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Vittime innocenti dei Casalesi, il sindaco di Casal di Principe: lo Stato aiuti persone come Augusto Di Meo e Genovese Pagliuca

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“Situazioni come quelle di Genovese Pagliuca, di cui ha parlato anche Roberto Saviano nel programma Insider, dimostrano come lo Stato Italiano sia stato poco attento negli anni. E’ una questione di giustizia riconoscere come vittime innocenti Pagliuca, ma anche Augusto Di Meo, testimone del delitto di don Peppe Diana, e tante altre persone uccise senza colpa dai clan, ma che lo Stato non riconosce come tali; credo sia doveroso, e lo Stato deve farsene carico una volta per tutte cambiando la normativa o rifinanziando il fondo per le vittime con i soldi del Pnrr o con quelli confiscati ai clan”. E’ quanto afferma il sindaco di Casal di Principe (Caserta) Renato Natale, in carica dal 2014 (rieletto nel 2019), protagonista della rinascita civile e sociale di una citta’ che fino ad una decina di anni fa era nota solo come la roccaforte del “clan dei casalesi”; “io li chiamerei il clan dei ‘falsi casalesi’ – aggiunge Natale – perche’ Casal di Principe ha dimostrato di avere gli anticorpi e la volonta’ di superare quei tempi, basta pensare alla rete di cooperazione sociale; bisogna avere la guardia alta ma oggi a Casal di Principe si respira un’aria diversa”. Ma la vera “piaga aperta” ereditata dal periodo in cui le famiglie Bidognetti e Schiavone comandavano, e’ quelle delle vittime innocenti della criminalita’ organizzata riconosciute come estranee alla camorra da sentenze giudiziarie, ma non dall’apparato burocratico statale, segnatamente dal Ministero dell’Interno, che per interpretazioni normative spesso restrittive e poco aderenti alla realta’, ha escluso da benefici economici dovuti i familiari di parecchie vittime, residenti soprattutto in quei comuni in cui operava il clan (Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Casapesenna); persone che dunque hanno perso padri, figli e fratelli che nulla centravano con la camorra, e hanno avuto il doppio choc di vedersi trattare quasi come criminali dallo Stato. Genovese Pagliuca fu ucciso perche’ si era messo contro Angela Barra, amante del boss Francesco Bidognetti e camorrista anch’essa, che si era invaghita della fidanzata di Genovese tanto da sequestrarla e tenerla segregata, per poterla violentare a piacimento, per 34 giorni. La ragazza si libero’ e corse da Genovese.

Nella sentenza delle Corte d’Appello di Napoli che ha condannato i responsabili del delitto, i giudici scrivono che “il Pagliuca non solo aveva dato fastidio alla Barra, ma aveva osato tenere testa a potenti esponenti della camorra”, eppure il Ministero dell’Interno non ha riconosciuto Pagliuca come vittima innocente perche’ dall’informativa dei carabinieri, redatta appena un’ora dopo l’omicidio, si dice che Pagliuca fosse stato visto nei giorni precedenti con un esponente del clan che lavorava nella gelateria della Barra. E’ possibile che il giovane stesse cercando la fidanzata scomparsa, ma in ogni caso tale informativa basata su osservazioni non approfondite ha finito per diventare l’unica pezza d’appoggio, piu’ di una sentenza penale, per la decisione del Ministero di negare ai genitori della vittima lo status di innocente e i benefici di cui avrebbero avuto diritto. E come Pagliuca ci sono tante vittime innocenti che attendono riconoscimento statale, come il piccolo Angelo Aversano, ucciso a fine anni ’70 e mai riconosciuto. Due anni fa Renato Natale fu tra il primo firmatario di una lettera inviata al Capo dello Stato Mattarella, ma nulla si e’ mosso. L’avvocato della famiglia di Pagliuca, Gianni Zara, spera che “il ritorno d’attualita’ della vicenda Pagliuca possa portare lo Stato a cambiare politica sulle vittime innocenti”.

 

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Milano, diciottenne ucciso a colpi di pistola nella notte

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Nella notte scorsa assurdo delitto alla periferia di Milano. Un giovane diciottenne, di origine slava, è stato brutalmente ucciso con tre colpi d’arma da fuoco al torace in via Varsavia, vicino all’ortomercato. Secondo quanto emerso da una prima ricostruzione, il ragazzo si trovava a bordo di un furgone quando è stato avvicinato da un gruppo di individui che hanno aperto il fuoco.

I dettagli dell’aggressione dipingono un quadro di violenza e paura. La vittima, evidentemente ignara del pericolo, stava riposando all’interno del mezzo insieme a una donna, forse la sua compagna. Gli assassini hanno infranto i vetri del furgone per accertarsi della presenza di persone all’interno, prima di aprire il fuoco. Il giovane è stato soccorso tempestivamente dagli operatori del 118, ma purtroppo i loro sforzi sono stati vani: è spirato poco dopo il suo arrivo all’ospedale Policlinico.

La compagna del ragazzo, fortunatamente, è sopravvissuta all’attacco, ma è stata portata in ospedale in stato di choc, testimone impotente della tragedia che si è consumata sotto i loro occhi.

Le indagini sono ora nelle mani degli agenti della Polizia di Stato, impegnati a cercare di gettare luce su questo terribile crimine. La zona intorno all’ortomercato, come riportato dalle autorità, è nota per essere frequentata da roulotte e furgoni abitati, soprattutto da comunità nomadi. Tuttavia, quanto accaduto stanotte ha scosso la comunità locale e ha sollevato interrogativi su quanto sicure siano realmente queste aree.

