Collegati con noi

Economia

Banca centrale europea, domani il bazooka di Natale con altri 500 miliardi

Pubblicato

del

 La Bce svela il pacchetto di misure contro la seconda ondata, con un potenziamento del programma di acquisti di debito per l’emergenza pandemica, un suo probabile allungamento a giugno 2022, e un’ulteriore spinta al credito alle imprese: di fronte a nuove stime macroeconomiche in peggioramento in arrivo dal Consiglio direttivo di domani, la parola d’ordine e’ assicurare ai governi il massimo spazio di manovra per misure in deficit che sostengano la crescita. Con l’Ue che cerca l’accordo sul recovery fund minato da Ungheria, Polonia e dai maldipancia italiani, le fibrillazioni, sempre italiane, sul Meccanismo europeo di stabilita’ (Mes), il negoziato su Brexit sul filo del no-deal, Christine Lagarde non esitera’ a rimettere la Bce in prima linea. La presidente della Bce gia’ messo in chiaro la data chiave per la risposta di Francoforte e’ il consiglio direttivo di domani. E che la Bce ha un obiettivo: tenere bassi, artificialmente bassi, i tassi d’interesse per evitare qualsiasi scossone dovuto all’enorme, ulteriore indebitamento indotto dal Covid in Paesi come Italia, Francia, Spagna. Senza tentennamenti di fronte alle remore politiche dei ‘falchi’, che temono che cosi’ facendo la banca centrale disincentivi gli Stati persino dall’utilizzare i prestiti del recovery fund europeo. I mercati ci credono, come testimoniano uno spread italiano stabilizzato sotto 120, il Btp a cinque anni per la prima volta a rendimento negativo (-0,003%). il decennale su minimi record e i sette miliardi di euro di Bot collocati stamani dal Tesoro a tassi mai cosi’ negativi prima (-0,498%).

Nella congiuntura attuale, con la nuova ondata di contagi che ha gelato la ripresa dei mesi estivi, tutti, Lagarde non si esimera’ dall’esortare nuovamente i Paesi a chiudere al presto le partite del Mes e del recovery fnd. Ma le nuove stime che la francese domani leggera’ in conferenza stampa raccontano un’inflazione che si allontana dall’obiettivo del 2%, e uno scenario di crescita 2021 piu’ tiepido dopo quest’ultimo trimestre 2020 ben peggiore delle attese, che per qualcuno potrebbe avvicinare una doppia recessione. Gli economisti si aspettano altri 500 miliardi di acquisti di titoli pubblici con il Pepp, portando il totale a 1.850 miliardi sull’orizzonte che va da qui ad almeno giugno 2022, non piu’ 2021: servira’ a limare ulteriormente le aspettative sui tassi, per mantenere condizioni finanziarie favorevoli per gli Stati, le banche, le imprese e le famiglie. Probabile anche che Lagarde ribadisca che il Pepp, non il ‘vecchio’ programma App, resta lo strumento piu’ adatto a questa fase, perche’ consente acquisti piu’ mirati la’ dove c’e’ il problema. Uno stimolo monetario potente: e’ quasi la meta’ dei 5.600 miliardi complessivi messi sul tavolo quest’anno dalle banche centrali di Stati Uniti, Eurozona, Gran Bretagna e Giappone tutte insieme. L’altro strumento cui la Bce mettera’ mano sono le aste Tltro, la liquidita’ ceduta alle banche a tasso negativo, cioe’ pagandole loro un interesse, purche’ queste a loro volta prestino all’economia: “saranno ulteriormente estese e potrebbero essere aggiunte alcune correzioni per incentivare ulteriormente i prestiti del settore bancario”, come spiega Annalisa Piazza, Fixed-Income Research Analyst di MFS IM: per rafforzare ulteriormente il pacchetto di ‘credit easing’, allentamento delle condizioni creditizie, composto anche da moratorie e garanzie pubbliche sui prestiti e una Vigilanza bancaria meno rigida. L’emergenza di Lagarde e’ soprattutto conservare base produttiva, impedire cioe’ fallimenti di massa fra le imprese che rappresentano danni permanenti. E con una decisione chiave, in arrivo proprio da parte della Vigilanza, che si basera’ proprio sulle nuove stime di crescita: se prorogare o meno lo stop alla distribuzione di dividendi da parte delle banche imposto a marzo, e che scade a fine dicembre. Con, da una parte, l’esigenza che le banche usino piuttosto quei soldi per rafforzare il capitale che verra’ mangiato da sofferenze e default. E, dall’altra, la pressione degli azionisti che scalpitano.

