guardia”: quelli che non aderiranno al concordato “entreranno in liste selettive”, dove si faranno i controlli e nel caso di “anomalie, là si deve intervenire”, assicura Leo. Che torna a difendere la scelta di eliminare la soglia di accesso al concordato (l’eliminazione del punteggio 8 negli indici Isa di affidabilità fiscale “non vuol dire incentivare l’evasione”): sotto il punteggio di 8 c’è la maggior parte dei soggetti Isa, il 55%, pari a 1,34 milioni di contribuenti”, eppure proprio sotto quella soglia appena “l’1% dei contribuenti viene controllato”.

Ma la lotta del governo all’evasione punta anche sulla riduzione delle tasse: “il nostro disegno” è di “di alleggerire il carico fiscale, visto che abbiamo una pressione fiscale molto molto rilevante che in qualche modo favorisce anche l’evasione”, spiega Leo, che punta sul concordato per raccogliere le risorse necessarie a proseguire la riduzione dell’Irpef. Dopo il taglio da 4 a tre aliquote, si guarda ad un sistema a 2 aliquote, mentre l'”obiettivo di legislatura” è l’aliquota unica: il tutto, ripete cauto il viceministro di FdI, “compatibilmente con le risorse”. Intanto l’attuazione della delega fiscale prosegue a pieno ritmo: altri due nuovi decreti legislativi sono in dirittura d’arrivo. Il primo, “entro febbraio”, sulle sanzioni: “nel nostro sistema tributario sono da esproprio” e “vanno corrette”. Il secondo sulla riscossione, che si trova in una situazione di “difficoltà enorme”, con un magazzino che supera i “1.185 miliardi”: bisognerà verificare quali crediti sono ancora recuperabili e quali no.

Advertisement

Economia

Cina, sale pressione su CK Hutchison per accordo porti di Panama

Pubblicato

del

Sale la pressione della Cina su CK Hutchison, la holding del miliardario di Hong Kong Li Ka-shing, in vista dell’accordo definitivo da firmare entro il 2 aprile su Panama Ports Company, che ha in gestione due dei 5 porti del canale dal 1997 tramite concessione governativa, ceduta a inizio marzo con altre attività dei porti al consorzio guidato dal colosso americano BlackRock. Un commento pubblicato sul Ta Kung Pao, quotidiano in lingua cinese controllato dall’Ufficio di collegamento del governo centrale, l’autorità che rappresenta Pechino nell’ex colonia britannica, ha esortato Li Ka-shing/CK Hutchison, pur senza senza nominarli, a ritirarsi dall’accordo e a rottamare l’affare con la minaccia molto seria e non così velata: l’articolo 23 della Legge fondamentale di Hong Kong, ovvero la nuova legge sulla sicurezza nazionale della città promulgata lo scorso anno.

L’accordo sui porti è maturato dopo settimane di pressioni del presidente Usa Donald Trump, che non ha escluso un’azione manu militari per “riprendere” il Canale di Panama dal presunto controllo cinese. Una svolta che ha generato l’irritazione crescente della leadership mandarina. Pertanto, malgrado nessuno meglio di lui incarni la cavalcata di Hong Kong come centro commerciale globale, il miliardario 96enne Li Ka-shing, al tramonto di una carriera imprenditoriale di successo lunga otto decenni fino a diventare uno degli uomini più ricchi d’Asia, sta affrontando una raffica di pesanti e crescenti critiche da parte di Pechino.

Continua a leggere

Economia

Trump implora le uova venete per Pasqua: e ora chi glielo dice al pollaio?

Pubblicato

del

Dispiace davvero per le galline americane, travolte dall’aviaria come se fossero entrate in un fast food sbagliato. Ma il fatto che il pollaio di Trump, in piena crisi pre-pasquale, stia supplicando il Veneto di vendergli un po’ di uova, strappa più un ghigno che una lacrima.

Dalla minaccia dei dazi alla richiesta delle galline: ma con quale faccia?

Solo qualche mese fa, la nuova amministrazione americana minacciava dazi come se piovesse e guardava all’Europa con la stessa simpatia riservata a un piccione sul cofano di una Mustang. Ora, però, eccoli lì: a corto di uova, disposti a tutto pur di impanare un’idea, un pollo, una festività.

E allora, se fossimo un contadino veneto – o anche solo una gallina con un minimo di dignità –, forse ci siederemmo sulle uova, letteralmente, prima di concederle. Volete le nostre uova bistrattate, ora che le vostre costano più di un iPhone ricondizionato? Bene. Sediamoci e trattiamo. Magari su un letto di paglia, con un bicchiere di prosecco.

