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Cronache

Il dramma della Terra dei Fuochi: la sentenza storica della CEDU e le responsabilità dello Stato italiano

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La Corte Europea dei Diritti Umani ha pronunciato una sentenza storica che condanna l’Italia per non aver adottato misure adeguate a proteggere la vita e la salute dei cittadini della Terra dei Fuochi, l’area della Campania devastata dallo smaltimento illegale di rifiuti tossici. La decisione della CEDU certifica un dato drammatico: lo Stato italiano ha messo a rischio la vita di migliaia di persone, esponendole a un pericolo grave, reale e imminente.

Una condanna chiara e inequivocabile

Secondo i giudici della CEDU, le autorità italiane non hanno attuato una risposta sistematica e coordinata per affrontare il problema dell’inquinamento nella Terra dei Fuochi. La sentenza sottolinea che:

  • Non sono stati fatti progressi significativi nel valutare l’impatto dell’inquinamento sulla salute pubblica;
  • Le azioni penali per contrastare lo smaltimento illegale di rifiuti sono state insufficienti;
  • Le informazioni sulla gravità della situazione sono state a lungo coperte dal segreto di Stato, impedendo ai cittadini di essere adeguatamente informati sui rischi per la loro salute.

La Corte ha inoltre stabilito che entro due anni l’Italia dovrà attuare misure generali concrete, tra cui la bonifica dei territori contaminati e la creazione di un meccanismo di monitoraggio indipendente, con una piattaforma di informazione pubblica per garantire trasparenza sulle azioni intraprese.

Il peso della sentenza: la voce delle vittime

La decisione della Corte riguarda i ricorsi presentati da 41 cittadini e 5 associazioni, ma le associazioni sono state escluse dal giudizio per mancanza di legittimazione diretta. Tuttavia, per i cittadini coinvolti, la condanna dell’Italia rappresenta un riconoscimento ufficiale della tragedia che stanno vivendo da anni.

L’avvocato Valentina Centonze, che ha assistito i ricorrenti, ha spiegato che la sentenza accerta la responsabilità dello Stato per le condotte omissive, rimarcando che dal 2019 ad oggi non è stato fatto nulla di concreto per risanare il territorio. Tra le misure urgenti richieste dalla CEDU, vi sono:

  • Una mappatura dettagliata delle aree contaminate;
  • Bonifiche immediate e capillari;
  • Il rafforzamento delle azioni di contrasto all’ecomafia;
  • Una strategia di comunicazione trasparente e accessibile ai cittadini.

Il dolore e la rabbia delle comunità locali

Le reazioni alla sentenza non si sono fatte attendere. Don Maurizio Patriciello, simbolo della lotta contro l’inquinamento nella Terra dei Fuochi, ha espresso un pensiero commosso per le innumerevoli vittime del cancro, ricordando le offese e le minacce ricevute negli anni da chi negava il problema.

Anche Alessandro Cannavacciuolo, promotore del ricorso alla CEDU, ha dichiarato: “Dopo undici anni arriva finalmente una sentenza che attesta come lo Stato italiano non abbia tutelato la salute dei suoi cittadini. Ora basta proclami: bisogna intervenire con bonifiche e un progetto di rilancio per il territorio.”

Ma le parole più dure arrivano da Antonio Giordano, oncologo e autore assieme al giornalista Paolo Chiariello del libro Monnezza di Stato, che da anni denuncia il disastro ambientale: “Lo Stato ha abbandonato i suoi cittadini, permettendo che la Terra dei Fuochi diventasse una camera a gas a cielo aperto. Ora non ci sono più scuse: ogni giorno di ritardo significa altre vite umane spezzate.”

La politica ha fallito: ora servono azioni concrete

La sentenza della CEDU chiama in causa tutta la classe politica italiana, bipartisan, che negli ultimi decenni ha ignorato, minimizzato e nascosto il problema. Lo evidenziano anche Stefano Ciafani e Mariateresa Imparato di Legambiente, che chiedono l’attuazione immediata delle misure richieste dalla Corte: “Dal 2003 a oggi si sono succeduti 12 governi nazionali e 5 regionali senza trovare un ‘vaccino’ efficace contro il virus Terra dei Fuochi. Ora è il momento di fare davvero ecogiustizia.”

Un piano per il futuro: bonifiche e controlli rigorosi

La sentenza della CEDU impone un cambiamento radicale nella gestione del problema. Per salvare la Terra dei Fuochi è necessario:

  • Un piano di bonifica immediato e vincolante;
  • Controlli rigorosi e intransigenti su aziende e smaltimenti;
  • Un sistema di monitoraggio trasparente con dati accessibili ai cittadini;
  • Sanzioni severe per chi ha avvelenato il territorio e messo a rischio la salute pubblica.

