Collegati con noi

Esteri

Africa, il mercato dei farmaci e della discriminazione vaccinale 

Pubblicato

del

Forse sapete che in Africa ci sono 2,6 medici per 10.000 abitanti. Nel mondo, ve ne sono 14,1: vi lascio scoprire quanti ce ne sono in Italia. Ma credo che pochi tra voi conoscono la distribuzione dei farmacisti. Presto detto: meno di 1 ogni 10.000 abitanti. A livello mondiale sono 4,3. Considerate che, secondo stime necessariamente grossolane che però riescono a dare un’idea, dobbiamo pensare che il Continente ospita 1/4 dei malati di tutto il mondo. Non solo. Il profilo sanitario dell’Africa somiglia sempre più a quello dei paesi ricchi: diminuisce l’incidenza di malaria, HIV, Ebola e aumentano le malattie non trasmissibili, soprattutto diabete (con le inenarrabili conseguenze patologiche su organi vitali) e vasculopatie. 

Africa. Memo malaria, Ebola e Aids e più malattie non trasmissibili

          Tutto questo per dire che in Africa si consumano m.o.l.t.e. medicine. Che la parte maggiore di queste medicine provengono dall’estero. Che il mercato del farmaco africano è dominato dalla illegalità: contraffazione e contrabbando. Ciò vuol dire che le medicine vengono importate senza alcun controllo sanitario da fabbricanti soprattutto asiatici (Cina, India, Pakistan), a loro volta contraffattori, e immesse su mercati privi di regolamentazione, senza farmacisti e senza medici. 

          Chiunque ha un’esperienza d’Africa anche minima, fuori dai villaggi turistici e dai “circuiti protetti”, quelli da cui è impossibile per un occidentale “vedere” qualcosa della vita reale degli africani, sa che può trovare quello che vuole su un cencio steso per terra in un angolo di città, o sui banchetti dei mercati periodici dei villaggi anche più sperduti, vicino alle frittelle della mémé  e alle pentole di plastica, che hanno ormai sostituito ovunque i meravigliosi recipienti di zucca. Sono farmaci che curano t.u.t.t.o, al bisogno.: basta chiedere al ragazzo che le vende, o al vecchio ambulante. Dite ciò che vi affligge, e lui vi darà quello che serve: un blister verde o rosso, o anche due pillole bianche sfuse da prendere al momento, non si negano a nessuno. 

          Io avevo provato, pensate, a collezionare qualcosa, un tempo, ma i rimedi curativi sono davvero troppi. Conservo ancora però, per pura affezione, accanto a una radice malgascia che cura il mal di denti con la masticazione (come se fosse un bastone di liquirizia), delle pillole contro il vomito prese al mercato del venerdì mattina in un villaggio baatonou, in Benin, in due varianti/colori: da prendere prima, cioè nella fase di nausea, oppure dopo, cioè per impedire che la faccenda continui.

         In questo quadro disastrato, di cui non si parla che troppo poco sui media internazionali, le Organizzazioni onusiane, le ONG internazionali, le missioni cristiane, fanno quello che possono: cioè poco. Nel frattempo, le vaccinazioni anticovid sono iniziate da più di un mese in forma via via più massiccia e, da qualche parte almeno, sistematica. L’Africa, sappiamo, è stata risparmiata dalla pandemia: per motivi che nessuno, ancora una volta, si preoccupa di chiarire veramente. Si contano nel bollettino dell’OMS di ieri, 3,6 milioni di contagiati totali e 93.000 decessi, lo stesso numero che nella sola Italia. Sappiamo che queste cifre per 3/4 riguardano lo spazio extra-tropicale: e quindi i Paesi della facciata mediterranea e il Sudafrica. Insomma, l’Africa cosiddetta “nera”, quella appunto compresa tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno, è pochissimo toccata. Con una poderosa avvertenza, però: anzi due. La prima, è ovvia: si tratta di casi conclamati, che n.u.l.l.a. ci dicono su una eventuale diffusione asintomatica del virus. La seconda è che, trattandosi dell’Africa -dove la sanità pubblica è quella che è, e i sistemi di rilevazione statistica praticamente non esistono- i numeri vanno s.e.m.p.r.e. presi con le pinze. 

Africa. In alcuni Paesi le condizioni igienico-sanitarie sono inimmaginabili per noi occidentali

          Come che sia, trattandosi di pandemia, dobbiamo ricordarci sempre che la lotta va pensata e condotta a livello mondiale: vaccinare un Paese serve, si capisce, ma non risolve il problema se il Paese a fianco vaccinato non è. Ora, in Africa la vaccinazione anticovid praticamente non esiste. I dati di ieri indicano che tre Paesi soltanto hanno proceduto a fare qualche inoculazione, con entità irrisorie: Marocco, Algeria, Egitto. Qui, per dire, 1315 dosi, di produzione cinese (Sinopharm), su 105 milioni di abitanti. 

Africa. La battaglia per il vaccino agli africani è un problema etico oltre che sanitario

          La discriminazione vaccinale è un serissimo problema bioetico, si capisce: l’immunizzazione va resa rapidamente universale e con costi che devono essere presi in carico, senza tergiversazioni, dalle aziende farmaceutiche e dalla cooperazione internazionale. Ma rappresenta anche un terribile boomerang sanitario: perché il virus è insidioso e può trovare proprio in un’Africa dimenticata le condizioni ideali per le sue mutazioni, anche vaccino-resistenti. La variante sudafricana, dopotutto, è un campanello sufficientemente allarmante. O no? O dobbiamo aspettare forse un’altra emergenza: “improvvisa” e non, invece, annunciata? 

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

Advertisement
Continua a leggere

Esteri

Macron: se i russi sfondano non escludere le truppe

Pubblicato

del

Lo spettro delle armi proibite torna ad affacciarsi sulla guerra in Ucraina. La denuncia è arrivata dagli Stati Uniti, secondo cui i russi hanno utilizzato un agente chimico soffocante, la cloropicrina, per ottenere “conquiste sul campo di battaglia”. Le forze di invasione, al di là dei metodi più o meno convenzionali utilizzati, procedono con un’avanzata costante nel Donbass, ingaggiando con il nemico pesanti combattimenti intorno ad Avdiivka. E’ uno scenario che preoccupa gli alleati di Kiev, a partire dalla Francia, tanto che Emmanuel Macron ha evocato ancora una volta la possibilità di inviare truppe, se Mosca sfondasse e gli ucraini lo richiedessero esplicitamente.

L’uso di armi chimiche come “metodo di guerra” è stato segnalato dal Dipartimento di Stato Usa, che ha parlato di casi “non isolati”, in violazione di una convenzione internazionale che ne vieta l’utilizzo, firmata anche dalla Russia. In particolare la cloropicrina, che sarebbe servita per “allontanare le forze ucraine dalle posizioni fortificate”, è una sostanza ampiamente utilizzata durante la prima guerra mondiale, che provoca irritazione ai polmoni, agli occhi e alla pelle e può causare vomito e nausea. Gli ucraini, inoltre, hanno riferito di aver dovuto fronteggiare numerosi attacchi chimici negli ultimi mesi. Secondo un rapporto dell’agenzia Reuters, almeno 500 soldati sono stati curati per l’esposizione a gas tossici e che uno è morto dopo essere soffocato dai gas lacrimogeni. Il Cremlino ha respinto le accuse come “assolutamente infondate e non supportate da nulla” e si è concentrato sui successi delle truppe sul terreno.

Il ministero della Difesa ha rivendicato la conquista del villaggio di Berdichy, nel Donetsk, su una strada strategica per il rifornimento delle truppe ucraine. L’area è quella di Avdiivka, dove i difensori sono costretti a schierare le riserve. Il principale obiettivo in questa direttrice resta Chasiv Yar, ormai carbonizzata dopo mesi di bombardamenti: dalla collina che la domina l’Armata sarebbe in grado di colpire la spina dorsale della difesa ucraina. La potenza di fuoco è impressionante. Solo ad aprile, secondo Volodymyr Zelensky, il nemico ha lanciato “3.800 bombe e missili”. Mentre Human Rights Watch ha denunciato che i russi hanno giustiziato almeno 15 soldati ucraini mentre tentavano di arrendersi, come già evidenziato da altre fonti a fine 2023. Per contenere l’avanzata delle truppe di Putin gli occidentali tentano di aumentare e accelerare la fornitura di armi a Kiev, ma secondo Parigi questo approccio potrebbe non essere più sufficiente.

E’ Macron, in un’intervista all’Economist, a mettere le carte in tavola: “Se i russi sfondassero in prima linea, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente porci la domanda” di un eventuale invio di truppe al fianco degli ucraini. “Escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni”, quando i Paesi della Nato avevano inizialmente escluso l’invio di carri armati e aerei prima di cambiare idea, ha aggiunto il presidente francese. Che già a febbraio, quando aveva tirato fuori questa ipotesi per la prima volta, era stato sconfessato dalla maggior parte degli alleati (inclusi Stati Uniti, Italia e Germania). Mosca ha liquidato le dichiarazioni di Macron con sarcasmo, affermando che “sono in qualche modo legate ai giorni della settimana, e questo è il suo ciclo”.