Attenzione: la Groenlandia non è in offerta

Tanto per cominciare: la Groenlandia ce la teniamo, anche se non ci serve per le galline. E se vi azzardate ancora a mettere dazi sul vino, sappiate che la prossima frittata ve la fate da soli, ma senza le nostre uova. Solo albumi di risentimento.

Un tempo il dollaro era ancorato all’oro. Non pretendiamo tanto. Ma ancorarlo all’uovo? Sarebbe già un bel passo avanti. Altro che Bitcoin: il futuro è nella gallina. E comunque, noi saremo pure un Paese senza figli, come dice quella testa d’uovo di Elon Musk, ma un ciambellone decente e un ovetto sbattuto non ce li leva nessuno.

L’uovo di Colombo? Meglio alla coque

In fondo non abbiamo cominciato noi. Ma se ti metti a fare il prepotente, caro Trump, prima o poi il conto ti arriva. E magari ti viene presentato in una scatola da sei, con scadenza ravvicinata e timbro DOP.

Un consiglio, Presidente: nella diplomazia, come in cucina, le uova vanno maneggiate con cura. Perché quando si rompono, il rischio non è solo la frittata. È finire con l’uovo – come dire – dalla parte sbagliata.

Continua a leggere

Economia

Fumata grigia Assogestioni, si va verso lista Generali

Pubblicato

del

Fumata grigia da Assogestioni sulla lista per il cda di Generali. A una settimana dalla scadenza per il deposito delle liste in vista dell’assemblea del 24 aprile, chiamata a rinnovare l’intero board, si è tenuta l’ennesima riunione del Comitato dei gestori dell’associazione che riunisce le società di gestione. La discussione si è concentrata in prima battuta sul parere chiesto allo studio legale Annunziata dal coordinatore del Comitato, Emilio Franco, che è anche amministratore delegato di Mediobanca Sgr. Poi si è passati a esaminare le candidature selezionate dal cacciatore di teste Chaberton Partners. Non è stato ufficialmente deciso nulla sulla presentazione la lista ma l’orientamento propende per il sì. E’ quindi solo questione di tempo. Il Comitato, oggi impegnato anche a mettere a punto le liste per Prysmian, Moncler e Inwit, rese note a fine riunione, sul tema divisivo Generali si è riaggiornato all’inizio della prossima settimana.

A causa dei conflitti di interesse, a votare alla fine saranno in sostanza Fideuram ed Eurizon del gruppo Intesa Sanpaolo e Poste, che sono pronti a votare a favore del deposito. Buona parte del tempo dedicato a Generali è servito per illustrare il parere che mette in luce due questioni. La prima è l’independence of mind, ossia l’indipendenza delle parti nell’elaborazione dei lista dei candidati. La seconda riguarda l’opportunità di presentare la lista per il rischio di ingovernabilità che si potrebbe creare nella compagnia. Qualora la lista del gruppo Caltagirone ottenesse la maggioranza dei voti in assemblea, si aggiudicherebbe infatti sei posti in consiglio. Gli stessi che avrebbe Mediobanca anche se scenderà in campo con una lista lunga dove ricandiderà il presidente Andrea Sironi e del ceo Philippe Donnet. In tale scenario Assogestioni avrebbe un rappresentante nel consiglio di amministrazione con un potere di decisione che secondo lo studio Annunziata sono in contrasto con quanto previsto dallo statuto di Assogestioni.

A complicare lo scenario all’assemblea ci saranno non solo i due schieramenti Mediobanca da una parte e Francesco Gaetano Caltagirone dall’altra, sostenuto da Delfin, la cassaforte degli eredi di Leonardo Del Vecchio. Si è aggiunto come socio di peso Unicredit che, col risiko bancario in corso, non è chiaro cosa voterà ma potrebbe puntare proprio sulla lista di Assogestioni. Il quadro in ogni caso è molto diverso da quello dell’assemblea di tre anni fa quando la lista dei fondi non ottenne neanche un posto nel board del Leone. Nel corso della riunione del Comitato non si è invece discusso dei pareri legali che hanno una visione diversa. Quello di Anima-Kairos e quello di Eurizon. Quest’ultimo per ora è rimasto nel cassetto e non è stato presentato. Quanto ai nomi da candidare in testa ci sono l’economista Roberto Perotti, già consigliere di Generali, il banchiere e docente alla Harvard Business School, Dante Roscini, il direttore del Digital Ethic Center di Yale, Luciano Floridi, il manager di E&Y, Guido Celona, e il banker di Citi, Christian Montaudo.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto