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Cinema

Verso l’Oscar docu su abusi dei preti sui bambini nativi

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C’è una storia poco nota, almeno in Italia, e che punta dritto all’Oscar di quest’anno per il miglior documentario avendo tutte le carte tematiche e di qualità cinematografica. Ha già fatto breccia al Sundance dove ha vinto per la migliore regia e ora smuove le coscienze in sedi istituzionali come il Senato americano che gli ha dedicato una proiezione speciale. Presentato da National Geographic si vedrà su Disney+ entro l’anno e in anteprima proiezione speciale alla Festa del cinema di Roma a ottobre. E’ Sugarcane, il film di Julian Brave NoiseCat ed Emily Kassie, che racconta emozionando una storia di abusi lunga quattro generazioni nella missione cattolica di Saint Joseph, vicino Williams Lake in British Columbia, Canada.

E’ una storia simbolo di razzismo bianco, dell’annientamento culturale dei nativi americani, a colpi di indottrinamento, divieti di tradizioni e linguaggio e sottomissioni fisiche con la cifra religiosa, cattolica, e le violenze sessuali dei sacerdoti sui bambini e le bambine che vivevano lì strappati alle famiglie per ‘educarli’. Abusi sessuali con in più il raccapriccio delle gravidanze con i feti buttati nell’inceneritore per sbarazzarsi del problema. Papa Bergoglio in Vaticano ha ricevuto alcuni testimoni e si è scusato ed è anche andato in “pellegrinaggio di penitenza” (parole sue) nel luglio del 2022 in quei luoghi ma ai capi delle comunita’ autoctone First Nations non basta perchè quello che sta venendo fuori di un’epoca di Chiesa colonialista e complicità governative mette i brividi. Ma Sugarcane è anche un film nel film.

“Da reporter per The New Yorker e New York Times ho affrontato vari temi – ha detto a Roma il co-regista Julian Brave Noisecat – e quando la collega di giornalismo investigativo Emily Kassie mi ha proposto di realizzare un documentario sui nativi indiani in Canada ho accettato senza sapere che il film sarebbe diventato per me qualcosa di molto personale”. Sugarcane, prodotto dal giovane candidato all’Oscar Kellen Quinn, segue con il ritmo dell’inchiesta una sorta di auto-indagine che dal 2021 con tenacia stanno portando avanti alcuni sopravvissuti, mettendo insieme dolorose testimonianza, scavi (per trovare fosse comuni di bambini), foto, reperti, tutto quello che la stessa comunità dei nativi indiani riesce a tirare fuori per documentare che le voci su questi fatti sono verità nascoste. Uomini e donne tenaci che non vogliono dimenticare quello accaduto a loro stessi e ai loro familiari e proprio durante questa indagine è emerso che il 64enne padre di Julian che per tutta la vita ha vissuto una dipendenza dall’alcol (come moltissimi nativi) e ha avuto un rapporto assente con lui, è figlio dell’abuso di un prete con una bambina, sopravvisse all’inceneritore della missione per caso e fu adottato da una famiglia insieme ad altri 10 nativi, sette dei quali si suicidarono.

“Mai mi ero interessato a quello che il mio paese aveva fatto ai suoi primi abitanti e via via che si lavorava a questo film via via emergevano pezzi della mia famiglia. La mission dove nacque mio padre Ed Archie è stata scelta su 139 presenti sul territorio. E’ stato uno choc. Ho cercato mio padre, sono tornato con lui su quei luoghi e quello che era stato scoperto ha avuto la sua devastante conferma. C’è un potere e una responsabilità in chi testimonia e in chi documenta e Sugarcane è importante perchè a queste persone che hanno vissuto la vita senza rispetto, diciamo loro che sono importanti, che al mondo importa di loro”. C’è una “sofferenza che ha bisogno di giustizia” ha dettoe ancora Julian, “Chiesa e governo canadese continuano a rifiutare di aprire gli archivi e tutto viene portato avanti dalla comunità”, ha aggiunto il regista. C’è Charlene Belleau, abusata da bimba, che da 30 anni si batte con forza, c’è Rick che da capo della comunità ha guidato la piccola delegazione in Vaticano ed a lui, morto nel frattempo, è dedicato il film, c’è il tenerissimo anziano MacGrath, il cui Dna ha confermato che per metà è di sangue nativo, per metà scozzese (figlio dell’abuso di un reverendo) che a Roma ha avuto il coraggio di andare dai missionari oblati di Maria Immacolata a chiedere ‘perchè?’. I numeri di questo orrore non sono definitivi, migliaia sono le vittime, un’intera comunità di nativi continua a vivere con questo fardello ma se il tempo della riconciliazione è solo iniziato, quello dell’orgoglio dell’accettazione che forse porterà i colori orange, i cappelli con le piume e i nativi sul palco di Hollywood la notte dell’Oscar il 2 marzo 2025 è arrivato.