Le vittime dell’inquinamento non possono più aspettare. L’Italia ha due anni per dimostrare all’Europa e ai propri cittadini che il tempo dell’indifferenza è finito. La sentenza della CEDU non è solo una condanna, ma un’opportunità per un cambio di rotta definitivo. Ora lo Stato non ha più alibi: o interviene subito, o resterà per sempre complice di uno dei più gravi disastri ambientali e sanitari della storia italiana. 

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Castellucci: responsabile ma non colpevole per il Morandi

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Parla in aula per la prima volta Giovanni Castellucci dopo il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43 vittime). E lo fa, sette anni dopo la tragedia, per quasi cinque ore, con dichiarazioni spontanee, decidendo di non rispondere alle domande dei pubblici ministeri e dei giudici al processo. “Mi sento tuttora responsabile ma non colpevole. Dopo ho cercato di fare quello che potevo, ma questo è nulla di fronte all’enormità della tragedia. Non riesco ad accettare il fatto che questo ponte sia crollato”, le sue primissime parole. L’ex amministratore delegato ha ripercorso la sua esperienza nella società respingendo le accuse di essere un “padre padrone” o un “accentratore” o di avere agito per interessi economici. Una difesa auto assolutoria che ha fatto infuriare i parenti delle vittime, in aula in tanti oggi.

“Se volesse parlarci gli sputerei in faccia – le parole dure di Paola Vicini, la mamma di Mirko l’ultima vittima estratta dalle macerie dopo giorni -. Lui è andato a cena quella sera mentre io aspettavo il corpo di mio figlio e gli altri erano all’obitorio”. L’ex ad di Aspi ha anche ricordato di avere dato il suo bonus ai parenti delle vittime, lasciandolo ad Aspi, ma i parenti hanno denunciato di non avere mai visto nulla. Di fatto Castellucci ha poi scaricato i tecnici e il direttore generale di allora, Riccardo Mollo. “Il sollievo che ho è che penso di avere fatto sempre tutto quello che dovevo e potevo fare – ha spiegato alla fine delle cinque ore – sulla base di quello che sapevo per mettere i tecnici, che invece sapevano cosa facevano, nelle condizioni di operare al meglio”.

Poi ha parlato di Gianni Mion, ex ad della holding dei Benetton Edizione: “lo sentivo costantemente e mai che mi avesse sollevato un dubbio, nemmeno un sopracciglio”. Mentre Mollo, ex direttore generale che secondo l’accusa avrebbe detto a una riunione che i ‘controlli ce li autocertifichiamo’, forse “ha usato una espressione non opportuna”. L’ex top manager ha spiegato che “non è vero che tagliammo manutenzioni per aumentare dividendi. Per me è una accusa inaccettabile. Sul Morandi c’erano lavori e manutenzioni continue. In ogni caso io sono sempre stato indipendente nei confronti degli azionisti e ho sempre deciso in base a ciò che ritenevo giusto”. Il problema, la risposta fuori dall’aula di Egle Possetti, portavoce del Comitato parenti vittime del Morandi “è che loro avranno anche fatto manutenzioni, ma non hanno fatto quelle corrette”.

Castellucci ha respinto anche l’accusa di aver saputo dei rischi e di non avere fatto nulla. “Un’accusa che si basa sul fatto che in quella famosa riunione sul completamento dei lavori, l’ingegner Tozzi avrebbe dichiarato che lo stato di conservazione evidenzia problemi strutturali. E io non avrei dato nessuna urgenza per il progetto di retrofitting. Un comportamento del genere sarebbe stato non spiegabile anche a me stesso. Non è stato riportato il ‘non’. In realtà aveva detto che ‘non si evidenziavano problemi strutturali”. E ancora, “da quelle riunioni non ebbi nessun segnale di potenziale problematicità sugli stralli. Da nessuno è emerso qualche dubbio sulla sicurezza dell’opera”. Anche Giovanna Donato, altra parente delle vittime, non ha usato mezzi termini. “Provo rabbia, pena e sdegno, perché lui era responsabile, non può dire ‘non sapevo’ o ‘non me l’hanno detto’, si sta arrampicando sugli specchi, non è dignitoso, perciò mi fa pena”. Con Castellucci è finita di fatto l’istruttoria. Forse entro l’estate inizierà la requisitoria dei pm.

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Indagati in 4 per operaio morto trafitto da scheggia

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Per il momento si tratta soltanto di un atto dovuto a tutela delle garanzie difensive in vista degli esami autoptici sulla salma, che saranno effettuati martedì primo aprile. Poi si vedrà se con il prosieguo delle indagini saranno accertate eventuali responsabilità. Dunque, oggi la Procura della Repubblica di Pordenone ha iscritto nel registro degli indagati quattro persone, con l’accusa di omicidio colposo. La vicenda è quella dell’ incidente sul lavoro in cui ieri notte un giovane operaio, Daniel Tafa, ha perso la vita. Tafa, di 22 anni, è rimasto ucciso trafitto da una grossa scheggia incandescente mentre svolgeva il suo turno alla Stm, azienda specializzata in stampaggio a caldo, ricalcatura, stampaggio per estrusione.