Advertisement

Economia

Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

Pubblicato

del

E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

Continua a leggere

Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

Pubblicato

del

Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

Continua a leggere

Economia

Bhp offre 36 miliardi per il rame di Anglo American

Pubblicato

del

Scossone nel mondo delle materie prime. Bhp, il primo gruppo mondiale, un gigante da 120 miliardi di sterline di capitalizzazione di Borsa, sta cercando di mettere le mani su un altro colosso del settore, Anglo American, ingolosito dalle sue miniere di rame, metallo reso sempre più ricercato e costoso dal ruolo centrale che riveste nei processi di transizione energetica e di elettrificazione. La multinazionale con sede a Melbourne, in Australia, ha inviato ad Anglo American una proposta di fusione attraverso uno scambio azionario che valuta la concorrente 31,1 miliardi di sterline (36 miliardi di euro), incluse le partecipazioni nelle controllate quotate Anglo American Platinum e Kumba (ferro), di cui è prevista la distribuzione agli azionisti di Anglo American prima della fusione.

L’offerta, che valuta le azioni 25,08 sterline l’una, ha fatto impennare il titolo alla Borsa di Londra, salito del 16,1% a 25,6 sterline, sopra il prezzo offerto da Bhp. Segno che la proposta degli australiani potrebbe non bastare: secondo gli analisti di Jefferies serviranno almeno 28 sterline ad azione per avviare “serie discussioni” e “ben più di 30” nel caso in cui si facessero sotto altri pretendenti. Il cda di Anglo American ha fatto sapere che sta analizzando l’offerta, che Bhp dovrà confermare o ritirare entro il 22 maggio. Ma non è questo l’unico ostacolo che Bhp si troverà ad affrontare. Anzitutto l’operazione passerà al setaccio delle autorità antitrust di diversi Paesi – dall’Australia, al Sudafrica, al Cile – alla luce del rafforzamento della posizione di Bhp in alcuni mercati, a partire da quello del rame, di cui diventerebbe da terzo a primo produttore mondiale, con una quota di mercato di circa il 10% e una produzione annua superiore ai due milioni di tonnellate.

In secondo luogo occorrerà convincere il governo sudafricano, dove si trovano un quinto degli asset di Anglo American e che controlla il primo azionista del gruppo, il fondo pensione Pic. Il ministro delle Risorse minerarie, Gwede Mantashe, ha già chiarito all’Ft di non vedere di buon occhio l’operazione avendo avuto un’esperienza “non positiva” con Bhp in occasione dell’acquisizione di Billiton nel 2001, tradottasi in un impoverimento per l’industria mineraria del Paese. Pic ha dichiarato che valuterà l’offerta ma ha precisato che le nuove opportunità dovranno tener conto del ruolo “fondamentale” che il settore minerario riveste per l’economia sudafricana e i suoi stakeholder e della “sostenibilità a lungo termine”. Oltre ad “aumentare l’esposizione alle materie prime del futuro” integrando “gli asset di livello mondiale nel rame di Anglo American”, Bhp ha detto di essere interessata alle attività nei metalli ferrosi e nel carbone metallurgico australiano mentre gli altri asset, inclusa la quota nel produttore di diamanti De Beers, saranno sottoposti a “revisione strategica” e dunque potrebbero essere messi sul mercato a valle dell’acquisizione.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto