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Incubo Lombardia per Conte e poi c’è De Luca che ha dichiarato guerra al Governo, de Magistris e i greci

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La quarantena obbligatoria ulteriore alla Lombardia nessuno avrà il coraggio di imporla. Troppe le ripercussioni. Troppe pressioni. A cominciare da quelle economiche. Da mercoledì l’Italia non sarà più zona rossa. Sarà dunque possibile la mobilità tra le regioni. Piaccia o no. Questo prevedeva già il decreto di due settimane fa. Questo resterà. Dunque se ne faccia una ragione chi vuole “fermare” la Lombardia per ragioni legate al contagio e non perché tutti ce l’hanno con i lombardi untori. CI saranno pure degli idioti e stolti in questo Paese, ma nessuno può avere sentimenti di odio o di razzismo verso 10 milioni lombardi che hanno sofferto un dolore indicibile. E allora anche se la Lombardia è ancora sotto la sferza del contagio per incapacità della sua classe dirigente, si cercherà in qualche modo di far quadrare i conti. Questo abbiamo percepito. Conte non ha paura della Lega, ma non può non tenere conto di quello che dice la Regione Lombardia. Non può non tener conto di quello che pensa il sindaco di Milano Beppe Sala. Se Palazzo Chigi dovesse decidere (con Conte tutto è possibile) di imporre uno stop di altri 7/14 giorni alla Lombardia, dovrà affrontare le conseguenze politiche della scelta.
Intanto ci sarebbe il contraccolpo psicologico della scelta che avrebbe ricadute elettorali. Conte si assumerà anche l’onere di bollare di fatto come “untori” dieci milioni di cittadini che vivono tra Milano, Lodi, Bergamo, Brescia e il resto delle province lombarde? Sì, lo so, scegliere di fermare la Lombardia con questi numeri quanto a contagi e decessi sarebbe forse doveroso, ma voi l’immaginate la grancassa della propaganda di Matteo Salvini?
Ecco perché forse avrebbe retto di più l’ipotesi di rimandare tutto di una settimana, scatenando però le ire di quei presidenti di regione che non avrebbero saputo spiegare le ragioni di un ulteriore lockdown già che da un mese sono a contagi quasi zero e decessi nella norma. Ma la paura non è passata. Anzi, più ci si avvicina al 3 giugno e più aumenta l’ansia anche dei cittadini. Insieme allo spostamento tra Regioni, da mercoledì sarà possibile anche quello da tutti i paesi dell’area Schengen e dalla Gran Bretagna. Anche se molte frontiere, per gli italiani restano off limits. Non  vogliono italiani, per ora, Svizzera, Croatia, Grecia, Austria. E in Italia ci sono già ipotesi di ritorsioni regionali quasi fossimo in guerra. Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ad esempio, convenzione di guerra di Ginevra alla mano, sta già pensando di attuare con la sua repubblica federale della Campania una ritorsione di pari intensità verso la Grecia. Loro non vogliono gli italiani, lui potrebbe dichiarare fuorilegge, clandestini i greci sul territorio campano. Non si capisce bene che cosa voglia fare, ma fino al 3 giugno c’è tempo per conoscere tutti gli obiettivi strategici di De Luca. Nel suo mirino ci sono il Governo Conte che non gli concede il voto a luglio ma a settembre e la Grecia. Per ora. Uno spirito guerrafondaio che sta facendo innamorare letteralmente esponenti di primissimo piano della destra campana oltre che dei moderati. Alle prossime elezioni, quali che siano le coalizioni in campo con De Luca (nel suo esercito) ci saranno sicuramente  Clemente Mastella, Paolo Cirino Pomicino, l’ex deputato del Msi e poi An Filippo Ascierto (il fratello oncologo Paolo Ascierto), vorrebbe aggregarsi alle truppe cammellate deluchiane anche un ex magistrato diventato senatore con il Msi-An negli anni d’oro di Berlusconi, che imboscatosi in giro per ministeri è stato poi costretto a farsi impiegare alla sezione fallimentare del Tribunale di Nocera Inferiore. Lui dice che gli “sanguina il cuore”, ma ama De Luca. Un amore politico (?), morboso. Assieme a lui ci sarà anche la signora Antonia De Mita che oggi fa marketing per il Quirinale e marchette editoriali in giro grazie alla sua incredibile maestria professionale e alle “entrature” istituzionali. Per lei s’è mosso anche il papà Ciriaco De Mita, ex premier, che dal suo feudo di Nusco ancora gestisce pacchi di voti in Irpinia. E un posto in regione Campania alla figliola lo può trovare grazie a De Luca. Come si dice in Italia? “Tengo famiglia”, materiale per  Carlo Puca, giornalista e scrittore che spesso si è occupato di nepotismo e familismo italico.
 In ogni caso, De Luca dice, come sempre senza giri di parole, che “si ha la sensazione che per l’ennesima volta si prendono decisioni non sulla base di criteri semplici e oggettivi ma sulla base di spinte e pressioni di varia natura”, ha scritto ieri su Facebook. La linea, non solo di De Luca, è che si sarebbe potuti uscire dall’impasse inserendo un nuovo criterio, per esempio il numero di contagi mensili, superato il quale i confini della regione dovessero rimanere ancora chiusi, in modo da “togliersi dall’imbarazzo” di nominare la regione guidata dal leghista Attilio Fontana. In realtà la valutazione del rischio già esiste e in nessuna zona d’Italia al momento è superiore alla soglia considerata “sicura”.
In ogni caso, la Campania si appresta “senza isterie” a mettere in campo “controlli e test rapidi” – ne aveva già fatti durante la fase 1 – per chi arriva nelle stazioni delle città e agli imbarchi per le isole. Nel frattempo, va detto, De Luca è impegnatissimo nella battaglia contro Luigi de Magistris che consentirà da lunedì l’apertura dei bar fino alle 3 e mezza di notte, in contrasto con il provvedimento regionale che li chiudeva all’1. “È venuto il momento di ripristinare il corretto equilibrio tra poteri dello Stato”, gli ha risposto il sindaco di Napoli. È quasi certo che dopo Conte, i greci, i lombardi, i Cimbri e i Teutonici, De Luca abbia già dichiarato guerra pure al sindaco di Napoli e ai napoletani che vorrebbero ricominciare a lavorare e a svagarsi un po’. Osservando, ovviamente, le regole di distanziamento sociale.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Ancora un Commissario: per il granchio blu e per la peste suina

