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Via libera al Ponte sullo Stretto, cantieri da settembre

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Disco verde del Cipess al progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. Dopo decenni di false partenze, ricorsi e polemiche, il piano per collegare Calabria e Sicilia può passare alla fase realizzativa. Con l’obiettivo dei primi cantieri già in autunno e il taglio del nastro tra 7-8 anni. Sarà “il ponte a campata unica più lungo del mondo”, annuncia soddisfatto il vicepremier e titolare delle Infrastrutture Matteo Salvini. “Una tappa fondamentale dell’azione di questo governo”, afferma la premier Giorgia Meloni. Ma le opposizioni, i sindacati, le ong e i territori lanciano l’allarme sui rischi e gridano al “colossale spreco” di denaro pubblico. Il via libera del Comitato era atteso, annunciato nei giorni scorsi dallo stesso Salvini. Al Cipess partecipa anche la premier, che sottolinea l’importanza del momento. “Si tratta di un’opera strategica per lo sviluppo di tutta la nazione”, spiega ai presenti.

“Non è un’opera facile ma lo riteniamo un investimento sul presente e sul futuro dell’Italia”, aggiunge Meloni che ringrazia Salvini: “sarà un’Italia più connessa e coesa”. “E’ un’emozione, non si era mai arrivati alla approvazione del progetto definitivo con l’intera copertura economica e la condivisione dei territori”, dice soddisfatto Salvini, in conferenza stampa dopo l’ok del Cipess accanto al sottosegretario alla presidenza Alessandro Morelli. Le risorse sono quelle garantite dalla manovra del 2024: 13,5 miliardi. Un risultato frutto di “un lavoro a più mani”, puntualizza il leder leghista, che ringrazia i ministri e ricorda i predecessori, Lunardi e Berlusconi.

Plaude anche il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, che parla di “un’opportunità concreta per rafforzare la competitività del Sud e per colmare il ritardo infrastrutturale” che incide sulla crescita. A livello procedurale però l’ok del Cipess non è l’ultimo tassello. Manca ancora la pubblicazione della delibera in Gazzetta e la registrazione della Corte dei Conti: solo a quel punto il ponte entrerà nella fase realizzativa. Sui tempi Salvini è comunque ottimista: “Tra settembre e ottobre conto di partire con i cantieri, lavori ed espropri”. Per l’attraversamento invece l’obiettivo è “tra il 2032 e il 2033”. L’opera è ingegneristicamente ambiziosa: 3,3 chilometri di campata unica, due piloni da 400 metri sulle due sponde, tre corsie stradali per senso di marcia, due binari ferroviari.

E ci sarà anche “la metropolitana dello Stretto”, annuncia Salvini: un circuito metropolitano con treni ferroviari e tre nuove fermate sul lato messinese, pensata per studenti, lavoratori e pendolari, in un’area che conta 400mila persone. Un’opera in cui verranno coinvolte “aziende di tutta Italia” e che vuole essere “un acceleratore di sviluppo” per il Sud, dice il ministro, rassicurando sul rischio di infiltrazioni mafiose: siamo “schierati h24”. Per i viaggiatori ci sarà un grande risparmio di tempo, promette: due ore e mezzo per i treni, un’ora e mezza per le auto. Sul fronte dei pedaggi la società Stretto di Messina stima “una tariffa base per le auto inferiore ai 10 euro”, con sconti per i viaggi frequenti: un’ipotesi – puntualizza la società – “sensibilmente inferiore agli attuali costi”. Ma molto più che sul resto della rete autostradali, fa notare il Codacons: il “3.540% in più”.