Ma l’inquilino dell’Eliseo ragiona sul conflitto in Ucraina con uno sguardo all’Europa del futuro, che emergerà dopo il voto di giugno. E la sua ambizione è quella di guidare un processo di rinnovamento che porti l’Ue a diventare una potenza globale. Rafforzata, tra le altre cose, da una difesa comune. La minaccia russa al Vecchio continente è rilanciata anche dalla Nato che si dice “profondamente preoccupata” per le recenti “attività maligne” di natura ibrida, sull’onda dei casi recenti che hanno portato all’indagine e all’incriminazione di più individui in Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca: “Una campagna sempre più intensa di attività che Mosca continua a svolgere in tutta l’area euro-atlantica, anche sul territorio dell’Alleanza e attraverso intermediari”. Sul fronte della diplomazia, intanto, la Svizzera ha invitato più di 160 delegazioni al vertice a Lucerna a giugno ma l’invito non è stato esteso alla Russia. Che non a caso ha commentato: “Negoziati di pace senza di noi non hanno senso”.

Continua a leggere

Esteri

Nuove voci su Kate: operata da un’equipe italiana

Pubblicato

del

Congetture senza fine, ombre cupe impossibili da verificare e rivelazioni di anonime gole profonde (non confermate, ma neppure smentite o smentibili) continuano ad addensarsi sulla famiglia reale britannica: in primis sul decorso del cancro, di natura imprecisata, diagnosticato nei mesi scorsi in rapida successione sia al 75enne re Carlo III, sia alla principessa di Galles, Catherine, 42 anni, consorte dell’erede al trono William. Le ultime indiscrezioni non rimbalzano per una volta dai tabloid della stampa popolare dell’isola o dal sensazionalismo a tinte noir dei siti del gossip Usa, ma arrivano dall’Italia.

Dal settimanale Gente in edicola domani, in particolare, secondo un cui scoop – anticipato con titoli di richiamo oggi – le condizioni del sovrano sarebbero decisamente più allarmanti rispetto ai comunicati o alle stesse immagini ufficiali. Mentre quelle di Catherine, familiarmente Kate per l’opinione pubblica di tutto il mondo, restano avvolte nella nebbia: dietro una spessa coltre di riserbo giustificata da ragioni di “privacy”, a quasi 4 mesi dal misterioso intervento all’addome subito dalla principessa in un reparto della prestigiosa London Clinic, ospedale privato dell’élite londinese. Operazione a cui avrebbe partecipato in prima fila, scrive il magazine italiano, un’équipe di medici connazionali inviati dal Policlinico Gemelli di Roma.

Fedele alla ferrea regola del ‘never complain, never explain’ (‘mai lamentarsi, mai spiegare’), ereditata dal lungo regno di Elisabetta II, sebbene con un tocco di trasparenza in più a partire del recente annuncio della malattia di Carlo, Buckingham Palace non ha ovviamente commentato in alcun modo queste voci. Ignorate per ora anche da giornali e tv mainstream d’oltre Manica, fra le cui righe, peraltro, negli ultimi tempi, non sono mancati interrogativi e cautele sulla situazione clinica del monarca regnante e della futura regina.

Gente in ogni caso tira dritto e attribuisce le sue informazioni a fonti reputate degne di fede. Riguardo all’intervento chirurgico di Kate, il settimanale afferma d’aver appreso che sia stato “effettuato da un’équipe di medici italiani del Policlinico Gemelli di Roma”. Cosa che né l’ospedale romano né la London Clinic possono certificare (o negare) pubblicamente per evidenti obblighi di tutela dei pazienti, trincerandosi dietro l’inevitabile “no comment”.

E che mai è emersa dai comunicati di palazzo, come dal tam tam dei media britannici, al di là della ben nota presenza di specialisti italiani in tante strutture sanitarie del Regno o del costante interscambio fra istituzioni mediche o scientifiche dell’isola e della penisola. Quanto poi alle condizioni di re Carlo, Gente sostiene di aver raccolto confidenze di “fonti vicine” alla Royal Family in contrasto con “le rassicurazioni del comunicato di Buckingham Palace che la settimana passata aveva annunciato il ritorno agli impegni pubblici” del sovrano.

Ritorno poi in effetti realizzatosi martedì con una prima visita a un ospedale e a un centro oncologico di Londra, fatta simbolicamente da Carlo in compagnia della regina Camilla, durante la quale il monarca si è mostrato sorridente. E in forma apparentemente discreta.

