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Economia

Superbonus, Brancaccio (Ance): lo Stato dia un segnale di continuità alle zone colpite dal sisma

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Un colpo di spugna improvviso. Dopo il boom del deficit registrato da Istat a inizio mese con un disavanzo 2023 volato dal 5,3 per cento della Nadef al 7,2 per cento, il governo ha deciso di mandare in soffitta il Superbonus introdotto nel maggio 2020 dal governo Conte II. Federica Brancaccio, presidente Ance, spiega a “Milano Finanza” a cosa e’ dovuta questa scelta a sorpresa: “Ce lo stiamo chiedendo da giorni. Probabile che ci sia stata qualche ulteriore scoperta sui conti: una misura cosi’ d’urgenza, di cui nessuno sapeva nulla alla vigilia del Consiglio dei ministri, fa supporre che si sia verificato qualche imprevisto dell’ultimo minuto”.

“Il testo – aggiunge – ancora non c’e’, e questo ci turba da un lato ma ci rassicura sulla valutazione in merito a possibili correttivi dall’altro. Se lo Stato non dara’ un segnale di continuita’ alle zone del Centro Italia colpite dal sisma, si rischia un’accelerazione dello spopolamento. A essere colpite saranno anche le case popolari e le residenze per anziani”

Per il resto, il bonus “dovrebbe continuare a valere pur in formula ridotta, non essendo il decreto retroattivo”. Questo continuo cambio di registro finisce per esporre le imprese edili all’incertezza: “Quello della certezza e’ un tema su cui ci stiamo battendo da anni: se da parte di cittadini e imprese manca la fiducia in decisioni e leggi che cambiano di continuo, a mancare sara’ la fiducia nei confronti della politica industriale dei governi e piu’ in generale nelle prospettive di crescita del Paese: con la perenne spada di Damocle delle modifiche in corso d’opera sulla testa, nessuno investira’ piu’. E se non si investe, si blocca la crescita”. La scelta del governo appare motivata dalla volonta’ di porre un argine alla spesa.

“Certo, ed e’ comprensibile. Tuttavia non c’e’ solo il deficit da tenere sotto controllo ma anche il suo rapporto con il Pil: se interveniamo solo sul disavanzo senza incentivare la crescita, potremmo anche aver fermato l’emorragia, ma poi servono sacche di sangue da rimettere in circolo”.

Il bonus era stato pensato anche come strumento per favorire l’efficientamento energetico: dati alla mano, pero’, solo il 4 per cento degli edifici risulta riqualificato in tal senso: “Rispetto all’obiettivo di riduzione dei consumi del 16 per cento al 2030, con il Superbonus siamo al 5. La direttiva ha cambiato paradigma in senso qualitativo: prima parlava di ‘efficientamento’, ora di ‘riduzione dei consumi'”.

Brancaccio rileva infine che “non si parla piu’ di un tema sul quale il governo si era impegnato a trovare una soluzione: i crediti non monetizzati. Avremo il dato di quanti crediti andranno persi e non saranno compensati, nell’incertezza di famiglie e imprese che continuano a chiederci aiuto. E’ questa incertezza continua il dato piu’ preoccupante. Si parla tanto di risparmio degli italiani che rispondono prontamente ogni volta che lo Stato chiama. Ma – conclude – servono regole chiare. Fino a ieri si pensava di avere tempo fino al 15 ottobre per rettificare, ora all’improvviso questa misura non c’e’ piu’: un altro fulmine a ciel sereno che contribuisce ad accrescere la confusione”.

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Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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