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Corona Virus

Vaccino rassicura, cala depressione da pandemia

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Le vaccinazioni anti-Covid riaccendono la speranza di tornare a una vita normale e ci sono i primi segnali di rallentamento del disagio psichico causato dalla pandemia. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale del 10 ottobre, promossa dall’OMS e dedicata alle disuguaglianze, la Societa’ Italiana di Psichiatria (SIP) sottolinea l’impatto delle disparita’ generate dall’epidemia sulla salute mentale ma evidenzia al contempo l’effetto psicologico positivo dell’immunizzazione. “La pandemia di Covid-19 ha comportato fin da subito un inasprimento delle disparita’ gia’ esistenti, con maggiore incidenza ed esiti della malattia nelle fasce piu’ deboli – dichiarano Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, copresidenti della Sip -. Le diseguaglianze generate dalle conseguenze del lockdown hanno avuto riflessi anche sulla salute mentale, aumentando il disagio psichico soprattutto tra le fasce piu’ fragili della popolazione, con minor accesso alle cure e ai servizi di cui tuttora si avvertono i contraccolpi”. Tuttavia iniziano a intravedersi nella salute psichica della popolazione generale alcuni cambiamenti successivi alla vaccinazione anti-Covid. “Stiamo sperimentando i primi segnali di una riduzione di un certo grado di ansia e depressione da pandemia – spiegano gli esperti -. La popolazione inizia a sentirsi piu’ fiduciosa nei confronti del futuro e sicura di uscire dai catastrofici effetti del Coronavirus, specie ora che sono disponibili i vaccini anti-Covid che fanno sperare di allontanarci dal rischio di un nuovo ‘ottobre rosso’ di nuovi isolamenti”. I numeri della salute mentale nel mondo sono impressionanti: quasi un miliardo di persone vive con un disturbo mentale nei paesi poveri, oltre il 75% delle persone non riceve alcuna assistenza. Ogni anno oltre un milione di persone muore per abuso di sostanze e in concomitanza con il Covid un giovane di 18-24 anni su 4 (25%) ha dichiarato di aver aumentato l’uso di sostanze per far fronte allo stress covid-correlato. Ogni 40 secondi una persona si toglie la vita e nel 2020 i suicidi sono aumentati, basti pensare che in Giappone da giugno a ottobre 2020 sono cresciuti del 16% rispetto allo stesso periodo del 2019. Circa la meta’ dei disturbi di salute mentale inizia a 14 anni. L’accesso ai servizi dedicati alla salute mentale e’ tuttavia segnato dalle diseguaglianze, e l’85% delle persone con disturbi mentali nei Paesi a basso e medio reddito e’ impossibilitato a usufruire di una assistenza dedicata. Ma anche nei Paesi ricchi le cose non vanno meglio, Italia compresa, sottolineano gli psichiatri, e la pandemia ha complicato per molti aspetti questa situazione. Le persone piu’ fragili che avevano gia’ disagio psichico, con il Covid hanno avuto maggiori difficolta’ di accesso ai servizi sanitari (il 24% in piu’ rispetto alla popolazione generale), una probabilita’ del 33% superiore di subire interruzioni terapeutiche e maggiori problemi di lavoro con un rischio di perderlo superiore del 12%. Questi i dati di un recente studio su The British Journal of Psychiatry, che sottolinea come la pandemia abbia impattato notevolmente su salute e qualita’ di vita dei piu’ fragili con disagio psichico, inasprendo le disuguaglianze. “La pandemia rischia di fare da apripista a una crisi globale della salute mentale che investira’ anche le generazioni future con ricadute a lungo termine – affermano di Giannantonio e Zanalda -. Per questo e’ importante intercettare e cavalcare i segnali di speranza che arrivano dalla possibilita’ di uscire dall’incubo Covid attraverso i vaccini”. Lo conferma uno studio di recente pubblicato sulla rivista Plos One, condotto dall’Universita’ della California Meridionale, che mostra che coloro che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino si dicono piu’ ottimisti nei confronti del futuro, con conseguente diminuzione dell’ansia e della depressione percepita.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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