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Parola mantenuta sul decreto di sostegno all’agricoltura preannunciato, a metà marzo a Roma, dal ministro Francesco Lollobrigida alla Conferenza organizzativa della Cia-Agricoltori Italiani, e frutto della collaborazione di più ministeri, – a partire da Difesa, Ambiente, Salute, Turismo – , nonché di ulteriori confronti con tutte le organizzazioni di rappresentanza del settore primario. Oggi ha preso forma in dodici articoli e verrà presentato la prossima settimana in Consiglio dei ministri. Al traguardo di un working in progress reso noto in più occasioni dallo stesso ministro Lollobrigida, ma senza fornire i dettagli sulle misure di aiuto “per rispetto – ha detto – del Cdm dove verrà discusso”. L’obiettivo dichiarato, durante la 75/ma assemblea di Fruitimprese, è quello di affrontare non solo le situazioni critiche ma anche per mettere in campo una strategia volta a migliorare i controlli del settore e altre questioni che riguardano “un mondo che deve essere protetto, salvaguardato e promosso”, ha sottolineato Lollobrigida.

Stando all’ultima bozza del provvedimento, il dl Agricoltura di prossimo varo prevede aiuti alle imprese danneggiate dalla guerra in Ucraina ma anche dal proliferare del granchio blu per cui arriva un commissario straordinario nazionale in carica fino al 2026, o per i produttori colpiti dalla “moria dei kiwi”, oltre a nuovi interventi per arginare la peste suina e il rafforzamento del contrasto alle pratiche sleali. E per limitare l’uso del suolo agricolo si dispone che “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’istallazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”. La società “Sistema informatico nazionale per lo sviluppo dell’Agricoltura – Sin Spa” viene incorporata nell’Agenzia per le erogazione in Agricoltura, Agea.

Inoltre per far fronte alla complessa situazione epidemiologica derivante dalla diffusione delle Peste suina africana (Psa) i piani di contrasto al proliferare dei cinghiali lungo l’intera Penisola verranno attuati anche mediante il personale delle Forze armate, previa frequenza di specifici corsi di formazione e mediante l’utilizzo di idoneo equipaggiamento. Sarà coinvolto un contingente di massimo 177 unità, e per un periodo non superiore a 12 mesi, con spese a carico, viene precisato nel testo, del Commissario straordinario preposto al contrasto Psa.