Gli indagati sono il proprietario dell’ azienda, imprenditore torinese, il responsabile per la sicurezza e direttore dello stabilimento, di Maniago (Pordenone), il perito che ha verificato le attrezzature della fabbrica, un professionista di Concordia Sagittaria (Venezia), e il tecnico che ha certificato il corretto funzionamento della macchina che ha causato l’incidente, una professionista di Vicenza. La famiglia della vittima, per il tramite dell’avvocato che la assiste, Fabiano Filippin, ha invece nominato Antonello Cirnelli come perito di parte per l’autopsia e gli altri accertamenti medico-legali.

Ovviamente, soltanto dopo aver effettuato l’autopsia sarà possibile celebrare i funerali. Una decisione che dovrebbe prendere, stasera, il Comune di Vajont, dove era nato il giovane, nel corso di una già programmata seduta del Consiglio comunale. Sarà indicata anche la proclamazione del lutto cittadino, forse nello stesso giorno delle esequie di Tafa, che lascia i genitori e due fratelli di 17 e 12 anni. Oggi, intanto, sulla tragedia è intervenuta la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone sui suoi social ricordando che Daniel aveva appena compiuto i 22 anni e, festeggiato il compleanno, era subito dopo andato al lavoro, nella stessa azienda dove lavorava il padre con il quale, sembrerebbe, si sarebbe scambiato il turno.

Castellone, ricordando anche le altre due vittime sul lavoro morte ieri, Nicola Sicignano, 50 anni, e Umberto Rosito, 38 anni, ha chiesto l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro e l’introduzione della procura nazionale del lavoro. Lo scorso anno i morti sul lavoro sono stati 1090; quest’anno il bilancio è ancora più drammatico: solo a gennaio erano già 60 i morti sul lavoro e ad oggi siamo a +33% rispetto allo scorso anno. “Una vera e propria strage, una piaga sociale alla quale porre rimedio subito”, commenta Castellone. Anche perché spesso si tratta di morti che potrebbero essere evitate con “controlli più efficaci, più attenzione alla sicurezza e punendo chi sacrifica la sicurezza per il profitto”.

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Confermata multa Ue da 65 milioni a Unicredit

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Il Tribunale dell’Ue ha confermato le multe inflitte nel 2021 dalla Commissione europea a tre delle sette banche responsabili, secondo Bruxelles, di essersi scambiate tra il gennaio 2007 e novembre 2011 informazioni su operazioni sui titoli di stato europei, traendo vantaggi sulle emissioni, i collocamenti o le negoziazioni. Tra queste figurava anche Unicredit, alla quale i giudici a Lussemburgo hanno confermato la multa limando l’importo da 69,4 a 65 milioni di euro. “Preso atto” della sentenza, l’istituto italiano ha fatto sapere di valutare un ricorso alla Corte di Giustizia dell’Ue: “UniCredit non è d’accordo con le conclusioni del Tribunale in merito alla partecipazione di UniCredit alla violazione”, ha affermato un portavoce.

Il Tribunale Ue ha confermato anche la multa a Nomura (limata 129,5 a 125,6 milioni) e a Ubs (invariata a 172,3 milioni). Già nel 2021 tra le sette banche coinvolte NatWest era stata ‘graziata’ da Palazzo Berlaymont secondo le consuete regole antitrust Ue, visto che aveva rivelato gli accordi. Per Natixis e Bank of America si era prescritta la possibilità della Commissione di comminare la multa, mentre Portigon era stata anch’essa ‘graziata’ per le modalità di calcolo dell’importo della sanzione (era in negativo nell’esercizio valutato per il conteggio). Tutte e sei le banche, NatWest esclusa, avevano poi fatto ricorso alla decisione della Commissione. Il Tribunale ha sostanzialmente confermato le sanzioni segnalando nel caso di Nomura che la Commissione è incorsa in un errore nel determinare di uno degli elementi dell’ammenda.

Per Unicredit ha invece rilevato che il comportamento anticoncorrenziale è iniziato 17 giorni più tardi rispetto alla data indicata dalla Commissione. I giudici hanno però confermato che si è trattato di “un’infrazione unica e continuata e che gli scambi di informazioni commercialmente sensibili, le pratiche di fissazione dei prezzi e di ripartizione della clientela sul mercato tanto primario quanto secondario dei titoli di stato europei presentano un grado particolarmente elevato di dannosità per la concorrenza”.

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