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Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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Giovanni Bagnasco e “il mostro”: “Ho imparato a non essere vittima. La felicità è una responsabilità”

Nella serie L’arte della gioia è Ippolito, il “mostro” che conquista il cuore dello spettatore. Nella vita, Giovanni Bagnasco è un ragazzo di 25 anni con il volto segnato dalla sindrome di Treacher Collins e un’anima limpida che illumina ogni sua parola. In un’intervista al Corriere della Sera racconta la sua storia fatta di sfide, consapevolezza e rinascita.

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«Potrei scrivere un libro sugli sguardi. Da piccolo anche il non detto faceva male», racconta Giovanni Bagnasco. Il suo volto racconta una storia rara, segnata dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia congenita che colpisce ossa e cartilagini del volto. Eppure, Giovanni ha imparato presto a distinguere tra due tipi di persone: «i cuori buoni e i cuori ciechi».

Cresciuto nella quiete di Chianciano Terme, tra campagna e spazi aperti, ha coltivato sogni artistici tra un lavoro da casellante e un corso di lingua dei segni mai concluso a causa del Covid. Fino all’improvviso incontro con il mondo del cinema, che lo ha accolto attraverso due provini superati: uno per Finalmente l’alba, l’altro con Valeria Golino per il ruolo di Ippolito.

“Il mostro” che racconta la forza interiore

«Il personaggio non è stupido, è solo stato isolato», gli dice Golino. E lui in quel ruolo riversa tutto: «la parte docile e quella vulcanica». Nessuna scuola di recitazione, ma la forza di una vita vissuta senza filtri. «Sul set, mentre giravo le scene più violente, pensavo ai momenti difficili vissuti», confessa.

E quando si parla d’aspetto, Giovanni è disarmante: «La parola ‘mostro’ non mi ferisce più, è solo una componente della mia vita». Da piccolo piangeva, si chiedeva “perché a me?”, ma oggi si è dato una risposta che lo guida: «Dovevo nascere così e basta. Fare la vittima non ti renderà felice».

L’amore, la musica, il futuro

Oggi è un attore emergente, ma anche un ragazzo che ha vissuto l’amore, che ha scritto testi rap, che ha lottato contro il dolore. «Ho ricevuto tanto e ho dato tanto», racconta. Sui social ci sta poco: solo per progetti artistici o per sostenere la onlus del suo chirurgo, la Smile House. «Da ragazzino, i social mi facevano male. Era una vita parallela».

La sua forza più grande è quella di saper vedere oltre: «Sembrerei più brutto se stessi sempre a disperarmi. Siamo tutti belli, se troviamo la nostra bellezza interiore».

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Associazioni del cinema in allarme, ‘siamo al collasso’

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Il mondo del cinema e dell’audiovisivo torna a far sentire la propria voce. Questa mattina l’allarme è arrivato da una ventina di associazioni del settore, tra cui Anac, 100 Autori e Air3, che hanno chiesto al governo di “fare presto” e di varare tempestivamente i decreti correttivi del tax credit e la documentazione richiesta dai giudici del Tar del Lazio sempre sulla relativa normativa. “Ormai da un anno il settore del cinema e dell’audiovisivo vive nell’incertezza del suo futuro. Questo è un lavoro da cui dipendono famiglie intere, eppure più del 70% delle maestranze, attori e autori sono senza occupazione, molti da più di un anno, quasi tutti senza prospettive di lavoro davanti a sé. Ogni giorno in più di rimando è un pezzo del settore che sparisce per sempre – si legge nell’appello -. Non possiamo permetterci di aspettare oltre: il settore ha bisogno di risposte concrete e tempestive per evitare il collasso”.

