L’Alto Casertano è da sempre un luogo dove la natura ha subito in modo mitigato, e tutto sommato sostenibile, gli effetti dell’urbanizzazione. Data la vocazione prevalentemente agricola dei suoi Territori, che dalla riva destra del Volturno si distendono prima ed arrampicano poi, verso il Monte Maggiore ed il Massiccio del Matese, i nuovi indotti economici sono stati efficacemente declinati nel settore del turismo appunto enogastronomico, data la ricchezza e varietà degli eccellenti prodotti locali, ovviamente associato a quello storico e naturalistico che offre paesaggi da cartolina e borghi ancora intatti, dove poter rivivere la storia dall’epoca romana al medioevo, in un clima di pieno relax, cultura e bellezza. La cd. “Terra dei Fuochi” viene percepita dunque come realtà lontana se non addirittura aliena, eppure da diversi giorni anche in tal verde porzione della provincia di Caserta, irrompe nelle vita di ognuno, quello sgradevole odore acre e tagliente, che sembra letteralmente pungere gola e polmoni.
Come in molti hanno sottolineato, questa puzza altro non è che l’odore della Camorra, che attraverso il florido “settore” delle rinnovate ecomafie, a fronte di milionari appalti pubblici si cimenta con spregevole successo nella raccolta dei rifiuti solidi urbani, industriali e pericolosi, che vengono quindi ammassati “temporaneamente” in capannoni o aree munite di ogni permesso, salvo essere infine sistematicamente bruciati in modo certamente illegale, come il caso di “ILSIDE”, sito ubicato tra i comuni di Triflisco e Bellona, dove in un rogo dopo l’altro, per mesi e mesi e fino a poco temo addietro, bruciarono tonnellate di rifiuti (lì stoccati) all’aria aperta, rendendola sovente irrespirabile, con gravissimo danno all’intera popolazione.
Il sistema è semplice e collaudato, affinato anche per aggirare le misure persino cautelari antimafiose. Così ormai in tutta Italia e addirittura anche oltre i confini nazionali, societàcollegate, direttamente o indirettamente, al clan “territorialmente competente”, munite sulla carta di ogni certificazione e magari rappresentate da persone insospettabili, vincono bandi di gara attraverso sia l’offerta economicamente più vantaggiosa che al massimo ribasso, sbaragliando la concorrenza con una prospettazione tecnica o finanziaria che nella maggior parte dei casi non sarà rispettata. Perché l’importante è vincere l’appalto, incassare il massimo danaro possibile, quasi sempre con cifre a sei zeri, e poi inondare il territorio di rifiuti che non saranno mai smaltiti, bensì bruciati a cielo aperto con le tossiche esalazioni che saranno respirate da migliaia di cittadini. Poi magari, in quei medesimi territori che hanno ospitato questi veri e propri inceneritori a cielo aperto, produttori di diossina e nubi tossiche, gli stessi cartelli criminali gestiranno anche la bonifica, il nuovo business ecologico che rappresenta l’ultimo step in tema di collusione tra mafie e Amministrazioni compiacenti.
Ed in questi giorni è giunta quindi l’ora di un sito di Pontelatone, nei pressi della diga del Volturno. Qui è tutto verde, e sono floride le aziende agricole, soprattutto bovine e bufaline, dedite alla trasformazione casearia capace di produrre una mozzarella che non teme rivali. In questi luoghi, episodi come questi sono rari e forse proprio per tal motivo l’indignazione è stata gridata a gran voce da tutti gli abitanti dei paesi che sono stati interessati, per oltre tre giorni, dal persistere di una nuvola al sapore di plastica bruciata con retrogusto di ammoniaca. Un vero acceleratore per la proliferazione delle cellule tumorali. Da Pontelatone a Dragoni, passando per Piana di Monte Verna, Alvignano e Caiazzo, tutti siamo stati costretti ad inalare questo veleno e a chiuderci nelle nostre case, rese per altro bollenti dalle temperature africane.
