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Cronache

Un detenuto muore, rischio rivolta a Viterbo

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Sabato notte di paura e caos nel carcere di Mammagialla, a Viterbo. Un detenuto è morto per un malore, un altro è stato salvato da un tentativo di suicidio e la Penitenziaria è dovuta intervenire per sedare un principio di rivolta. Momenti di tensione che arrivano a pochi giorni da una protesta attuata da alcuni detenuti: in cinquanta, occupanti di una intera sezione, si sono rifiutati di rientrare nelle loro celle per la notte e nel corso di una violenta rissa uno dei detenuti ha staccato con un morso il dito del suo “avversario”. Quanto avvenuto la notte tra sabato e domenica ha richiesto l’intervento di una squadra di supporto, così come spiega il sindacato Uspp, per evitare che la rivolta prendesse una piega drammatica.

“Un’escalation di eventi che hanno messo a dura prova il personale presente in servizio”, spiega il segretario regionale, Daniele Nicastrini. Nell’ora di chiusura delle stanze detentive, verso le ore 19, alcuni detenuti hanno messo in atto una azione violenta minacciando il personale presente e autolesionandosi con taglierini rudimentali. Una iniziativa che ha reso necessario, per ripristinare l’ordine, l’intervento di personale richiamato in servizio, secondo quanto spiegano le fonti sindacali. “La protesta ha messo in allarme le Autorità penitenziarie. Immediatamente – aggiunge Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziari – anche i poliziotti penitenziari, liberi dal servizio, sono intervenuti per cercare di riportare la calma all’interno dell’istituto carcerario.

Il Direttore del carcere ha dunque preso una decisione drastica ed ha autorizzato l’uso della forza per sedare la protesta. I detenuti avevano, infatti, dato fuoco a diversi materassi all’interno delle loro celle, aggravando ulteriormente la situazione”. Nel corso della nottata, poi, un detenuto è morto per un malore improvviso. Nei giorni scorsi i sindacati di categoria del Lazio avevano allertato l’amministrazione penitenziaria sulla “gravità della situazione in cui versa – aggiunge Nicastrini – il carcere viterbese in termini di sovraffollamento, superiore di 230 detenuti, rispetto alla capienza regolamentare e di una carenza di personale superiore alle 100 unità che impedisce un’organizzazione del lavoro in sicurezza e difficoltà nel mantenere l’ordine è il rispetto delle regole penitenziarie”. Quanto avvenuto a Viterbo non è l’unico episodio di violenza all’interno di un carcere nelle ultime ore. Ad Ariano Irpino, in provincia di Avellino, un agente di polizia penitenziaria è stato aggredito a calci e pugni da due detenuti. Secondo la ricostruzione dei sindacati Sappe e UilPa, l’agente aggredito è riuscito a lanciare lontano le chiavi della sezione, in suo possesso, ed è stato soccorso da altri colleghi che hanno bloccato i due reclusi aggressori, di nazionalità italiana.

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Cronache

L’addio a Papa Francesco seguito da tutto il mondo, dalle tv ai social

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Francesco lo avrebbe voluto cosi: quello di Bergoglio è da considerarsi ad oggi il funerale di un pontefice con il più vasto accesso a livello mondiale. Non per le 250mila persone stimate in piazza San Pietro, ma per l’incalcolabile moltitudine di schermi accesi sulle esequie: quelli tv ma anche cellulari, tablet, pc e laptop. Con i social che da soli hanno sfiorato i 7 milioni di interazioni nelle ultime 12 ore. I network internazionali più noti – per la gran parte americani ma non solo, come Bbc, Sky e Al Jazeera – hanno tutti offerto sui propri siti web le dirette video della cerimonia in Vaticano e gli aggiornamenti fin dai primi arrivi sul sagrato della Basilica. E poi i quotidiani in ogni lingua, le radio, i canali youtube, a partire da quello della Santa Sede che ha trasmesso la cerimonia per intero. La rivoluzione tecnologica, che ha viaggiato veloce negli ultimi 20 anni – ovvero dal funerale di Giovanni Paolo II – ha portato così tutto il mondo lungo via della Conciliazione, tra le colonne di piazza San Pietro e al seguito dell’ultimo viaggio del pontefice che ha attraversato Roma fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore: dalle Filippine (il più popoloso paese cattolico al mondo), all’Africa, passando per l”Asia, gli Stati Uniti o l’America Latina che a papa Francesco aveva dato i natali. L’attesa era tale che fin dai giorni precedenti diverse testate, nelle loro edizioni online, offrivano indicazioni in dettaglio su come sintonizzarsi: le pagine web, gli orari, i canali social dedicati. Quest’ultima la maggiore novità da quando, nel 2005, il mondo salutò un papa in carica con la morte di Karol Wojtyła . E’ infatti, per esempio, rimbalzata prima sui social l’immagine – subito considerata storica – del faccia a faccia fra il presidente Usa Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky nelle navate della Basilica prima delle esequie. E dalle prime analisi risulta essere al top dell’interesse globale, sfiorando alle 15 (ora italiana) quasi 3 milioni di interazioni, esattamente 2 milioni 915 mila e 481 così divise: su X 547.789, su Instagram 1.689.547 e su Facebook 678.145, secondo l’analisi della società Arcadia sulle conversazioni social e sul web. Tra le 25 emoji più utilizzate online per commentare i funerali ci sono le mani congiunte in preghiera e le bandiere dello Stato Pontificio, dell’Argentina e degli Stati Uniti. E, ovviamente, quasi la metà (47%) sono gli utenti dai 25 ai 34 anni ad aver partecipato maggiormente alle conversazioni digitali.

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Cronache

Il rosso e il nero, a San Pietro geografia del potere

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Il rosso porpora dei cardinali e il nero degli abiti in lutto, il bianco delle rose e il marmo bianco del colonnato. Tra cerimoniale e protocollo sul sagrato di San Pietro si è dispiegata la geografia del potere spirituale e temporale racchiusa nella regia sapiente del rito. Le spettacolari immagini dall’alto, realizzate grazie anche all’inedito utilizzo di droni, hanno trasformato piazza San Pietro in una gigantesca scacchiera dell’equilibrio mondiale: da un lato il rosso degli abiti cardinalizi, dall’altro il nero degli abiti dei capi di Stato e consorti sapientemente distribuiti in base a ruolo e peso internazionale. A seguire, in una sorta di sfumatura cromatica, il bianco dei concelebranti e i variopinti completi delle decine di migliaia di fedeli. In prima fila la delegazione italiana e quella argentina alle quali si sono affiancate, con un piccolo strappo al cerimoniale che voleva una disposizione in ordine alfabetico francese, quelle dei principali governi europei e mondiali, dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la Spagna e l’Ucraina. L’unico outfit blu, invece del tradizionale nero, è stato quello del presidente americano, Donald Trump che, in prima fila, si trovava tra Filippo di Spagna ed Emmanuel Macron. Zelensky per un giorno ha dismesso maglietta e pantaloni tecnici in verde militare per vestire di nero. Poi le first ladies di ieri e di oggi e nobili col capo coperto da un velo nero, da Melania Trump a Jill Biden, da Silvia di Svezia a Letizia di Spagna. Victoria Starmer ha preferito però un cappello con veletta. Capo coperto anche per la figlia del presidente Mattarella, Laura. Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen e Brigitte Macron non hanno rinunciato allo stile rigoroso ma senza veletta. L’austerità della celebrazione a piazza San Pietro ha lasciato poi spazio alle rose bianche con cui i poveri e i migranti hanno accolto il feretro di Francesco a Santa Maria Maggiore, proprio come lui avrebbe voluto. Gli zuccotti rossi dei cardinali si confondevano con le giacche beige dei fedeli o le magliette dell’Argentina, ai jeans strappati e gli smanicati rossi. Ad accompagnare il feretro verso la cappella dove poi Bergoglio è stato tumulato prima i domenicani, con il loro tradizionale – ed umile – abito nero e bianco, e poi quattro bambini. Nelle loro mani due cesti di rose bianche offerte dai poveri davanti all’altare della Basilica tanto cara a Francesco. Lo stesso altare sul quale, dopo le dimissioni dal Gemelli, il Pontefice decise di far deporre a sorpresa i fiori gialli della signora Carmela. Che, anche oggi, immancabile, ha deciso di prender parte alle esequie, tra i Grandi della Terra e gli “ultimi del mondo”.

(Foto in evidenza di Imagoeconomica)

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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