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Mattarella alla cerimonia per ricordare i magistrati uccisi dalle mafie: riforma Csm rimuova prassi inaccettabili

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“E’ necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacita’ individuali”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella parlando della riforma del Csm dal Quirinale.

La dialettica fra posizioni diverse, il cui valore e’ indiscutibile, come espressione di pluralismo, rappresenta una ricchezza per le nostre istituzioni. Questa dialettica diventa deleteria allorquando le differenze si traducono in contrapposizioni sganciate dai valori costituzionali di riferimento poiche’ fanno perdere di vista l’interesse comune ad avere una giurisdizione qualificata e indipendente. Appare davvero necessario un “rinnovamento culturale per rigenerare valori” come pure e’ stato scritto nei giorni scorsi”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella in una cerimonia per gli anniversari dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Giudo Galli, Mario Amato, Gaetano Costa e Rosario Livatino.

 

Di seguito l’ntervento del Presidente della Repubblica Sergio Matterella in occasione della cerimonia commemorativa del quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato e Gaetano Costa e del trentennale dell’omicidio di Rosario Livatino

Rivolgo un saluto cordiale al Ministro, al Consiglio Superiore e al suo Vice Presidente, al Consiglio direttivo della Scuola Superiore e al suo Presidente con gli auguri per il così importante compito loro affidato per il prossimo quadriennio.

Rivolgo anche un augurio anche al professor Donati, eletto Presidente della Rete europea dei Consigli di giustizia.

Un saluto al Presidente e al Procuratore della Cassazione.

In quest’anno – così difficile per la Magistratura italiana – cade il quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa, e il trentennale dell’assassinio di Rosario Livatino.

Abbiamo visto con commozione nel filmato i servizi dell’epoca, di quei giorni: magistrati che hanno perso la vita a causa del loro impegno nel contrasto alla violenza terroristica e mafiosa.  

Ai familiari oggi presenti rivolgo un saluto deferente, ringraziandoli per essere venuti: la loro presenza onora e rende più significativo questo momento e questo incontro. A tutti i familiari esprimo la riconoscenza della Repubblica per il servizio esemplare che queste figure di magistrati hanno reso per la salvaguardia della nostra società e delle sue istituzioni democratiche.

L’identità della nostra Repubblica è stata drammaticamente segnata dagli anni del terrorismo, per sconfiggere il quale l’Ordine Giudiziario ha fornito un contributo decisivo, così come – a tutt’oggi – accade per il contrasto alla criminalità mafiosa, duramente perseguita dall’azione decisa della Magistratura e delle Forze dell’Ordine.

Girolamo Minervini e Nicola Giacumbi furono uccisi perché simbolo dello Stato democratico e inclusivo, che per risolvere i conflitti segue i principi della Costituzione, secondo le regole proprie dello Stato di diritto.

Guido Galli e Mario Amato vennero colpiti per reagire alle inchieste giudiziarie condotte, contro il terrorismo rosso e contro quello nero, con coraggiosa imparzialità e assoluta sobrietà.

Gaetano Costa e Rosario Livatino furono vilmente assassinati, a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, per l’impegno da loro profuso costantemente nel contrastare la criminalità mafiosa con coraggio, con determinazione e con efficacia.

Onoriamo la memoria di questi valorosi magistrati – che, come tanti altri, hanno dolorosamente punteggiato la nobile storia della Magistratura italiana – per come hanno vissuto e interpretato la funzione loro affidata al servizio della giustizia e del Paese. Erano consapevoli dei rischi cui erano esposti e li hanno coraggiosamente affrontati per rispetto della dignità propria e di quella del loro compito di magistrati. Hanno svolto la loro attività, con coraggiosa coerenza e autentico rigore, senza rincorrere consenso ma applicando la legge. Fedeli soltanto alla Costituzione.

È questa l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato a tutela della democrazia su cui si fonda la nostra Repubblica.

Vorrei sottolineare – con lo sguardo virtualmente rivolto ai giovani magistrati che ci seguono in streaming – che si tratta dell’unica fedeltà cui attenersi e alla quale sentirsi vincolati.

Quest’anno salutiamo l’avvio del nuovo quadriennio della Scuola Superiore qui, al Quirinale, anziché a Scandicci.

La scelta di questa diversa modalità, determinata dalle misure di contrasto alla diffusione del virus, consente comunque di recuperare il senso di una riflessione sui percorsi formativi che la Magistratura deve, necessariamente, assicurare affinché i fondamentali valori dell’autonomia e dell’indipendenza trovino oggi, come nel passato, piena attuazione.

La Scuola Superiore, particolarmente in questo momento, assume un ruolo decisivo per la formazione etica e professionale dei magistrati. Appare, pertanto, necessario che dedichi sessioni di studio apposite ai doveri di correttezza e trasparenza nell’esercizio delle funzioni giudiziarie; affinché siano tradotti nei comportamenti a cui è tenuto ciascun magistrato, non soltanto nello svolgimento dell’attività giudiziaria ma anche nel servizio reso negli organi di governo autonomo.

Va espresso apprezzamento per l’attività che la Scuola compie anche per diffondere e promuovere il dibattito sull’evoluzione giurisprudenziale, che riveste valore imprescindibile per l’ordinamento, purché essa sia il frutto di un percorso di meditata serietà nell’approfondimento e di ponderazione nelle scelte. Ad esso sono estranee estemporaneità e avventatezza.

In un momento complesso come quello che la nostra società sta vivendo, avverto il dovere di sottolineare che la coerenza giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme rafforza la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, giacché dà attuazione al principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 della nostra Costituzione, assicurando la parità di trattamento tra casi simili. Occorre, infatti, aver ben chiaro il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio e dalla ricerca della pura originalità nella creazione della regola, che determinano spesso un disorientamento pericoloso dovuto all’imprevedibilità della risposta giudiziaria.

I nostri cittadini hanno diritto a poter contare sulla certezza del diritto e sulla prevedibilità della sua applicazione rispetto ai loro comportamenti. Questo vale – a partire, naturalmente, anzitutto dalle scelte del Legislatore e fino all’attività di interpretazione – per la giustizia civile come per quella penale, per quella amministrativa come per quella contabile: non possono essere costruite ex post fattispecie e regole di comportamento.

Va precisato, a questo riguardo, che la puntualità e la chiarezza delle fattispecie e della loro interpretazione, lungi dal ridurre, accrescono il rigore e l’efficacia della giustizia.

Più volte, nel corso del tempo, è stato ricordato come l’alto livello di preparazione professionale rappresenti elemento portante su cui si regge l’indipendenza dell’Ordine Giudiziario. L’elevata professionalità consolida la legittimazione della Magistratura e dell’attività da essa posta in essere, in ogni ufficio giudiziario.

Nel nostro Paese – come in ogni altro – c’è costantemente bisogno di garantire il rispetto della legalità. Anche per questo la Magistratura deve necessariamente impegnarsi a recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini, così gravemente messe in dubbio da recenti fatti di cronaca.

In amaro contrasto con l’alto livello morale delle figure che oggi ricordiamo.

La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia – la cui rilevanza va valutata nelle sedi proprie previste dalla legge – sembra presentare l’immagine di una Magistratura china su se stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi.

Questo fenomeno si era disvelato nel momento in cui il CSM è stato chiamato, un anno addietro, ad affrontare quanto già allora emerso. Quel che è apparso ulteriormente fornisce la percezione della vastità del fenomeno allora denunziato; e fa intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione sviluppatasi intorno ai criteri e alle decisioni di vari adempimenti nel governo autonomo della Magistratura.

Sono certo che queste logiche non appartengono alla Magistratura nel suo insieme, che rappresenta un Ordine impegnato nella quotidiana elaborazione della risposta di giustizia rispetto a una domanda che diventa sempre più pressante e complessa.

Desidero sottolineare, anche in questa circostanza, che a portare allo scoperto le vicende, che provocano così grave sconcerto nella pubblica opinione, è stata un’azione della Magistratura, che ha svolto la propria funzione senza esitazioni o remore di alcun tipo.

La stragrande maggioranza dei magistrati è estranea alla “modestia etica” – di cui è stato scritto nei giorni scorsi – emersa da conversazioni pubblicate su alcuni giornali e oggetto di ampio dibattito nella pubblica opinione. E, anche per questo, non si può ignorare il rischio che alcuni attacchi alla Magistratura nella sua interezza siano, in realtà, strumentalmente svolti a porne in discussione l’irrinunciabile indipendenza.

Indipendenza che ho, per dovere costituzionale a me affidato, il compito di tutelare con determinazione.

Non può essere, però, in alcun modo, sottovalutato che queste vicende hanno gravemente minato il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine Giudiziario, la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono – ripeto – indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica.

Anche in questa occasione va ricordato che l’indipendenza e la totale autonomia dell’Ordine Giudiziario sono affermati nelle norme della Costituzione ma trovano il loro presidio nella coscienza dei nostri concittadini; e questo presidio, oggi, appare fortemente indebolito.

Rinvigorirlo spetta soprattutto ai magistrati, a ciascuno di essi, sul piano sia dell’impegno professionale sia dei comportamenti personali.

La limpidezza del modo di agire anche nella vita associativa, e la credibilità in tutte le decisioni che riguardano il Consiglio Superiore – dalle nomine agli avanzamenti, ai provvedimenti disciplinari e, prima ancora, alle candidature al Consiglio – costituiscono per i cittadini un metro di valutazione della trasparenza e della credibilità anche delle decisioni assunte dalla Magistratura nel rendere giustizia.

Tornano con grande forza le parole – che poc’anzi il Vice Presidente Ermini ha ricordato – di Rosario Livatino: la limpidezza è un elemento essenziale per la vita dell’ordine giudiziario.

Questo è il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile.

E’ indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati.

Come per qualunque settore di impegno collettivo, appartiene alla normalità la varietà delle prospettive e delle posizioni sui temi della organizzazione della giustizia e sul valore della giurisdizione.

La dialettica fra posizioni diverse, il cui valore è indiscutibile, come espressione di pluralismo culturale, rappresenta una ricchezza per le nostre istituzioni.

Questa dialettica diventa, tuttavia, deleteria allorquando le differenze si traducono in contrapposizioni sganciate dai valori costituzionali di riferimento poiché fanno perdere di vista l’interesse comune ad avere una giurisdizione qualificata e indipendente. Appare davvero necessario un “rinnovamento culturale per rigenerare valori” come pure è stato scritto nei giorni scorsi.

Il compito primario assegnato dalla Costituzione al C.S.M. impone, in modo categorico, che si prescinda dai legami personali, politici o delle rispettive aggregazioni, in vista del dovere di governare l’organizzazione della Magistratura nell’interesse generale.

Sono state preannunciate modifiche normative che dovranno necessariamente articolarsi lungo il tracciato delineato della Costituzione. Indipendenza e autonomia dell’Ordine Giudiziario sono principi fondamentali, – ripeto – irrinunziabili per la Repubblica. E di ciò andrà tenuto conto.

È necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali.

Occorre altresì recuperare la consapevolezza che fra i doveri di ciascun magistrato rientra l’attiva partecipazione al governo autonomo della Magistratura in ogni sua articolazione.

Tutto questo si inserisce nell’ambito della doverosa responsabilità nell’esercizio di pubbliche funzioni, nel rispetto rigoroso dei principi e delle regole della Costituzione.

A questo riguardo – ad esempio – si odono talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell’altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione ai diversi organi costituzionali; e senza tener conto di essi.

In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente della Repubblica difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione.

Il Presidente eletto dal primo Parlamento repubblicano – Luigi Einaudi – ebbe a dichiarare che intendeva lasciare al suo successore “immuni da ogni incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”: non intendeva cioè trasmettere una sfera di compiti e poteri inferiore a quella affidatagli dalla Costituzione.

Sono stato, e rimango, costantemente attento a quell’aspetto e – in base al medesimo criterio – ho ritenuto, e ritengo, di avere il dovere di non pretendere di ampliare quella sfera al di fuori di quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge.

Non esistono motivazioni contingenti che possano giustificare l’alterazione della attribuzione dei compiti operata dalla Costituzione: qualunque arbitrio compiuto in nome di presunte buone ragioni aprirebbe la strada ad altri arbitri, per cattive ragioni.

Vorrei ribadire che la dialettica proficua tra i poteri si esprime in confronto necessariamente collaborativo. Gli ambiti rispettivi di spettanza non sono recinti da contrapporre gli uni agli altri e di cui cercare di erodere i confini, sottraendo spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione.

Si tratta di un principio basilare nel sistema costituzionale, insito nelle regole fondamentali della democrazia. Non vi è spirito di corpo o desiderio di affermare il ruolo e l’influenza del potere che si impersona, o di cui si fa parte, che possa giustificare queste distorsioni.

Questo vale costantemente, per tutti e per ciascuno.

Ci troviamo in una fase in cui l’Italia è chiamata a un impegno corale di ripresa, dopo la drammatica emergenza della pandemia – tuttora presente – e le sue conseguenze, di salute, economiche e sociali.

All’intera società è richiesto il rispetto di un’etica civile che chiama tutti alla responsabilità: ogni cittadino, ogni istituzione, ogni settore sociale.

A tutti e a ciascuno è richiesto il coraggio di abbandonare atteggiamenti fondati su prospettive limitate, di corto respiro, che, distorcendo la vita delle istituzioni, rischiano di delegittimarle.

È un dovere istituzionale che grava su ciascuno.

E che non può essere eluso.

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Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Politica

Mattarella: sull’antifascismo unità del popolo è doverosa

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Un regime “disumano” che “negava l’innegabile” attraverso una strettissima censura dei giornali, che “non conosceva la pietà”, che educava i bambini “all’obbedienza cieca ed assoluta”. Un regime, quello fascista, “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che “ci consideravano un popolo inferiore”. Sergio Mattarella si spende il suo 25 aprile per una contundente lezione di storia che non lascia alcuno spazio ai revisionismi. Il presidente della repubblica ha scelto la cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un “gravissimo crimine di guerra”.

Mentre le piazze italiane ospitavano tra le tensioni una serie di manifestazioni nelle quali il ricordo del nazifascismo si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il capo dello Stato almanaccava gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della repubblica di Salò, “il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler”. Una serie potente di ricordi e citazioni per chiudere la porta, evidentemente Mattarella ne sentiva la necessità anche in questo turbolento 2024, a quei venticelli che soffiano distinguo e giustificazioni da e verso i palazzi della politica, quasi a voler mettere sullo stesso piano chi combattè per la libertà e chi quella libertà l’aveva svenduta ai nazisti. Un discorso tutto teso quindi alla “memoria” senza la quale, ha sottolineato, “non c’è futuro”.

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della “liberazione” che non è una festa della “libertà” genericamente intesa. C’è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti. “L’antifascismo” dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. La costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola “antifascista”, peraltro “fondanti” della stessa Costituzione. “Intorno all’antifascismo – ha spiegato il presidente – è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.

Se l’anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto ed altamente simbolica, “ora e sempre Resistenza!”, dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del “riscatto morale” che rimise in piedi l’Italia: “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità.

La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l’uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell’omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perchè già allora il fascismo svelò “i suoi veri tratti brutali e disumani”.

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Politica

Vannacci, il parà sospeso si lancia in politica

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Per la Difesa ha mostrato “carenza del senso di responsabilità” e compromesso “il prestigio e la reputazione dell’Amministrazione di appartenenza”. Secondo Matteo Salvini è invece il nome buono da spendere alle Elezioni europee di giugno. Roberto Vannacci fa il suo 25 aprile e si libera dagli indugi, accettando la candidatura della Lega. Si apre così la prospettiva di una terza vita per il generale – sospeso dal servizio dallo scorso 28 febbraio – dopo quella in divisa e la carriera da scrittore: lotterà per affermare “i valori di Patria, tradizioni, famiglia, sovranità e identità” nelle aule di Strasburgo e Bruxelles.

Con l’annuncio di oggi si chiude quindi la lunga telenovela – “mi candido/non mi candido” – durata svariati mesi. Vannacci, toscano, 56 anni, 37 passati in divisa con il basco amaranto dei parà, al suo attivo missioni in teatri ad alto rischio come la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq, è diventato un personaggio appetibile per la politica nell’agosto scorso, con la pubblicazione del suo libro autoprodotto, ‘Il mondo al contrario’, caso letterario da oltre 200mila copie sull’onda delle polemiche per alcuni controversi passaggi: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!”, i gay pride sono dominati da “sconcezze, stravaganze, blasfemie e turpitudini”, “se pianto la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce – ammazzandolo – perché dovrei rischiare di essere condannato per eccesso colposo di legittima difesa visto che il povero malcapitato tentava solo di rubarmi l’orologio da polso?”. E ancora, il ricordo della sua curiosità nel 1975 a Parigi per le persone di colore: “nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra”.

Concetti che hanno scatenato l’ostilità da parte del centrosinistra, ma anche stima e apprezzamento da parte di Salvini. Il best seller ha anche attirato l’attenzione del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha convocato il generale per contestargli le “farneticazioni personali” che “screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione”. E’ partita quindi un’inchiesta disciplinare che si è conclusa nel febbraio scorso con la sospensione in servizio per 11 mesi. Da militare può candidarsi dopo aver chiesto una licenza, ma al momento è sospeso, dunque può evitarlo. Se sarà eletto dovrà chiedere l’aspettativa.

Per Vannacci – molto attivo sui social, nel suo profilo Facebook un’immagine di Corto Maltese sdraiato a guardare il cielo – ci sono anche guai giudiziari: deve rispondere infatti delle accuse di peculato e truffa, in relazione alle spese sostenute nel suo periodo da addetto militare italiano a Mosca, tra il 2021 ed il 2022. Tutti ‘contrattempi’ che non hanno impedito all’ufficiale di lavorare alacremente alla sua seconda fatica letteraria, ‘Il coraggio vince’, uscita a marzo e promossa con un lungo tour che ha toccato diverse regioni. L’ultima polemica, durante una delle sue ultime uscite promozionali, proprio sul 25 aprile: “non scendo in piazza, me ne vado al mare con le mie figlie. Non mi dichiaro antifascista perché sono cose successe ottanta anni fa”. Per il generale è comunque una data da ricordare: quella della sua discesa in campo da politico.

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