Le mafie e le ecomafie sono giunte anche qui dunque, forse ci sono già da molto tempo, come sicuramente avvenuto nei settori delle Opere Pubbliche. L’unico dato confortante è rappresentato dall’aver appunto registrato l’elevato grado di indignazione che ha dato vita già a diverse proteste, che ricalcano l’esperienza del Comitato di Bellona Triflisco “MAI PIU’ ILSIDE”, oggi divenuto vero e proprio presidio stabile, capace di mantenere la massima allerta pubblica su di un problema che anche qui non pare essere più sporadico o isolato.
Patto Casertano”. Presidente Giovanni Lavornia
A seguito del rogo di Pontelatone, si moltiplicano così le iniziative di tante associazioni, tra cui “Patto Casertano”, di cui chi scrive si onora di essere fondatore e membro attivo, e quindi attraverso il nostro Presidente Giovanni Lavornia, abbiamo già diramato un appello al Prefetto e a tutte le Amministrazioni coinvolte, al fine di rafforzare un comune fronte di resistenza civica contro questa invasione barbarica che non pare voglia mai arrestarsi. Nella concitazione dei sentimenti di queste ore, che rimbalzano dai social network alle piazze, fino alle sedi istituzionali, si colgono pertanto ancora segnali di speranza, ma se come qualcuno già ammonisce, in qualche modo ci abitueremo a questi sfregi, allora anche qui sarà la fine di un sogno e l’inizio di un nuovo incubo.
Intanto da ieri brucia un altro capannone industriale nella zona industriale di Caserta Sud. La colonna di fumo si vede da quasi mezza provincia ed invade Caserta e tutto il circondario per chilometri e chilometri. La macchia nera la si scorge persino dal Matese e dal Monte Maggiore, e si staglia potente ed inquietante verso l’alto, come a voler ricordare a tutti che la Camorra è forte e presente, e vuole continuare a divorare il futuro dei nostri figli.
Nasce il 25/o parco nazionale italiano, è quello del Matese, area protetta tra Campania e Molise per 87.897,7 ettari. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha firmato il decreto che individua “la perimetrazione, la zonizzazione e le misure di salvaguardia del Parco Nazionale del Matese”. Lo rende noto un comunicato del Mase. Il provvedimento, in ottemperanza alla pronuncia del Tar del Lazio dell’ottobre 2024, spiega la nota, “è il frutto del lavoro e della concertazione che ha coinvolto, oltre il Mase, l’Ispra e numerosi enti territoriali interessati: 52 amministrazioni comunali, quattro province e due Regioni. Viene così ampliato il vecchio Parco Regionale, entrato in funzione solamente nel 2002, a causa della mancata approvazione delle norme attuative della legge regionale, e che si estendeva su una superficie di oltre 33mila ettari”.
“La firma di oggi, nella Giornata della Terra – ha dichiarato il ministro Gilberto Pichetto – afferma in concreto il valore della biodiversità del nostro Paese: il Matese è uno scrigno di natura e cultura, che entra formalmente nella lista dei Parchi nazionali, aprendosi a una visione di sviluppo nuova che vogliamo costruire con la forte condivisione di istituzioni e comunità locali”. “Da oggi il territorio acquisirà – ha aggiunto il sottosegretario Claudio Barbaro a cui il Mase ha attribuito la delega alle aree protette – una visibilità nazionale e il trasferimento di notevoli risorse, al fine di rendere il Parco anche un’occasione, tra le altre cose, di rilancio turistico.
Il Mase, con il nuovo Governo, ha costituito l’Area marina protetta di Capospartivento, il Parco Ambientale di Orbetello e adesso il Parco Nazionale del Matese, a dimostrazione che esiste una strategia e una visione precisa sullo sviluppo delle aree da tutelare, pur nel convincimento che fra l’uomo e il territorio occorra consolidare un equilibrio che sappia preservare sia la natura che lo sviluppo” ha rilevato Barbaro. L’ultimo Parco nazionale istituito in Italia è stato quello dell’Isola di Pantelleria, nel 2016.
In Italia, tre edifici su quattro restano in classi energetiche basse, nonostante il miglioramento registrato tra il 2018 e il 2023, con un aumento degli immobili in classe A dal 8% al 15%. Lo rivela l’ultima analisi della Community Smart Building di Teha Group, che mette in luce le gravi conseguenze in termini economici, ambientali e sociali legate al ritardo del Paese nell’efficientamento del parco immobiliare.
