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L’Africa e la cintura della vulnerabilità epidemica

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Nel giro di un giorno si lacerano tessiture di anni. Guardate l’Europa, in quali strozzature finiscono molti decenni di fatica per costruire l’Unione. La “prova dei fatti” ci mette di fronte alla devastante potenza degli interessi nazionali che, a quanto pare, riescono a vedere non molto più in là del proprio ombelico. Fino a ieri all’ombelico si arrestava la migrazione, di cui non si parla più. Oggi, all’ombelico si ferma l’epidemia.

 L’Italia sta giocando la sua temibile partita contro un roccioso asse franco-tedesco che si fa schermo di una insignificante Olanda.  Stiamo tutti scrutando gli incerti territori della “Fase 2” con un tulipano in mano. Chi ha tempo, in Occidente, per occuparsi dell’Africa? Eppure l’Africa brucerà presto, forse. A Kinshasa, a Nairobi, a Maputo, città sterminate, ognuno è solo: non ancora con la sua malattia, ma certo con il suo terrore. Nessuno entra, nessuno esce dall’Uganda, dal Malawi, dal Congo. Il fatto è che l’Africa subsahariana è il cuore fragile della vulnerabilità epidemica di questo pianeta. Lo dicono gli studi degli africanisti, l’esperienza dei missionari, dei volontari, delle organizzazioni umanitarie. Lo dice il report della Rand (“Identifying future disease hot spots”) che nel 2016 cartografa alla scala mondiale l’IDVI, l’indice di vulnerabilità epidemica. Osservate la mappa: i Paesi più esposti alle epidemie sono lì. Sui 25 Paesi più vulnerabili, 22 si trovano a Sud del Sahara: gli altri sono Haiti, l’Afghanistan e lo Yemen. Come dite? I più “resilienti”, come li chiama la Rand? Manco a dirlo! Dei primi 5, ben tre sono scandinavi: Norvegia, saldamente in testa, Finlandia, Svezia. Completano il quintetto il Canada e la Germania. Se consideriamo i primi 25 Paesi più forti, alcuni dati colpiscono. Uno tra tutti: l’Italia è l’ultimo tra i Paesi del plotone di testa. L’ultimo! Non è del tutto vero, dunque, che non si sapeva, che non si poteva sapere…. 

Africa. Cina sempre più radicata nell’economia africana, spesso leader africani vengono accolti a Pechino da Xi Jinping

          Nella cintura della vulnerabilità epidemica il lessico che noi “del Nord”, come si dice, abbiamo inventato per descrivere la lotta a Covid 19 non vale: tampone, quarantena, rianimazione, immuno-modulanti, antiretrovirali, e cose così. Covid è dappertutto a Sud del Sahara: ma nessuno ne parla, nessuno analizza, nessuno pianifica. E se nessuno se ne preoccupa ora, nessuno se ne occuperà, giunto il momento. Sulle nostre teste pioveranno miliardi, ci dicono: 50, poi 100, addirittura 1.000 e oggi abbiamo perso il conto, stando a quel che assicura Donald Trump per gli Stati Uniti; quelli promessi dalla BCE per bocca della maldestra Cristine Lagarde all’Europa, giusto per cominciare; quelli vagheggiati da Ursula Von der Leyen; quelli indicati (e speriamo presto stanziati) dal nostro governo; i non so quanti indicati dalla Cancelliera Angela Merkel. Persino il convertito Boris Johnson, in via di guarigione, scucirà fior di sterline per l’orgogliosa Britannia, che contava di fare, ancora una volta, l’originale. 

          In Africa le cose stanno in altro modo. Le organizzazioni umanitarie, le agenzie dell’ONU si sono date molto da fare nei mesi scorsi per reperire risorse che poi hanno investito per fronteggiare Ebola. Ora tale virus sembra acquietarsi, mentre arriva quest’altro microrganismo: diverso, pur se anch’esso ottuso, monocellulare, replicativo. Ma non ci sono più fondi per tentare di arginarlo. E i donors, oggi, hanno altro a cui pensare. Certo, la Cina non perde tempo. Già massicciamente presente, rafforza il suo profilo di nume tutelare del Continente. Dispensa dichiarazioni retoriche: “penseremo noi a voi”! Stanzia qualche fondo, annuncia la pianificazione di strutture sanitarie, invia qualche équipe medica. Niente assistenza farmacologica o strumentale, impossibilità di applicare anche le misure più elementari di sanità pubblica, di confinamento, di distanziamento sociale. Lavatevi le mani, si dice nei Paesi saheliani, dove l’accesso all’acqua è un miraggio. In Sudafrica si sparge il seme cattivo del sospetto reciproco, della delazione. Lungo il Golfo di Guinea, in Benin, riemergono le antiche pratiche wudù, i rituali di protezione. Si registrano fenomeni di panico. L’intolleranza monta: in Sud Sudan il paziente “zero”, scoperto domenica scorsa, è una cooperante olandese, sicché a Giuba lo straniero, il bianco, comincia a non essere più chiamato con l’abituale “khawaja”, ma direttamente segnato come “corona”. A ciascuno il suo untore?     

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‘Da banche Occidente in Russia 800 mln euro in tasse a Cremlino’

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Le maggiori banche occidentali che sono rimaste in Russia hanno pagato lo scorso anno più di 800 milioni di euro in tasse al Cremlino, una cifra quattro volte superiore ai livelli pre-guerra. Lo riporta il Financial Times sottolineando che le imposte pagate, pari allo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia per il 2024, sono un esempio di come le aziende straniere che restano nel Paese aiutano il Cremlino a mantenere la stabilità finanziaria nonostante le sanzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano, “le maggiori sette banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, OTP e Intesa Sanpaolo – hanno riportato profitti totali per oltre tre miliardi di euro nel 2023. Questi profitti sono stati tre volte maggiori rispetto al 2021 e in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese”.

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Sindaco Istanbul Ekrem Imamoglu contro Erdogan: Hamas è un gruppo terroristico

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Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, definisce Hamas “un gruppo terroristico” e afferma che la Turchia è stata “profondamente rattristata” dal massacro del 7 ottobre. Intervistato dalla Cnn, il primo cittadino della metropoli turca spiega che “qualsiasi struttura organizzata che compie atti terroristici e uccide persone in massa è da noi considerata un’organizzazione terroristica”, aggiungendo però che crimini simili stanno colpendo i palestinesi e invita Israele a porre fine alla sua guerra contro Hamas.

Il governo turco di Erdogan sostiene apertamente Hamas, ha duramente criticato l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Il leader turco ha paragonato le tattiche del primo ministro Benyamin Netanyahu a quelle di Adolf Hitler e ha definito Israele uno “stato terrorista” a causa della sua offensiva contro Hamas a Gaza.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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