A rispondere è stata subito Lucia Borgonzoni, sottosegretaria alla Cultura, assicurando, durante la presentazione a Roma dell’Italian Global Series Festival, che sul tax credit “è tutto a posto, procederemo a breve. Era stata depositata al Tar una richiesta, l’udienza è stata spostata a maggio. Presto pubblicheremo l’ultimo correttivo”. Attaccata dai componenti del Pd della Commissione Cultura della Camera, che indicano il ministro Alessandro Giuli, l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la stessa Borgonzoni come responsabili del “disastro” di cinema e audiovisivo, la sottosegretaria ha affermato: “Allora se dovessimo guardare il problema che c’è stato nell’audiovisivo viene da un governo di prima, mi dispiace dire che è Franceschini, perché queste modifiche andavano fatte molto prima”, ha sottolineato, “io con Franceschini ho lavorato bene per tante cose, lui non ha voluto fare le modifiche che andavano fatte nonostante all’allarme lanciato anche dagli uffici a suo tempo, perché ovviamente è molto più semplice lasciare la palla al governo che viene dopo”.

“Comunque, le produzioni ci sono, i set aperti sono 37. Mi dispiace che si lanci un allarme da parte di Pd e 5 stelle che continuano a cavalcare questa cosa dando l’idea anche agli operatori internazionali che vengono a lavorare in Italia che qui ci siano dei problemi, che non ci sono soldi e che nessuno sta girando. Stanno facendo un danno al settore. Mi piacerebbe che parlassero con le associazioni davvero rappresentative del settore per chiedere se stanno girando oppure no. E la risposta credo sarebbe diversa”, ha concluso. Sul tema è intervenuta a smorzare i toni Chiara Sbarigia, presidente Associazione Produttori Audiovisivi, che, pur condividendo la preoccupazione sul tax credit, ha evidenziato che “i set sono aperti. Terrei più basso l’allarme e cercherei di sburocratizzare il tax credit: noi abbiamo seguito l’iter di riforma, abbiamo dato suggerimenti, ma credo che il problema riguardi il cinema con le produzioni più piccole, non l’audiovisivo”.

Il dibattito però si è infiammato, con la controreplica di Pd e M5s: “il cinema è malato ma il governo ha deciso di ucciderlo”, ha ribattuto Sandro Ruotolo, responsabile Cultura nella segreteria del Pd, mentre il cinquestelle Gaetano Amato è andato all’attacco di Borgonzoni affermando che “se ha coraggio si confronti con gli operatori del settore, parli con le vere associazioni, non solo con quelle vicine ai suoi amici. Noi siamo pronti a organizzare gli Stati Generali ‘pubblici’ del settore”. Anche tra i doppiatori italiani cresce la preoccupazione: a due settimane dalla protesta lanciata attraverso il video appello in cui 12 doppiatori hanno prestato il volto e la voce per dire ‘no’ ad un mondo in cui le espressioni artistiche saranno create da algoritmi, l’Associazione Nazionale Attori Doppiatori si è rivolta oggi a tutta l’industria audiovisiva, agli artisti, alle istituzioni e al pubblico per chiedere appoggio contro l’uso incontrollato dell’Intelligenza Artificiale. Intanto, ieri anche la regista e sceneggiatrice Liliana Cavani aveva sottolineato l’urgenza di difendere il cinema dal predominio della televisione.

“E’ inutile che il Centro Sperimentale continui a creare professionalità se poi il cinema va a finire in tv – aveva detto Cavani -. Il futuro obbligherà ancora di più la gente a vedere i film in casa e così andrebbe fatta una campagna seria contro tutto questo”. Diversa la posizione del regista e attore Carlo Verdone: “Le preoccupazioni di Liliana Cavani sono legittime, ma non è che la gente non va più al cinema. Tanti film vanno bene. Dipende dalla bontà del film, dipende tutto da lì. Se il film non attira e non c’è passaparola allora si fa fatica. Ci vogliono i film giusti”, ha detto, affermando di condividere e appoggiare invece la richiesta di aiuto dei doppiatori.

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