Soddisfatta la maggioranza, che parla di opera “storica”, con FI compatta a ricordare il “sogno” di Berlusconi. Ma dalle opposizioni alle associazioni c’è grande preoccupazione. “Un vero e proprio azzardo”, lo definiscono le sigle ambientaliste. “Un colossale spreco di soldi”, aggiunge Angelo Bonelli di Avs che ha già presentato un ricorso all’Ue. “Sottrae soldi a infrastrutture necessarie”, aggiunge il leader M5s Giuseppe Conte. “L’opera andrà a stravolgere interi territori”, avverte il Pd. E infatti da Villa San Giovanni sale l’allarme della sindaca: “è a rischio la sopravvivenza della città”. Sulla sponda opposta, invece, il sindaco di Messina parla di “tappa importante”. Divisi anche i sindacati, con la Cgil che parla di “scelta sbagliata” e la Cisl di “occasione storica”.

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Vincenzo De Luca resta il dominus del Pd in Campania: così ha piegato Schlein, Fico e tutto il centrosinistra

Vincenzo De Luca si prepara a restare al comando della Regione Campania con un accordo che conferma il suo potere familistico sul Pd del Sud: una rete di controllo totale, da Piero alla Sanità.

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Non è un’indiscrezione, non è un retroscena: Vincenzo De Luca continuerà a governare la Campania. Non come presidente ufficiale, ma come regista onnipotente di un sistema di potere che tiene in pugno il Partito Democratico del Sud. L’accordo è fatto: la facciata sarà affidata, con ogni probabilità, a Roberto Fico. Ma la regia sarà tutta del leader di Salerno, che detta le condizioni e pretende l’ultima parola su ogni cosa, dalle liste agli assessorati.

Un potere costruito tra famiglia e fedelissimi

Nel mosaico politico che De Luca ha disegnato nel tempo, ogni tessera è al suo posto. Vuole Piero, suo figlio, alla guida del Pd campano. Vuole decidere chi si occuperà di sanità. Vuole mettere il timbro su chi guiderà il consiglio regionale. E vuole liste proprie, da cui far eleggere i suoi consiglieri, garanti del rispetto del suo disegno. Il potere di De Luca è anche questo: controllo ferreo, capillare, senza deleghe reali.

Il Pd nazionale, pur di evitare il disastro elettorale in Campania, cede. Marco Sarracino, uno dei fedelissimi di Elly Schlein, lo ha detto chiaramente: “O lo facciamo contento o perdiamo la Regione dopo dieci anni”. Una resa, politica e simbolica, davanti al più potente dei cacicchi.

Una storia personale intrecciata alla conquista del potere

La carriera di Vincenzo De Luca è un racconto di determinazione e controllo. Ex dirigente comunista, sindaco di Salerno trasformato in sceriffo, uomo del manganello “commovente strumento di persuasione”, ha saputo coniugare ordine e consenso. Le fontane nelle piazze e la mitologia dell’uomo che conosce “uno per uno” i suoi elettori sono parte di una narrazione costruita negli anni. Da Salerno a Palazzo Santa Lucia, dove oggi detta legge.

Dietro di lui, la famiglia come asse del potere: il figlio Piero in Parlamento, ora l’ambizione a prenderne la guida politica regionale. Un modello familistico, affondato nella tradizione meridionale del potere personale, ben radicato in un Pd del Sud che, di fatto, non è mai cambiato.

Un Pd piegato, una Schlein costretta a cedere

Elly Schlein, che aveva promesso di cambiare il partito, si ritrova oggi costretta a piegarsi davanti a ciò che più detestava: l’uomo simbolo del vecchio Pd. De Luca, che non ha mai nascosto il disprezzo per la segretaria — “la ragazza” — oggi la tiene in scacco. Anche Conte, suo alleato nella coalizione, tace o balbetta. Il vero lavoro sporco lo fa il Nazareno, che annulla se stesso pur di non consegnare la Campania al centrodestra.

Persino una parte del mondo culturale progressista — da Isaia Sales a Giulio Sapelli — si è ribellata, firmando una lettera di denuncia contro questa scelta. Ma tutto si tiene: il potere di De Luca, l’inerzia del Pd, l’illusione del rinnovamento.

