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Politica

Conte archivia il caso Autostrade e vuole correre: ma servono subito i soldi Ue per far ripartire l’Italia

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“Non e’ il tempo dei rinvii ma delle decisioni”. Dopo aver chiuso, almeno per ora, il dossier Autostrade, il premier Giuseppe Conte vuole “correre”. Davanti a se’ ha il grande scoglio di un difficilissimo Consiglio europeo, nel quale si battera’ perche’ non venga ridimensionato il Recovery fund, che con un bagaglio di fondi fino a 172 miliardi darebbe ossigeno a un’economia col Pil in picchiata e a un governo a caccia di risorse. “Stiamo affilando le armi…”, scherza prima di partire con Bruxelles. Ma anche a Roma non c’e’ pace. La partita per la leadership del M5s e un Matteo Renzi battagliero tengono sulle spine la maggioranza. Nicola Zingaretti lavora per blindare il governo e il progetto politico di un asse Pd-M5s. Ma ogni nuovo passaggio e’ rischioso: i gruppi non sono blindati, i pentastellati sono balcanizzati ma anche tra i Dem c’e’ qualche malcontento, percio’ – avvertono al Senato – l’incidente parlamentare e’ dietro l’angolo. “Per blindare il governo adesso servirebbe un rimpasto. Subito se all’election day di settembre il centrodestra vincesse, ci sarebbe troppa fibrillazione per affrontare quel passaggio”, dice una fonte qualificata del M5s. Il premier finora ha sempre negato un cambio di squadra e anche fonti di governo Pd frenano. L’attenzione dei Dem e’ piu’ concentrata sui prossimi appuntamenti parlamentari e i rischi di non reggere le prove d’Aula, come dimostrano i numeri traballanti sul decreto missioni. A impensierire la maggioranza sono il voto sul Mes e il nuovo scostamento di bilancio, da votare entro fine mese. Per entrambi serve la maggioranza assoluta: un dettaglio non banale nell’Aula di Palazzo Madama, dove la fiducia sul decreto rilancio passa con 159 voti (due sotto quella soglia). Ecco perche’ dal Senato avevano suggerito a Conte di rinviare, spostare il voto sullo scostamento, che autorizzera’ un altro decreto in deficit tra i 10 e i 20 miliardi, a settembre. Ma rinviare, dicono fonti governative sia del Pd che del M5s, non si puo’: bisogna rifinanziare la cassa integrazione, dare soldi ai Comuni, mettere un miliardo sulla scuola in vista della riapertura a settembre. Il Consiglio dei ministri dovrebbe chiedere il nuovo scostamento entro la prossima settimana, poi stara’ ai gruppi (che hanno rinviato la partita delle presidenze di commissione anche per evitare che malcontenti si riversino sul voto in Aula) precettare tutti i senatori perche’ ogni assenza puo’ pesare. Il nodo piu’ politico e’ invece il Mes. Su questo dossier potrebbe giocarsi infatti una sfida che riguarda anche la leadership del M5s. C’e’ chi ritiene che il fine partita su Autostrade gradito alla gran parte dei Cinque stelle possa ammorbidire una parte dei pentastellati sul fondo Salva Stati. Ma fonti parlamentari M5s assicurano che sia alla Camera che al Senato c’e’ una pattuglia di irriducibili per il “No”: per far passare il fondo Salva Stati Forza Italia potrebbe essere determinante, con evidenti ricadute politiche sulla maggioranza. Ed e’ questo dato a rendere la sfida che Conte si gioca questo weekend in Europa ancor piu’ cruciale. Prima di partire il premier elenca i dossier condotti a termine ultimamente, dal decreto semplificazioni, “stasera in Gazzetta ufficiale”, ad Alitalia e Ilva, che si chiudera’ “presto”. Ma senza un’intesa in Europa non sara’ possibile quel “rilancio” che puo’ camminare solo sulle gambe di miliardi di fondi europei, che finanzino “investimenti e digitalizzazione”. Il premier punta a non vedersi ridurre le risorse o imporre regole capestro, perche’ solo cosi’ puo’ rendere non essenziali i fondi del Mes, che secondo Pd e Iv andrebbero richiesti al piu’ presto. Per Conte e’ imperativo tornare vincitore da Bruxelles, per rafforzarsi. Luigi Di Maio smentisce gli attriti: c’e’ un “rapporto di leale e trasparente collaborazione”. Ma non e’ un segreto che non piaccia a gran parte del M5s, ministro incluso, il progetto che il premier, come Zingaretti, porta avanti, per rendere strutturale l’alleanza giallorossa. Il segretario Pd in maniera speculare a Conte rivendica i risultati ottenuti e i prossimi dossier da affrontare (Ilva e scuola, dice il segretario Pd). Meno soddisfatto e’ Matteo Renzi che critica l’accordo su Aspi e all’asse Pd-5s si oppone, criticando la scelta dei Dem di non votare la mozione Bonino sul Mes al Senato e di appoggiare con i Cinque stelle Ferruccio Sansa in Liguria: “Il continuo slittamento del Pd sulle posizioni grilline va rispettato, ma un po’ dispiace”, afferma. L’appuntamento cui tutti guardano e’ l’election day del 20 settembre. Si cerca ancora un’intesa nelle Marche e in Puglia (ma una parte del Movimento sulla regione di Emiliano e di Conte frena). Da una vittoria del centrodestra o dei giallorossi passano gli equilibri futuri. E passa anche quel rimpasto che fino a oggi Conte ha negato ma potrebbe essere essenziale per affrontare un autunno che la ministra Luciana Lamorgese ha gia’ annunciato come assai caldo.

