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Vertice su manovra, stop deficit e bonus famiglie-fragili

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C’è il divieto assoluto di fare deficit, il costo della manovra deve assolutamente restare all’interno dei parametri europei. Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti hanno condiviso questo avvertimento nel vertice di maggioranza, il secondo in quattro giorni, con Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi. E nella strategia per arrivare a una legge di bilancio da 23-25 miliardi di euro (la forchetta stimata ora) si punta su due direttive in particolare: l’applicazione di un quoziente familiare per le detrazioni, e la concentrazione delle risorse sui bonus per fragili e famiglie, depotenziando invece quelli dietro cui sono stati individuati meccanismi elusivi.

Il ministro dell’Economia nel vertice di Palazzo Chigi ha illustrato le linee guida del Piano strutturale di bilancio che dovrebbe essere esaminato nel Consiglio dei ministri di martedì mattina e ritoccato dopo l’aggiornamento dei dati Istat sulle stime dei conti pubblici attesi per lunedì 23. Si conta su una revisione al rialzo del Pil per accelerare l’operazione per reperire i 10 miliardi di euro necessari per confermare il valore delle prime due manovre del governo Meloni. E si torna a parlare anche di extraprofitti, secondo quanto si racconta in ambienti di governo: il tema già un anno fa ha creato fibrillazioni fra Meloni e Tajani quando furono tassati quelli delle banche, e ora ogni ragionamento pare sia limitato, eventualmente,all’ipotesi di un contributo solidale esteso a tutte le grandi imprese, anche quelle del settore energetico. Circa 5-6 miliardi, secondo le intenzioni dell’esecutivo, sarebbero destinati alle misure per contrastare la denatalità.

“Più è numerosa la famiglia, meno tasse si pagano”, l’obiettivo di legislatura scandito più volte dalla premier, e il suo governo già nella manovra di un anno fa e nella delega fiscale ha declinato alcune misure con un quoziente familiare. In questa direzione va il piano di Giorgetti per cambiare le regole delle detrazioni fiscali anticipato dal Foglio, alla vigilia del nuovo vertice a Palazzo Chigi. Un sorpasso rispetto a uno dei capisaldi della ricetta economica meloniana? “Nessuna fuga in avanti – assicura Ylenia Lucaselli, capogruppo di FdI in commissione Bilancio alla Camera -. Meloni e il ministro dell’Economia sono totalmente in linea su queste misure, perfettamente coordinati”.

La spinta su misure per le famiglie è promossa anche dal cardinale Matteo Zuppi: critico con il governo rispetto all’Autonomia differenziata, il presidente della Cei, spiega che questa “è la direzione da noi auspicata ed è giusta, incoraggia a non avere paura di avere a casa tanti figli”. C’è invece scetticismo fra le opposizioni. Per il M5s è “solo propaganda anacronistica”. “La denatalità si combatte investendo sull’occupazione femminile e sui servizi”, contesta la dem Valeria Valente. E secondo Osvaldo Napoli (Azione), con il quoziente familiare sulle detrazioni si rischia “una partita di giro fra i contribuenti: può funzionare a condizione che non siano toccati diritti costituzionalmente inviolabili, come la parità di trattamento fiscale fra soggetti con le stesse capacità di reddito”. Il dettaglio delle misure deve prendere corpo.

È ancora la fase dello screening delle ipotesi, spiegano dal governo. Si valuterà anche quali hanno il moltiplicatore più alto. Allo studio anche l’eliminazione della possibilità per la pubblica amministrazione di mandare in pensione il dipendente che ha maturato i requisiti per la pensione anticipata (42 anni 10 mesi di contributi) una volta raggiunti i 65 anni spostando il limite a 67 anni come accade nel lavoro privato. Prima dei 67 anni, anche avendo i requisiti per la pensione anticipata, si potrà così continuare a lavorare sia nel pubblico che nel privato senza che sia necessario il via libera da parte dell’amministrazione e dell’azienda. E mentre la segretaria del Pd Elly Schlein chiede che “gli insegnanti siano pagati di più”, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara assicura che rispetto alla manovra “Giorgetti ha manifestato una notevole sensibilità per il settore della scuola”.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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