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Cultura

Tre opere del Settecento arricchiscono Capodimonte: il mecenate Giovanni Lombardi riporta a Napoli il ritratto di Carlo III di Borbone

Grazie al mecenate Giovanni Lombardi e al sostegno del ministero della Cultura, tre opere del Settecento entrano nella collezione del museo di Capodimonte. Tra queste, il “Ritratto di Carlo III di Borbone” di Anton Raphael Mengs, simbolo del legame tra Napoli e Madrid.

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Nuovi tesori si aggiungono al patrimonio del Museo e Real Bosco di Capodimonte. Tre opere del Settecento entrano ufficialmente nella collezione, rafforzando la rappresentanza artistica del secolo borbonico e riaffermando l’importanza della collaborazione tra pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio culturale napoletano.

Protagonista dell’operazione è l’imprenditore e mecenate Giovanni Lombardi, presidente di Tecno, che attraverso lo strumento dell’Art Bonus ha permesso l’acquisizione di due opere. Il terzo dipinto è stato donato dal ministero della Cultura, segno di un mecenatismo diffuso che unisce istituzioni, privati e collezionisti.


Le opere acquisite

Le nuove acquisizioni, presentate ufficialmente a Capodimonte, comprendono il “Ritratto di Carlo III di Borbone” di Anton Raphael Mengs, uno dei maggiori esponenti del neoclassicismo europeo.
Il dipinto, realizzato intorno al 1774, raffigura il sovrano con un tono più intimo e umano rispetto ai tradizionali ritratti di corte: un sorriso accennato e la presenza delle decorazioni dell’Ordine del Toson d’Oro e dell’Ordine di Carlo III, fondato dal re stesso nel 1771.

Accanto al ritratto borbonico, entrano a far parte del museo anche lo “Studio per portale monumentale del monastero di San Gregorio Armeno” (1712) e il “San Domenico di Gesù Maria nella battaglia di Praga contro i protestanti”(1708), entrambi di Giacomo Del Po, pittore romano di nascita ma napoletano d’adozione, attivo tra Sei e Settecento.

Le prime due opere sono state donate da Lombardi, mentre la terza arriva grazie a una donazione del ministero della Cultura.


Giovanni Lombardi: “Volevo restituire queste opere alla città”

Nel corso della presentazione, Giovanni Lombardi ha spiegato la motivazione che lo ha spinto all’acquisto:
«Volevo donarli alla città. Il ritratto di Carlo III era a Madrid e mi sembrava giusto riportarlo a Napoli, a Capodimonte, cioè a casa».
L’imprenditore ha sottolineato come l’opera di Mengs lo abbia colpito «per la sua rappresentazione intima del sovrano, lontana dalla rigidità dei ritratti ufficiali».


Schmidt: “Una doppia vittoria per Capodimonte”

Molto soddisfatto il direttore del museo, Eike Schmidt, che ha definito le acquisizioni «due grandi colpi per Capodimonte».
«Nonostante la reggia contenga capolavori del Settecento, mancavano artisti fondamentali per Napoli come Mengs e Del Po. Ora il museo è più completo», ha detto.

Schmidt ha poi evidenziato il successo della sinergia tra Stato e impresa:
«Questa è la dimostrazione che la collaborazione tra pubblico e privato funziona. L’Art Bonus è un meccanismo virtuoso che conviene alle imprese e alla cultura del Paese».

In sala anche il console generale di Spagna a Napoli, Javier Triana Jiménez, che ha salutato il ritorno a Napoli del ritratto di Carlo III come un simbolo del legame artistico e storico tra Madrid e la città partenopea.


Cresce la collezione del Settecento

Alla cerimonia era presente anche Sonia Amadio, dirigente del ministero della Cultura, che ha ricordato il forte incremento delle acquisizioni negli ultimi anni: «Dal 2016 si è passati da poche unità a diverse decine all’anno».

Un dato che conferma il dinamismo del museo diretto da Schmidt e la volontà di fare di Capodimonte un punto di riferimento internazionale per la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico napoletano.

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Cultura

Il water d’oro di Maurizio Cattelan all’asta da Sotheby’s per 10 milioni di dollari

Il celebre water d’oro di Maurizio Cattelan, “America”, sarà battuto all’asta da Sotheby’s il 18 novembre con una base di 10 milioni di dollari. L’opera, simbolo di provocazione e critica sociale, torna dopo il clamoroso furto del 2019.

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Torna a far parlare di sé “America”, il celebre water d’oro a 18 carati realizzato da Maurizio Cattelan nel 2016 e rubato tre anni dopo dal palazzo Blenheim, casa natale di Winston Churchill. L’opera sarà battuta all’asta da Sotheby’s il 18 novembre durante la The Now and Contemporary Evening Auction, con base d’asta di 10 milioni di dollari, calcolata anche sul valore del metallo prezioso (oltre 101 chili d’oro puro). Il pagamento potrà avvenire anche in criptovalute.

Il record assoluto d’asta per Cattelan resta quello di “Him” (2001), venduta per oltre 17 milioni di dollari, seguita dalla famigerata “Comedian”, la banana attaccata al muro con il nastro adesivo, battuta nel 2024 per 6,24 milioni.


La filosofia dell’opera: “L’alto e il basso si incontrano nel bagno”

Cattelan ha raccontato la genesi di “America” come una riflessione ironica e corrosiva sul potere e la disuguaglianza:

“Tutto è cominciato da qualcosa di pratico: in un museo ci sono molti spazi sacri e solo uno che non lo è mai — il bagno. Ho preso il water, l’abbiamo fuso in oro e riportato al suo posto. È rimasto lì, con la stessa funzione.”

L’opera è un paradosso tra l’oggetto più umile e il materiale più simbolico del lusso e del potere. «Alla fine — osserva l’artista — siamo tutti uguali. Che siate ricchi o poveri, che abbiate mangiato un hamburger del McDonald’s o una cena stellata, il risultato non cambia».


Da Duchamp a Trump: il cortocircuito del valore

Per David Galperin, capo del dipartimento di arte contemporanea di Sotheby’s New York, Cattelan è “un provocatore consumato a livello mondiale”, e la sua opera affonda le radici nella tradizione concettuale di Marcel Duchamp e della sua Fountain.

“America” — spiegava Cattelan — è un cortocircuito fra l’oggetto più comune e il materiale più simbolico del potere. Un’ironia che nel 2016 sembrò anticipare l’era di Donald Trump, i cui arredi dorati e lussi eccessivi evocavano involontariamente l’estetica dell’opera.


Dal Guggenheim all’intimità col pubblico

Quando fu installata al Guggenheim di New York, l’opera divenne un caso mediatico globale: oltre 100 mila personefecero la fila per usarla come una vera toilette. Il museo la definì “un’intimità senza precedenti con un’opera d’arte”, mentre la critica la interpretò come una satira sulla società dei consumi e sull’illusione del lusso.

Con la vendita da Sotheby’s, “America” torna simbolicamente in scena, confermando Cattelan come uno dei più geniali e irriverenti interpreti dell’arte contemporanea, capace di trasformare anche un bagno d’oro in un manifesto politico ed estetico.

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Cultura

Al Suor Orsola la mostra “Le Savoir sur la falaise” per ricordare Mimmo Jodice

L’Università Suor Orsola Benincasa dedica a Mimmo Jodice la mostra “Le Savoir sur la falaise”, per la prima volta a Napoli. Un omaggio al fotografo che ha raccontato l’anima del Suor Orsola e della città.

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L’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli renderà omaggio a Mimmo Jodice, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, con una mostra che porterà per la prima volta a Napoli il progetto fotografico “Le Savoir sur la falaise”.


L’annuncio arriva dal rettore Lucio d’Alessandro, che ha ricordato come il legame tra l’Ateneo e il fotografo sia stato “intenso, fecondo e duraturo”.

“Alcune delle sue fotografie più belle saranno in mostra nei luoghi dell’antica cittadella monastica di Suor Orsola — spiega il Rettore — luoghi che Jodice ha saputo raccontare attraverso la sua straordinaria arte”.

L’università partenopea ha voluto assumere questo impegno all’indomani della scomparsa del maestro, per celebrare la sua opera e la sua capacità di raccontare l’anima profonda di Napoli e del Mediterraneo con la forza poetica del bianco e nero.


Un legame lungo quarant’anni tra Jodice e il Suor Orsola

Il fotografo napoletano aveva scelto più volte gli spazi del Suor Orsola per le sue campagne artistiche.
Due in particolare i lavori che testimoniano questo sodalizio: il volume del 1987 “Suor Orsola. Cittadella monastica nella Napoli del Seicento” e quello del 2013 “Le Savoir sur la falaise. Luoghi e storie dell’Università Suor Orsola Benincasa”, pubblicazione corale che univa le immagini di Jodice ai testi di studiosi come Marino Niola, Gae Aulenti, Cesare De Seta ed Elena Croce.

“Con Le Savoir sur la falaise — ricorda d’Alessandro — Jodice ha saputo catturare la luce e l’anima del luogo, restituendo nei suoi scatti la sospensione tra passato e presente che caratterizza il Suor Orsola”.

Il titolo del volume, ispirato alle parole dello storico dell’arte André Chastel, descrive l’ateneo come “un nido di fiori e di uccelli sopra una scogliera luminosa dedita al sapere”, definizione che lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva voluto celebrare ospitando la prima presentazione del libro nella Biblioteca del Quirinale (nella foto Jodice, D’Alessandro e l’ex Capo dello Stato).


Il successo internazionale e il ritorno a Napoli

La mostra “Le Savoir sur la falaise” ha già riscosso ampio successo all’estero, a partire dall’esposizione presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles nel 2018, in occasione dell’apertura della sede internazionale del Suor Orsola, fino alla tappa del Museo di Palazzo Lanfranchi a Matera nel 2019, nell’ambito di Matera Capitale Europea della Cultura.

Ora, nel 2026, il progetto tornerà finalmente nella città di Jodice, dove sarà esposto per la prima volta nei luoghi che lo ispirarono.
In parallelo, l’Università Suor Orsola Benincasa si farà promotrice di un evento scientifico e culturale nazionale, aperto alla città, per onorare la memoria e l’eredità artistica del fotografo.

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“Mai come in questo caso — amava dire Jodice — sono riuscito a infondere nelle fotografie le emozioni fortissime che mi hanno trasmesso questi luoghi magici, incastonati nelle mura della cittadella del Suor Orsola”.

Un ritorno alle origini, dunque, per un artista che ha saputo raccontare Napoli come pochi altri, e che proprio nella luce del Suor Orsola ha trovato uno dei suoi soggetti più poetici e immortali.

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Ambiente

Rapa Nui, i moai minacciati dall’innalzamento del mare entro il 2080

Uno studio dell’Università delle Hawaii avverte: le mareggiate raggiungeranno Ahu Tongariki e altri siti archeologici di Rapa Nui. Rischio fino a 5 metri di innalzamento entro il 2150.

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I celebri moai di Rapa Nui rischiano di essere danneggiati dall’innalzamento del livello degli oceani. Una ricerca dell’Università delle Hawaii, pubblicata sul Journal of Cultural Heritage, lancia l’allarme: entro il 2080 le mareggiate stagionali potrebbero raggiungere l’area di Ahu Tongariki, uno dei luoghi più iconici dell’isola.

Lo studio scientifico

Gli studiosi hanno elaborato modelli computazionali che mostrano come i cambiamenti climatici stiano mettendo a rischio non solo i 15 moai di Ahu Tongariki, ma anche altri 51 siti archeologici del Parco Nazionale di Rapa Nui.

Le proiezioni sul livello del mare

Secondo le stime del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), entro la fine del secolo il livello del mare nell’area potrebbe aumentare tra 0,32 e 0,70 metri nello scenario intermedio e tra 0,48 e 0,94 metri in quello ad alte emissioni. Le incertezze legate ai processi delle calotte glaciali fanno temere scenari più gravi: fino a 2 metri nel 2100 e addirittura 5 metri entro il 2150.

Un patrimonio in pericolo

I moai, simbolo universale dell’isola e patrimonio dell’umanità, sono esposti a un rischio crescente che unisce il cambiamento climatico alla fragilità del patrimonio culturale. Senza interventi di protezione e mitigazione, l’innalzamento del mare potrebbe compromettere in modo irreversibile questi testimoni unici della civiltà polinesiana.

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