Il decreto guarda anche al settore pesca e dell’acquacoltura per contenere gli effetti della crisi economica conseguente alla diffusione del granchio blu. Le imprese della comparto che nel 2023 hanno subito una riduzione del volume d’affari, pari almeno al 20 per cento rispetto all’anno precedente, previa autocertificazione potranno avvalersi della sospensione per 12 mesi delle rate dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale, cambiali agrarie comprese. “In questo provvedimento – ha sottolineato Lollobrigida uscendo da Palazzo Chigi – ci saranno alcune delle cose che avevamo garantito. Sul granchio blu abbiamo fatto molto, e bisogna fare ancora di più: bisogna avere una strategia di carattere italiano ed europeo non solo per arginare i danni che vengono provocati ma anche per trovare una soluzione definitiva”.

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Pichetto: norme per il nucleare entro la legislatura

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Entro questa legislatura, il governo Meloni vuole varare tutta la normativa necessaria per reintrodurre il nucleare in Italia. Questo perché i primi reattori a fissione di 4/a generazione, quelli su cui punta l’esecutivo, dovrebbero andare in produzione alla fine del decennio. E per quella data, il governo vuole avere pronto il quadro giuridico per installarli e farli funzionare. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha annunciato i suoi obiettivi in una intervista a Radio 24. Alla domanda del giornalista se entro la legislatura potrà essere cambiato il quadro legislativo sul nucleare, Pichetto ha risposto “sì. Io ce la metto tutta. Questo è il mandato del governo e del Parlamento”.

Il ministro ha spiegato più volte che non vuole tornare alle grandi centrali, come in Francia, ma puntare sugli “small modular reactors”, il nucleare di 4/a generazione: in pratica, motori di sommergibili chiusi dentro cilindri di metallo, economici e facili da costruire e da gestire. Quattro moduli da 100 megawatt, installati insieme, forniscono l’elettricità di una centrale a gas. Secondo Pichetto, potrebbero essere direttamente i consorzi industriali a farsi la “loro” centrale. Ma i tempi per avere i piccoli reattori modulari, ha spiegato oggi il ministro, “sono 2, 3, 4 anni, il prodotto non c’è ancora.

Si parla di avere le condizioni di produzione di questi piccoli reattori alla fine di questo decennio. Vuol dire che in questa legislatura dobbiamo avere tutto a posto” dal punto di vista giuridico. Pichetto il 27 aprile ha incaricato il giurista Giovanni Guzzetta di di costituire un gruppo di lavoro per ridisegnare tutta la normativa sul nucleare in Italia, in vista del ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese. La questione non è secondaria.

Dopo l’abbandono del nucleare nel 1987, nel nostro Paese non c’è più una disciplina sulle autorizzazioni degli impianti e sul loro funzionamento. E non ci sono neppure le fondamentali normative sulla sicurezza. Senza leggi e regolamenti, non si possono riaprire le centrali. Il ceo di Newcleo, la principale società italiana per il nucleare, Stefano Buono, giorni fa fa ha dichiarato che “se il quadro normativo verrà stabilito rapidamente, potremmo prevedere di dispiegare i primi Small Modular Reactors in Italia entro il 2033”. Ma il rinnovo delle regole non è l’unico problema.

Gli italiani hanno detto no al nucleare due volte, con i referendum del 1987 e del 2011. Il governo sostiene che questi no non sono più validi, perché si riferiscono alle grandi centrali di 3/a generazione, e non agli small modular reactors. Ma l’opposizione all’atomo resta forte nel Paese: l’opposizione di sinistra è contraria, e così gli ambientalisti, convinti che il nucleare sia inutile e costoso, e che occorra invece puntare sulle rinnovabili. In caso di ritorno all’atomo, un nuovo referendum è un’ipotesi tutt’altro che improbabile, e dall’esito incerto. E poi c’è la questione del deposito nazionale delle scorie nucleari, mai realizzato da decenni, per le fortissime opposizioni popolari. Pichetto ha detto che punta a individuare il sito entro la legislatura, fra le 51 ipotesi individuate dalla Sogin (la società pubblica per lo smantellamento delle centrali), in Piemonte, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.

