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Economia

Turismo e città d’arte d’Italia, persi 245 milioni di presenze e 14 miliardi: futuro da ripensare

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Circa 245 milioni di presenze perse e 14 miliardi di fatturato bruciati: cosi’ nel 2020 la pandemia ha falciato un settore cruciale per l’economia italiana come il turismo. Tra le piu’ colpite, le citta’ d’arte che fino ad appena 10 mesi fa lottavano contro l’overtourism e oggi si ritrovano svuotate e con migliaia di esercizi a serrande abbassate. Cosa fare? Come risanare le perdite e progettare una ripartenza? E’ il tema del nuovo appuntamento con Ansa Incontra dedicato proprio al turismo nelle citta’ d’arte, promosso dall’Associazione Civita e moderato dalla caporedattrice della redazione cultura e spettacoli dell’agenzia, Elisabetta Stefanelli. “Un quarto delle presenze turistiche in Italia, fino allo scorso anno, erano legate alla fruizione delle citta’ d’arte – spiega il segretario generale di Civita, Simonetta Giordani – Ben il 60% legate ai turisti stranieri, per lo piu’ alto spendenti”. Mete dove piu’ e’ fiorita la collaborazione tra pubblico e privato, “in tutta la filiera del turismo, che vuol dire anche Made in Italy, gastronomia, cultura”, la top ten delle citta’ d’arte piu’ frequentate, da Venezia, Firenze e Roma in poi, “negli ultimi anni aveva registrato un trend di crescita costante, raggiungendo 84 milioni di presenze sui 113 milioni totali. Con exploit come Matera, arrivata a un +216% in sette anni. Oggi, invece, l’Enit stima che si chiudera’ il 2020 passando dal 13% di Pil generato dal settore turismo al 7,2%. Anche per il settore aereo, le stime di ripresa partono solo dal 2023, quando con i vaccini si tornera’ a viaggiare”. Situazione particolarmente grave, aggiunge, nel Lazio con Roma che ha visto crollare “del -77% le presenze di turisti, con un -80% di stranieri”. Un impatto enorme che a caduta colpisce anche il sistema museale. “Nei soli i musei statali, secondo l’Istat – fotografa la Giordani – tra marzo e maggio, sono mancati 19 milioni di visitatori con perdite per 78 milioni di euro”. “Il Governo ha messo in campo alcune misure straordinarie”, ricorda il sottosegretario Mibact con delega la turismo, Lorenza Bonaccorsi, come “la cassa integrazione che per il settore turistico non esisteva. Per le citta’ d’arte, anche un fondo di 500 milioni per gli esercizi del centro storico. Non basta, lo sappiamo, e in finanziaria stiamo lavorando a una serie di ristori specifici per le attivita’ turistico-ricettive. Ma va fatta anche una riflessione sulle modalita’ di fruizione che vogliamo nel mondo post Covid” per non inseguire piu’ “modelli che non ci appartengono e da cui a volte siamo stati travolti”. Il tema pero’, sottolinea il presidente di Federalberghi, Bernabo’ Bocca, e’ che “i soldi non ci sono”. I “14 miliardi di fatturato persi – dice – non tengono conto delle vacanze di Natale. Con il Dpcm che ha inchiodato il turismo di montagna, la cifra salira’”. Per intenderci, spiega, “il Governo italiano ha messo sul piatto 100 miliardi per l’emergenza Covid. Quello tedesco, 290. La nostra proposta dunque e’ cambiare prospettiva con prestiti a tasso basso e a lungo termine, di 15 o 20 anni. E approfittare di questo momento di chiusura forzata per riqualificare e ristrutturare, allargando il superbonus anche alle imprese alberghiere”. “A Firenze, con 13-14 milioni di turisti l’anno, l’indotto va ben oltre il settore alberghiero. E’ la vitalita’ della citta’ stessa – rilancia l’Assessore alla cultura, Tommaso Sacchi – I cali sono vertiginosi: -62% sul 2019. Il tema e’ ripensare le nostre citta’, riscrivendo il patto tra uomo e natura, tra uomo e citta’ e tra uomo e fruibilita’ del digitale. Si deve lavorare a ridisegnare le citta’ del futuro. Non e’ piu’ possibile, ad esempio, progettare un museo senza pensare a quello che abbiamo vissuto. La distanza interpersonale sara’ fondamentale”. Centrale, aggiunge la Giordani, saranno anche “i borghi, per una nuova offerta di turismo sostenibile e green, in cui integrare piccoli centri e città d’arte, come nel fenomeno del workation. La pandemia – conclude – ha dimostrato che il turismo non e’ figlio di un Dio minore, ma un settore strategico. Possiamo guardare a un futuro in cui l’Italia farà l’Italia” puntando “un turismo di qualità e slow. E per farlo, la partnership tra pubblico e privato sarà fondamentale”.

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Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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