Un sistema che incide su tutto

La forza di De Luca non è solo elettorale. È un sistema di relazioni, promesse, tessere, ricatti, finanziamenti. Muove persone, risorse, candidature. Persino la vicenda del Teatro San Carlo lo vede protagonista, schierato contro il sindaco Manfredi, accusato di stare troppo vicino a Fico. Un piccolo segnale, ma carico di significati.

Il “rumore” di fondo di questa storia — come quello delle api impazzite — è il suono dei neuroni di De Luca che lavorano instancabilmente per conservare tutto il potere conquistato. Non presidente, forse. Ma fantasma potente dentro il Palazzo.

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Caso Almasri, i Servizi segreti sapevano ma l’Italia scelse la Rada: il retroscena sulle pressioni e l’interesse nazionale

Il direttore dell’Aise Caravelli conferma i legami con la Rada Force e l’interesse a evitare ripercussioni. Ma il Tribunale dei ministri smentisce la minaccia concreta e solleva dubbi sulla gestione politica del caso Almasri.

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La collaborazione con la Rada Force, la milizia libica antiterrorismo di cui Osama Najee Almasri era una figura di vertice, è uno degli elementi centrali che emergono dalle dichiarazioni rese dal direttore dell’Aise Giovanni Caravelli davanti al Tribunale dei ministri. Secondo quanto riferito, la Rada operava in aree cruciali di Tripoli, comprese le zone dove erano presenti ambasciata e residenza dell’ambasciatore italiano.

Caravelli ha spiegato che la Rada era un alleato utile nel contrasto a traffici illegali, compresi quelli di esseri umani e stupefacenti. Ma il punto più controverso è che i Servizi italiani avrebbero ignorato l’indagine della Corte penale internazionale (Cpi) sull’uomo, nonostante la collaborazione già avviata da tre anni tra l’Italia e l’Aia nell’ambito di una task force congiunta.

Il nodo dell’interesse nazionale e l’invocazione dello “stato di necessità”

Alla base delle decisioni prese a Palazzo Chigi, dopo l’arresto di Almasri il 19 gennaio, ci sarebbe stato il timore — mai documentato — di possibili ritorsioni contro il personale italiano in Libia. In quelle riunioni segrete si sarebbe dunque valutata la possibilità di evitare la consegna di Almasri alla Cpi, puntando al rimpatrio in Libia.

La difesa dei ministri Nordio, Piantedosi e Mantovano ha invocato lo “stato di necessità” citando un articolo della Commissione Onu che permette di non ottemperare a un obbligo internazionale se è l’unico mezzo per salvaguardare un interesse nazionale imminente. Ma secondo i giudici non c’era alcuna minaccia concreta: né atti né pressioni indebite, come confermato anche da una dichiarazione parlamentare del ministro Piantedosi.

Il segreto di Stato evocato ma mai apposto

A complicare ulteriormente il quadro, c’è la testimonianza della capo di Gabinetto del ministro della Giustizia, Giusi Bartolozzi, definita dai giudici «inattendibile, anzi mendace». La dirigente avrebbe sostenuto che la richiesta di estradizione libica, in concorrenza con quella della Cpi, fosse coperta da segreto di Stato. Ma nessuna comunicazione ufficiale lo conferma. Né Caravelli, né altri funzionari coinvolti hanno mai apposto un simile vincolo.

Bartolozzi, secondo le carte, avrebbe bloccato anche la firma di un provvedimento già predisposto per mantenere in carcere Almasri, evitando di mostrarlo al ministro Nordio perché mancava — a suo dire — «l’altra parte» dell’informazione, cioè il canale informale con i Servizi. Una gestione parallela e segreta che ha generato frizioni anche con i vertici del Dipartimento affari di giustizia.

Il blocco delle comunicazioni con l’Aia

A rendere il quadro ancora più opaco è l’episodio in cui Bartolozzi avrebbe interrotto le comunicazioni con l’Aia. Domenica 19 gennaio, ore dopo l’arresto, la dirigente avrebbe chiesto ai funzionari del ministero e al magistrato di collegamento in Olanda di non trasmettere più nulla. «Basta, basta, basta. Non comunicate più», avrebbe detto, imponendo una linea di silenzio assoluto.