Mentre la città si ritrova a piangere la perdita di un giovane vita spezzata troppo presto, ci si interroga anche su quali misure possano essere prese per prevenire simili tragedie in futuro. In un momento in cui la sicurezza pubblica è al centro delle preoccupazioni di tutti, è fondamentale che le autorità agiscano con fermezza per garantire la protezione di tutti i cittadini, indipendentemente dal loro status sociale o dalle loro abitudini di vita.

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Fassino denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino, informativa in Procura

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Arriverà nelle prossime ore in Procura una prima informativa su Piero Fassino, denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino. Gli investigatori della Polaria hanno raccolto tutti gli elementi – comprese le immagini registrate dalle telecamere del sistema di videosorveglianza – e le trasmetteranno all’autorità giudiziaria competente, quella di Civitavecchia, che valuterà come procedere. Fassino, in quanto parlamentare, non è stato ascoltato ma – spiegano fonti investigative – se vorrà potrà rilasciare dichiarazioni spontanee.

Già ieri il deputato del Pd – parlamentare per 7 legislature, ex ministro della Giustizia dal 2000 al 2001, poi segretario dem fino al 2007 e sindaco di Torino per cinque anni dal 2011 al 2016 – ha fornito la sua versione sostenendo di aver già chiarito con i responsabili del duty free la questione: “volevo comprare il profumo per mia moglie, ma avendo il trolley in mano e il cellulare nell’altra, non avendo ancora tre mani, ho semplicemente appoggiato la confezione di profumo nella tasca del giaccone, in attesa di andare alle casse”. In quel momento, ha aggiunto, “si è avvicinato un funzionario della vigilanza che mi ha contestato quell’atto segnalandolo ad un agente di polizia.

Certo non intendevo appropriarmi indebitamente di una boccettina di profumo”. Fassino ha anche sostenuto che si era offerto subito di pagarla e di comprarne non una ma due, proprio per dimostrare la sua buona fede, ma i responsabili hanno comunque deciso di sporgere denuncia. Al parlamentare del Pd, dopo quella espressa ieri dal deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci, è arrivata la solidarietà del coordinatore di Fratelli d’Italia in Piemonte Fabrizio Comba. “Conosco l’uomo e il politico integerrimo, il tritacarne mediatico in cui è stato infilato è indecoroso per la sua storia personale e, quindi, anche per la storia del nostro paese. E’ un avversario politico – ha concluso Comba – ma non per questo mi permetto di dubitare della sua integrità, convinto delle sue straordinarie qualità morali”.

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Nozze d’argento boss in chiesa con le spoglie di Falcone

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Lui abito scuro, con gilet, pochette e cravatta color madreperla, lei abito bianco scollato lavorato con tessuto di pizzo e bouquet di rose rosse. La coppia d’oro delle famiglie mafiose palermitane, Tommaso Lo Presti, detto “il grosso”, per distinguerlo dall’omonimo detto “il lungo”, e la moglie Teresa Marino, ha festeggiato in grande stile, con amici e familiari l’anniversario dei 25 anni di matrimonio il 15 aprile scorso.

La coppia, lui è stato scarcerato da poco dopo anni di detenzione per mafia ed estorsioni, lei pure condannata per mafia, ha scelto per la cerimonia religiosa in cui rinnovare la promessa d’amore un luogo simbolico, la chiesa di San Domenico, che si trova in una delle piazze più belle di Palermo e che è nel cuore del mandamento mafioso di cui Lo Presti era al vertice. Nel complesso in cui è inserita la chiesa c’è anche il pantheon dei siciliani illustri, da Giuseppe Pitrè a Giacomo Serpotta, in cui sorge anche la tomba monumentale che ha accolto, dal 2015, le spoglie di Giovanni Falcone. I mafiosi quindi sono stati accolti dai frati, che gestiscono il complesso, per celebrare la benedizione delle nozze d’argento.

Padre Sergio Catalano, frate priore della chiesa, afferma di aver saputo chi fosse l’elegante coppia solo leggendo le notizie del sito d’informazione Palermotoday che ha pubblicato la notizia alcuni giorni dopo la cerimonia. “Le verifiche non spettano a noi – aggiunge – ci sono organi istituzionali che devono farlo”. Ma la coppia della cosca di Portanuova, lui è sorvegliato speciale e deve rientrare in casa entro una certa ora, poteva tranquillamente far celebrare la cerimonia in qualsiasi posto. La valutazione dell’opportunità di ospitare due mafiosi di questo calibro nel complesso dove ci sono le spoglie del magistrato ucciso dalla mafia spetterebbe a chi ha la responsabilità di quei luoghi.

Alla chiesa Lo Presti ha lasciato anche un’offerta che padre Catalano dice “servirà a fare del bene a chi ne ha bisogno”. Dopo la cerimonia a san Domenico la coppia ha festeggiato, nei limiti temporali concessi al sorvegliato speciale, in una villetta allietata anche dalle canzoni di due noti neomelodici. Dopo l’arresto di Lo Presti, 48 anni, nell’operazione Iago nel 2014, gli investigatori scoprirono il ruolo della moglie che il giudice che l’ha condannata descrive così: “Teresa Marino durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio”.

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