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Europee, nelle liste tanti soprannomi e troppi (20) giornalisti

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Non c’è solo “Giorgia”. Nelle liste per le europee i soprannomi o “detti” sono una valanga: si va da Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, detta “Letizia Moratti” (FI) a Domenico Lucano detto “Mimmo” (Avs), da Alessandro Cecchi Paone detto “Cecchi” o “Pavone” (Stati Uniti d’Europa), a Sergio De Caprio detto “Capitano Ultimo” detto “Capitano” e “Ultimo” (Libertà), fino allo scrittore Nicolai Verjbitkii conosciuto come Nicolai Lilin e così segnato nelle liste Pace, Terra, Dignità. Nelle liste dei papabili per l’Europarlamento compaiono una ventina di giornalisti, in particolare nel centrosinistra. FdI oltre a Giorgia Meloni detta “Giorgia”, schiera anche Piergiacomo Sibiano detto “Piga” e Salvatore Deidda detto “Sasso”.

Forza Italia e Noi Moderati candidano, tra gli altri, Antonio Cenini detto “Cenno”, Francesca Salatiello detta “Fra” e – dulcis in fundo – Edmondo Tamajo, detto “Tamaio”, ma anche “Di Maio”, “Edy”, “Edi” o ancora “Eddy”. Talvolta i soprannomi privilegiano la brevità, come nel caso di Suad Omar Sheikh Esahaq, candidata da Avs e detta “Su”. Altre volte prevengono possibili errori di scrittura, come per Giuliana Fiertler, detta “Firtler”, sempre in lista con Alleanza Verdi Sinistra. Tra i candidati di Stati Uniti d’Europa, ci sono: la senatrice Raffaella Paita detta “Lella”, Muharem Saljihu detto “Marco”, Gerardo Stefanelli, detto “Stefano”, e Alessandrina Lonardo Mastella detta “Sandra Mastella” (la moglie di Clemente).

Azione di Carlo Calenda schiera, tra gli altri, Gianni Palazzolo detto “Giangiacomo”, il M5s Giusy Esposito che diventa “Giusi” e Daniela Gobbo che si trasforma in “Daniela Varedo”. Nel Pd la prima a segnarsi anche con un altro nome – quello con cui è conosciuta ai più – è la segretaria, Elena Ethel Schlein detta “Elly”. Oltre a lei, anche Brando Maria Benifei, “Brando” o “Bonifei”, Marco Pacciotti detto “Paciotti” o “Marco” e Giuseppina Picierno detta “Pina”. La Lega presenta Susanna Ceccardi detta “Susanna” o “Susi” e Claudio Borghi detto “Borghi Aquilini”.

Gran parte dei giornalisti che competono per l’Europarlamento sta nelle liste del centrosinistra. In Pace, Terra, Dignità, oltre al promotore Michele Santoro, compare il vignettista Vauro Senesi detto “Vauro”, Raniero La Valle, che negli anni Sessanta fu direttore dell’Avvenire d’Italia e Fiammetta Cucurnia (ex Repubblica). Il Pd schiera la nota giornalista Lucia Annunziata, l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Sandro Ruotolo, Donatella Alfonso, Teresa Bartoli e Lidia Tilotta. Nelle liste Stati Uniti d’Europa compaiono: Eric Jozsef, corrispondente di Libération, Alessandro Cecchi Paone e Marco Taradash. Con Avs ci sono diversi freelance, con Azione di Carlo Calenda la giornalista ucraina Nataliya Kudryk. Il M5s presenta Gaetano Pedullà, che per la corsa a Bruxelles ha lasciato la direzione de La Notizia.

Tra i candidati di Forza Italia-Noi Moderati, compare la freelance Laura D’Incalci, in quelle della Lega il giornalista campano Luigi Barone. Anche in Fratelli d’Italia alcuni candidati hanno avuto esperienze giornalistiche, ma mai come attività primaria. Sfogliando le liste ci si imbatte anche in strane omonimie e cognomi illustri. Il primo è il caso Roberto Mancini, che non è l’ex allenatore della nazionale ma un candidato di Pace, Terra, Dignità. Il secondo è quello di Giovanna Giolitti, pronipote dello statista Giovanni Giolitti, che corre con FdI. Il partito di Meloni presenta anche Vincenzo Sofo, europarlamentare passato dalla Lega a Fratelli d’Italia e sposato con Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen.

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