Eppure, la richiesta libica formale di estradizione è arrivata solo successivamente al rimpatrio di Almasri, rendendo impossibile un vero “bilanciamento” con quella della Cpi, come previsto dalle procedure.

Il caso resta aperto, almeno sul piano politico e istituzionale. Ma sul piano giudiziario, le richieste di autorizzazione a procedere segnano un passaggio delicatissimo nel rapporto tra potere esecutivo, intelligence e giustizia.

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Cannellino flegreo verso la DOP: imprenditori e agricoltura identitaria per la rinascita dei Campi Flegrei

Nasce il Comitato per la DOP del pomodoro cannellino flegreo. Imprenditori visionari come Tammaro guidano il rilancio dell’agricoltura flegrea tra archeologia, tradizione e sviluppo.

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A Cuma, tra le vestigia greco-romane e il profumo intenso della terra vulcanica, prende ufficialmente il via il Pomodoro Cannellino Flegreo Tour 2025, evento che segna un passaggio decisivo: la costituzione del Comitato Promotore per il riconoscimento della DOP. È il primo passo verso un riconoscimento europeo che potrà consacrare definitivamente questo prodotto tipico come simbolo identitario dei Campi Flegrei.

Un’agricoltura che parla il linguaggio del territorio

Il pomodoro cannellino flegreo non è solo un ortaggio: è un frutto della storia, nato su terreni sabbiosi modellati dal fuoco e dal mare, perfettamente adattato al microclima flegreo. Oggi sono oltre 55 gli ettari coltivati, grazie anche all’impegno di giovani agricoltori che hanno riscoperto le antiche pratiche colturali.

Il ruolo degli imprenditori visionari

Determinante, in questo percorso, è il contributo di imprenditori come la famiglia Tammaro, che si sono spesi negli anni per salvaguardare e valorizzare le tradizioni agricole locali. La loro visione ha permesso di trasformare un prodotto dimenticato in una leva di sviluppo culturale, economico e sociale, capace di creare rete tra imprese, enti locali e cittadini.

Figure come Tammaro dimostrano quanto l’agricoltura identitaria possa diventare motore di rinascita, contribuendo alla costruzione di un modello di sviluppo sostenibile fondato su qualità, storia e comunità.

Una rete per la DOP

Nel comitato promotore per la DOP, oltre a imprenditori di punta come Generoso Colandrea, Vincenzo e Giovanni Tammaro, Nicola Laezza, Giuseppe Lanni e i fratelli Pignata, è forte l’impegno delle istituzioni. Come ha ricordato l’assessore all’Agricoltura della Regione Campania Nicola Caputo, la sfida oggi è trasformare l’eccellenza agricola in brand territoriale, capace di competere sui mercati globali.

Il paesaggio che unisce archeologia e agricoltura

Il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, che ha patrocinato l’iniziativa, ha ribadito il valore unico del paesaggio agricolo e archeologico di Cuma. Fabio Pagano, direttore del Parco, ha sottolineato come l’integrazione tra colture e patrimonio culturale rappresenti un’opportunità straordinaria per il territorio.

Un modello virtuoso di sviluppo

L’evento si inserisce all’interno del più ampio progetto Monterusciello Agro City (MAC), sostenuto dall’Unione Europea, che ha puntato sul recupero delle aree coltivabili e la nascita di nuove imprese. La rinascita agricola del territorio flegreo è così diventata anche strumento di rigenerazione urbana, restituendo dignità e speranza a intere comunità.

Una sfida collettiva

Alla giornata hanno partecipato anche Confagricoltura Campania e l’EBAT, a dimostrazione di una rete ormai consolidata. Il Pomodoro Cannellino Flegreo, in attesa del marchio DOP, si impone già come simbolo di orgoglio e riscatto locale, frutto del coraggio di imprenditori come Tammaro, che hanno saputo guardare lontano partendo da molto vicino: dalla loro terra.

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