Un’immagine frutto di progressi terapeutici accreditati dai medici di corte come “molto incoraggianti” sul fronte di cure che comunque proseguono, a differenza del segreto che continua a dominare sull’andamento della chemioterapia in corso da due mesi per Kate, del tutto assente dai riflettori fin dal Natale del 2023. Ma che secondo il settimanale celerebbe dietro le quinte una realtà molto più inquietante pure per Carlo: segnata in privato dal calvario di un re “fiaccato da dolori alle ossa” che non gli lascerebbero tregua.

E addirittura “gravissimo”, secondo lo strillo che sollecita la lettura dell’articolo di domani. Timori e incubi che solo i mesi prossimi, fitti d’impegni da confermare volta per volta, potranno diradare o concretizzare più o meno drammaticamente.

Continua a leggere

Esteri

Non si placa la protesta in Georgia, scontri e feriti

Pubblicato

del

Non si placa l’ondata di proteste in Georgia per la legge contro le influenze straniere voluta dal partito di governo Sogno Georgiano, che ha già superato due delle tre votazioni in Parlamento necessarie per entrare in vigore. L’assemblea ha cancellato la sessione di oggi denunciando un tentativo di irruzione da parte di un gruppo tra i manifestanti che ieri sera sono tornati a scendere in piazza nei pressi dell’edificio.

Mentre la Ue e gli Usa mantengono il loro sostegno alla protesta. La normativa, conosciuta anche come legge sugli agenti stranieri, è già stata ribattezzata ‘legge russa’ dagli oppositori, che vi vedono un tentativo della maggioranza di ridurre al silenzio le voci critiche come fatto da Mosca con una disposizione analoga.

Sogno Georgiano è anche accusato volere fare riavvicinare alla Russia questo Paese del Caucaso, che nel dicembre scorso ha ottenuto lo status di candidato ad entrare nella Ue. Decine di migliaia di persone sono tornate a manifestare ieri sera dopo che, il giorno prima, la polizia era intervenuta per disperdere i dimostranti con l’impiego di gas lacrimogeni e proiettili di gomma e fermando oltre 60 persone. Il ministero dell’Interno aveva detto che sei agenti erano rimasti feriti.

“Seguo la situazione in Georgia con grande preoccupazione e condanno la violenza nelle strade di Tbilisi”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, secondo la quale “la Georgia è a un bivio e dovrebbe mantenere la rotta verso l’Europa”.

Il governo italiano condanna “l’uso della violenza durante le manifestazioni” a Tbilisi e “sostiene l’ingresso della Georgia nell’Unione Europea”, ha scritto da parte sua su X il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Mentre il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, John Kirby, ha affermato che Washington è “profondamente preoccupata” per il progetto di legge che, a suo avviso, potrebbe portare a un “soffocamento del dissenso e della liberà di espressione”. Accuse respinte dai promotori, secondo i quali il disegno di legge si ispira, più che a quella russa, a un’analoga normativa in vigore negli Usa fin dagli anni ’30 del secolo scorso.

Ma anche il responsabile dell’Onu per i diritti umani, Volker Turk, ha invitato il governo a ritirare la legge. Ieri il Parlamento ha approvato in seconda lettura la legge con 83 voti favorevoli e 23 contrari. Il testo prevede che le organizzazioni non governative e i media che ricevono oltre il 20% dei loro finanziamenti dall’estero si registrino amministrativamente come “organizzazioni che difendono gli interessi stranieri”.

Manifestazioni contro l’iniziativa si susseguono dal 9 aprile, da quando cioè Sogno Georgiano ha deciso di ripresentare la legge, che un anno fa aveva ritirato sotto la pressione di un’analoga ondata di proteste. Ieri sera, come avvenuto nei giorni precedenti e anche un anno fa, i manifestanti hanno sventolato bandiere dell’Unione europea insieme a quelle nazionali. C’è stato qualche limitato incidente e il ministero della Sanità ha segnalato otto feriti lievi, ma nulla di paragonabile agli scontri della notte precedente.

Lo scontro di questi giorni sembra comunque assumere una valenza che va oltre il destino della legge, tra chi vuole cercare di recuperare i rapporti con la Russia e chi spinge invece per una precisa scelta occidentale.

Due poli rappresentati dal partito di governo da un lato e, dall’altro, dalla presidente franco-georgiana Salome Zourabishvili, ex ambasciatrice francese in Georgia, che si è schierata contro la normativa.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto