E’ uno scontro che non pare destinato a placarsi quello interno alla Procura di Milano, rimasto sotto traccia per mesi ed esploso con le indagini della Procura di Brescia, prima sul caso degli ormai noti verbali di Piero Amara sulla loggia Ungheria e ora su presunte irregolarita’ da parte dei pm titolari del fascicolo Eni-Nigeria, processo che si e’ chiuso il 17 marzo con 15 assoluzioni. Una vicenda intricata di cui si stanno interessando anche il pg della Cassazione e il Csm per i profili disciplinari. Da una parte, ci sono le dichiarazioni ai pm di Brescia e i documenti portati dal pm Paolo Storari, titolare fino a qualche mese fa dell’inchiesta sul ‘falso complotto Eni’. Atti tra cui chat dell’ex manager del gruppo Vincenzo Armanna, ‘grande accusatore’ nella vicenda nigeriana. Chat che per il sostituto milanese avrebbero dovuto essere depositate nel processo a dimostrazione della volonta’ dell’ex dirigente di ‘inquinare’ il procedimento e di ricattare i vertici della compagnia petrolifera. Dall’altra parte, ci sono le valutazioni fatte dall’aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro, indagati per rifiuto di atti d’ufficio per non aver messo a disposizione delle difese e del Tribunale quelle carte trasmesse da Storari. E che hanno contestato la “legittimita’ procedurale” con cui quelle conversazioni sono state acquisite. Tra i documenti non depositati alle parti processuali, come spiegato ai pm bresciani da Storari, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per aver consegnato per “autotutela” a Piercamillo Davigo i verbali di Amara, c’e’ un messaggio con la richiesta da parte di Armanna a Isaak Eke di restituirgli “50 mila dollari”. Soldi che l’ex dirigente licenziato da Eni, molto valorizzato dai pm del processo sul giacimento Opl245, avrebbe versato all’ex ufficiale della polizia nigeriana chiamato come teste, nel novembre 2019, per confermare le sue accuse (cosa che non fece) nel dibattimento. Inoltre, Storari, carte alla mano, ha riferito al procuratore Francesco Prete e al pm Donato Greco pure di altre chat alterate dall’ex dirigente – imputato in Eni-Nigeria ma anche indagato, come Amara, nell’inchiesta sul ‘depistaggio’ – per screditare non solo l’ad Claudio Descalzi, ma anche il capo del personale Claudio Granata. Agli atti dell’inchiesta bresciana ci sarebbero anche email inviate, tra fine 2020 e inizio 2021, da Storari ai vertici dell’ufficio e in una il magistrato faceva notare l’inattendibilita’ di Armanna: per lui sentirlo ancora a verbale sarebbe stato solo dannoso per le indagini. Dal canto loro, De Pasquale e Spadaro in una “nota”, inviata il 5 marzo al procuratore Francesco Greco (ripete in queste ore di essere “sereno”) e all’aggiunto Laura Pedio, altro titolare del fascicolo sul ‘depistaggio’, hanno risposto con una serie di osservazioni “critiche” ad una relazione degli investigatori, da loro definita “informale” e senza indice degli atti, che era stata inviata da Storari a febbraio e che conteneva il materiale da lui raccolto. Una nota in cui spiegano perche’ non hanno portato quegli atti nel processo. Undici pagine che lunedi’ scorso, giorno delle perquisizioni sui loro pc, i due magistrati hanno consegnato anche agli inquirenti bresciani. Con contestazioni sulla regolarita’ della procedura con cui Storari ha acquisito le chat, perche’ la consulenza sul telefono di Armanna, scrivono, non e’ ancora terminata. Secondo la versione di Storari, coi suoi accertamenti si e’ arrivati a scoprire che Armanna avrebbe pure falsamente attribuito a Granata e Descalzi due numeri in realta’ non intestati a loro. Tuttavia, per gli altri pm, quelle analisi non possono essere considerate definitive. E la chat sui 50mila dollari potrebbe anche riferirsi ad un ‘file’ che interessava ad Armanna.