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Politica

Piantedosi: io governatore in Campania? Assolutamente no

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“No, assolutamente no” risponde il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ai cronisti che gli chiedono se il botta e risposta andato in scena stasera a Napoli con il governatore campano Vincenzo De Luca non possa considerarsi il prologo di una prossima campagna elettorale per il ruolo di governatore campano dopo che nei giorni scorsi il nome del titolare del Viminale è circolato sui media, sponsorizzato da esponenti locali della Lega. “Se volete vado dal notaio. Io sono contentissimo – sottolinea Piantedosi – di fare il ministro dell’Interno, e potete immaginare come per me che vengo da una carriera nell’amministrazione statale, dopo aver fatto il prefetto, se non è questo il massimo della soddisfazione. Con tutto il rispetto per altri ruoli – ha ribadito – ma assolutamente no”.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Politica

Mattarella: sull’antifascismo unità del popolo è doverosa

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Un regime “disumano” che “negava l’innegabile” attraverso una strettissima censura dei giornali, che “non conosceva la pietà”, che educava i bambini “all’obbedienza cieca ed assoluta”. Un regime, quello fascista, “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che “ci consideravano un popolo inferiore”. Sergio Mattarella si spende il suo 25 aprile per una contundente lezione di storia che non lascia alcuno spazio ai revisionismi. Il presidente della repubblica ha scelto la cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un “gravissimo crimine di guerra”.

Mentre le piazze italiane ospitavano tra le tensioni una serie di manifestazioni nelle quali il ricordo del nazifascismo si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il capo dello Stato almanaccava gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della repubblica di Salò, “il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler”. Una serie potente di ricordi e citazioni per chiudere la porta, evidentemente Mattarella ne sentiva la necessità anche in questo turbolento 2024, a quei venticelli che soffiano distinguo e giustificazioni da e verso i palazzi della politica, quasi a voler mettere sullo stesso piano chi combattè per la libertà e chi quella libertà l’aveva svenduta ai nazisti. Un discorso tutto teso quindi alla “memoria” senza la quale, ha sottolineato, “non c’è futuro”.

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della “liberazione” che non è una festa della “libertà” genericamente intesa. C’è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti. “L’antifascismo” dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. La costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola “antifascista”, peraltro “fondanti” della stessa Costituzione. “Intorno all’antifascismo – ha spiegato il presidente – è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.

Se l’anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto ed altamente simbolica, “ora e sempre Resistenza!”, dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del “riscatto morale” che rimise in piedi l’Italia: “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità.

La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l’uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell’omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perchè già allora il fascismo svelò “i suoi veri tratti brutali e disumani”.

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