Gli immobili efficienti conquistano il mercato
Il mercato immobiliare premia sempre di più l’efficienza energetica. Le compravendite di edifici nuovi in classe A o B sono passate dal 49% al 70% in dieci anni, mentre quelle di immobili ristrutturati ad alta efficienza sono salite dal 7% al 38%. Di conseguenza, anche il valore medio di mercato cresce:
2.316 euro/m² per edifici ristrutturati
1.615 euro/m² per edifici abitabili
1.290 euro/m² per edifici da ristrutturare
Un divario che evidenzia la valorizzazione degli immobili smart e sostenibili, capaci di coniugare risparmio energetico e riduzione dell’impatto ambientale.
Povertà energetica: 5,3 milioni di italiani in difficoltà
Nonostante gli sforzi, l’Italia resta tra i Paesi UE più colpiti dalla povertà energetica, con l’8,8% delle famiglie che non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione. Un dato preoccupante, legato all’elevata percentuale di edifici inefficienti e ai costi energetici crescenti, aggravati da redditi insufficienti.
L’efficienza come opportunità economica
Secondo l’analisi del Teha Group, l’efficientamento energetico degli edifici può ridurre i consumi energetici fino al 29% e quelli idrici fino al 5%, generando un risparmio netto stimato tra i 17 e i 19 miliardi di euro annui per famiglie e sistema economico.
Benedetta Brioschi, responsabile della Community Smart Building, sottolinea: “Il rinnovamento green e smart degli edifici è una necessità, ma anche una grande opportunità. Il Real Estate si sta già muovendo, ma servono ulteriori investimenti pubblici e privati per accelerare il cambiamento”.
Serve un’azione condivisa tra istituzioni, imprese e cittadini
Il report invita a superare il modello del solo pensiero (“think tank”) e diventare un “act tank”, in grado di influenzare concretamente le scelte dei policy maker. La collaborazione tra governo, aziende e cittadini è essenziale per trasformare il patrimonio immobiliare italiano in una leva di sostenibilità e benessere diffuso.
(La foto in evidenza è stata realizzata con sistemi di intelligenza artificiale)
Filmato per la prima volta uno dei più elusivi e misteriosi abitanti degli abissi: si tratta del calamaro colossale Mesonychoteuthis hamiltoni, l’invertebrato più pesante al mondo, che può raggiungere i 7 metri di lunghezza e i 500 chili di peso. La sua esistenza era nota da un secolo, ma finora nessun esemplare vivo era mai stato visto nuotare nel suo habitat naturale. La svolta è arrivata lo scorso 9 marzo, quando un cucciolo lungo appena 30 centimetri è stato ripreso a 600 metri di profondità nell’Oceano Atlantico meridionale dal robot subacqueo SuBastian dello Schmidt Ocean Institute.
L’inaspettato incontro è avvenuto mentre i ricercatori a bordo della nave ‘Falkor (too)’ stavano conducendo una spedizione di 35 giorni vicino alle Isole Sandwich Australi per censire nuove forme di vita marina. Il video ottenuto grazie al robot sottomarino rappresenta la prima testimonianza dell’esistenza in vita di questo animale (più grosso del celebre calamaro gigante), che fino a oggi era stato documentato solo attraverso esemplari morti o osservazioni indirette.
“È emozionante vedere il primo filmato in situ di un giovane esemplare di calamaro colossale: per cento anni li abbiamo incontrati principalmente come prede rimaste negli stomaci di balene e uccelli marini e come predatori di merluzzi catturati”, spiega la biologa marina Kat Bolstad dell’Università di Tecnologia di Auckland, una degli esperti indipendenti consultati dal team della spedizione scientifica per verificare il filmato. Una delle caratteristiche distintive del calamaro colossale è la presenza di uncini al centro delle sue otto braccia. I cuccioli hanno corpi trasparenti e uncini affilati all’estremità dei due tentacoli più lunghi, ma crescendo perdono il loro aspetto trasparente. Nel video si può notare l’iridescenza dei bulbi oculari che spiccano nel buio dell’oceano.